martedì 29 giugno 2010

Carloleveide, parte prima. Ormai sono rassegnato ma, caso mai dovessi tornare a vivere in Italia, che sia in una cittadina di provincia, non in un paese o in una metropoli. Vengo da un paese quindi so bene quello che è scritto a chiare lettere in Cristo si è fermato a Eboli: “In paese ci restano gli scarti, coloro che non sanno far nulla, difettosi del corpo, gli inetti, gli oziosi: la noia e l’avidità li rendono malvagi”. Almeno così era nel 1945; poi l’istruzione superiore si è diffusa a macchia d’olio e i figli dei paesani sono diventati universitari a Milano, a Roma e a Napoli diffondendovi la paesaneria su vasta scala. Ormai sono rassegnato ma, caso mai, che sia una cittadina di provincia e non un paese di un milione di abitanti.

lunedì 28 giugno 2010

Non fidatevi dei poeti: il più delle volte cercano di spacciarvi prosa spezzettata in versi a caso perché non sanno come riempire il resto della pagina. Fidatevi invece della metrica rap di Alberto Arbasino. Sull’ultimo numero di Nuovi argomenti scopro questa sua strofa: “La casalinga di Voghera / in attesa della corriera / con le sataniste di Mortara / e i fidanzatini di Novara / quando scende il tiggì della sera / sul cavalcavia di Cava Manara / rilegge Montale: Occasioni e Bufera”. Metrica o non metrica, rima o non rima, riuscire a trasfigurare tutto è la caratteristica della poesia, senza contare se sia bello o brutto, come ad esempio la provincia di Pavia.

venerdì 25 giugno 2010

Paura e delirio a Johannesburg, lorsignori: non era ciò che desideravate? Non erano questi i vostri più intimi desideri patriottici di lacerazione intestina e masochismo intensivo? So che avete già pronti i processi, le filippiche, lo sdegno, il pollice verso, l’indice accusatorio, il medio vessatorio, l’anulare nel tafanario, il mignolo nell’occhio, i pomodori in mano, i fischi e le pernacchie con cui subissare gli stessi uomini che quattro anni fa vi hanno fatto festeggiare per un mese intero. So che vivete in Italia, lì dove l’alternativa pesa sempre più della realtà, dove “io li avrei fatti giocare col 4-5-1”, “questo lo segnavo anch’io”, “io posso scrivere un romanzo come tutti e pure meglio”, “le previsioni del tempo non ci azzeccano mai ma io quando avverto il dolorino all’anca so stabilire le precipitazioni per tutta la settimana a venire”, “la maestra di mio figlio non è una buona educatrice come me”, “il mio parroco è indegno, meglio se la messa la celebro io”, “appena passa il cameriere gli do una cucchiaiata sulle nocche perché l’arrosto non è cotto come l’avrei preparato io”; lì dove chi sbaglia è sempre un incompetente ma se putacaso sbaglio io è colpa della sorte arcigna, del destino cinico e baro, dei concorrenti che sono raccomandati, delle circostanze imprevedibili, del vento contrario, della macumba, del governo e della società; lì dove tutti saprebbero fare tutto meglio di tutti gli altri ma nessuno gira e rigira fa mai un beato cazzo.

giovedì 24 giugno 2010

Chesterton, che da cattolico in una nazione protestante di queste cose ne capiva, sosteneva che quando si smette di credere in Dio si inizia a credere a tutto. L’altro giorno, a Times Square, newyorchesi a migliaia si sono sdraiati su dei tappetini arrognando le gambe e facendo “Ooommm”. Intendevano ritrovare la serenità smarrita pagando una tassa una tantum (diciamoci la verità, se uno si sdraia a Times Square e fa “Oooommm” non solo è cretino ma dimostra pure di esserlo) invece che pregando con ardita regolarità. Segnatevi la data, era il 22 giugno 2010. Il 22 giugno del 2020 le stesse persone, volenti o nolenti, cambieranno posizione sugli stessi tappetini, accovacciandosi faccia a terra e facendo “Allah”.

mercoledì 23 giugno 2010

Perbacco: questi mussulmani, quando sono disarmati, sono anche piuttosto divertenti. Nel 1975 Cassius Clay rilasciò un’intervista a un periodico spiegando che l’America era a un passo dalla fine, che se qualcuno una donna islamica è morto prima ancora di poter levarle le mani di dosso e che poteva capire che un uomo andasse a torso nudo per comodità o calore ma non riusciva a concepire come potesse una donna mettere in mostra tutta la mercanzia: “Preferisco vedere un uomo col peto di fuori piuttosto che una donna. Perché dovrebbe andare in giro con mezze tette di fuori? Ci devono essere restrizioni in questo”. Bravo, il periodico era Playboy.

martedì 22 giugno 2010

Che meraviglia la storia di Busi Aldo da Montichiari (BS)! Che culo essere cameriere al bar Pinguino dove andavano a prendere il caffè i signori della Adelphi! Che coraggio farsi avanti con sotto braccio il faldone dattiloscritto del primissimo Seminario sulla gioventù! Che talento riuscire a rapire l’occhio dell’editore con pagine grezze ma ben scritte! Che pertinacia ricominciare da capo il romanzo non una ma quattordici volte complessive! Che forza d’animo iniziare un nuovo Seminario sulla vecchiaia e poi mollarlo lì perché la vita non conclude! Che tenuta della pagina, che scelta di vocaboli, che prosa cristallina! E quanti scrittori italiani non sarebbero nemmeno in grado di preparare un caffè!

venerdì 18 giugno 2010

Fogazzareide, parte quarta e gran finale. Oggi parlo alla Sorbona e, qualora dovessi vedermi mal riparato, Antonio Fogazzaro mi fornisce una sentenza d’oro per chiudere repentinamente e sbrogliarmela all’istante: “La filosofia l’è tutta in Aristòtel: quel che te pòdet avè, tòtel”.

giovedì 17 giugno 2010

Joseph Blatter, non ti vergognerai mai? Ai Mondiali del 1974 lo Zaire risolse brillantemente una complicata situazione difensiva mandando un proprio giocatore a sparare il più lontano possibile la palla che attendeva di venire battuta su punizione – non per lo Zaire, per gli avversari. Ai Mondiali del 2006 i tifosi del Sudafrica hanno ormai fracassato i coglioni del resto del mondo con le loro trombette, roba che ormai l’unica maniera di guardare una partita è azzerare l’audio. Joseph Blatter, non si può servire il calcio e Mammona: quando riporterai i Mondiali nel loro habitat naturale? Meno male che c’è l’Uruguay.

mercoledì 16 giugno 2010

Fogazzareide, parte terza. Non fidatevi mai di quelli che riconoscono che il governo possa intraprendere buone iniziative ma non le sostengono con la scusa che il governo sia cattivo. Vorrei chiedere ai progressisti impegnati nell’organizzazione del centocinquantesimo: sarà Berlusconi tanto peggio di Radetzky? Eppure Antonio Fogazzaro ficca in Piccolo mondo antico il personaggio di un ingegnere patriottico che in pieno Risorgimento lavora al soldo imperial regio, e “che si sente tranquillo nella sua coscienza perché, occupandosi di strade e di acque, serve il suo paese e non i tedeschi”.

martedì 15 giugno 2010

Fogazzareide, parte seconda. L’importante è saper mediare fra Fratelli d’Italia e Va’ Pensiero; uno deve essere in grado di capire quando è il momento dell’uno e quando il momento dell’altro. Antonio Fogazzaro, conterraneo del verde Zaia, si arrampica sulla sintassi più farraginosa e affannata quando scrive in italiano frasi come “Credo anzi che una volta il signor Steinegge mi ha raccontato quello”; così stentato non parla nemmeno uno studente di lettere. Poi la sua prosa diventa un balletto quando passa al veneto: “Stamatina, La s’imagina, vado a Lugan. Vengo a casa zirconzirca a le tre. Su la porta, La varda qua, ghe xe de le gioze. Tasì! No ghe bado, tiro drito. Son sul pato de la scala per andar in cusina; ghe xe de le giozze. Zito! Cosa gala spanto? digo. Me sbasso, meto un deo in tera; tasto, xe onto; snaso, el xe ogio. Alora ghe vado drio a le giozze. Tasto, snaso, tasto, snaso. Tuto ogio, Controllore gentilissimo. (…) E mi torna in drio e vaghe drio a ste giozze e drio e drio, rivo a la porta; Controllore mio gentilissimo, le giozze le va in zoso. Quella b…” – e qui si ferma non per rispetto della decenza ma perché con l’inciso vocativo al controllore gentilissimo sa di aver trasformato il dialetto in letteratura italiana ben riuscita.

lunedì 14 giugno 2010

Fogazzareide, parte prima. Gli onomastici sono passati di moda: facendo un rapido calcolo di quanti si sono ricordati di farmi gli auguri i minori di quarant’anni sono una sparuta minoranza (i maggiori di sessanta invece si sprecano; dovrei preoccuparmi in vista del 13 giugno 2040). Ci sono feste più in voga e non sarei sorpreso, in giorno, di vedermi recapitare gli auguri per la liberazione, per l’anniversario della discussione del dottorato e per la notte di Halloween. Viene in mio soccorso e parziale consolazione il mio omonimo Fogazzaro, che non sarà Santo ma è Antonio abbastanza da scrivere che “la modernità è buona ma l’eterno è migliore”.

venerdì 11 giugno 2010

Vegetariani, vi mangerei vivi anche se quando fate gli intolleranti d’élite vi vorrei morti delle malattie che cercate così pateticamente da evitare. Cerco casa e la prima domanda che una signora, evidentemente un po’ tocca, ha pensato bene di porre ai suoi nuovi inquilini è la seguente: “Siete vegetariani?”. Sant’Iddio, che senso ha? Poi, con sottigliezza degna di un teologo bassomedievale: “Siete almeno orientati verso il vegetarianesimo?”. Che significa? Che dovremmo orientarci verso una lattuga come i mussulmani si orientano verso La Mecca, altrimenti ci sgozza e poi non ci mangia nemmeno perché valiamo meno di una cicerchia?

giovedì 10 giugno 2010

Digitalizzazione, digitalizzazione, digitalizzazione! L’obiettivo è di trasformare ogni libro, ogni giornale, ogni testo a stampa nella sua perfetta copia elettronica disponibile online, che tutti possano vedere e nessuno toccare, rendendo universalmente accessibili manoscritti confinati in oscure collezioni russe, incunaboli sparsi in tre copie su tutto il globo, garantendo di poter leggere in metropolitana il nuovo bestseller già un mese prima che esca in libreria, consentendo di compattare scaffali e scaffali d’ingombro nei pochi centimetri cubi di un portatile o nei pochissimi di un iBook. L’obiettivo è far passare di moda il libro, renderlo superfluo inconsueto inutile, eliminarlo per far strada al comodo e funzionale computer nelle sue più varie accezioni. Poi un giorno la corrente se ne andrà e diventeranno inutili anche le candele.

mercoledì 9 giugno 2010

Meno Saviani e più Baresani. In una nazione in cui la bravura di un autore si calcola misurando all’ingrosso la verità che infila nelle sue opere, non potrà mai ricevere l’attenzione che merita Un’estate fa di Camilla Baresani. Siccome la principale voce narrante è una signora della sua stessa generazione che racconta l’editoria e la cultura italiane (due cose ben distinte), tutti giù a ponderare chi sia davvero questo e chi sia davvero quell’altro e soprattutto a cercare rivelazioni su chi vada a letto con chi altro. Invece Un’estate fa non è un romanzo a chiave ma un romanzo di conversazione, in cui i personaggi sono pretesto per le idee, ivi inclusi alcuni preziosi suggerimenti su come presentare un libro senza averlo non solo letto ma nemmeno aperto; e il punto di vista dell’autrice sembra coincidere con quello di un maschio che come voce narrante interviene poco e niente.

martedì 8 giugno 2010

Meno Saviano e più Flaiano. In una nazione in cui la bravura di un autore si calcola misurando la pila di minacce di morte che è riuscito a raccattare, non potrà più essere preso sul serio l’umorismo disincantato con cui Ennio Flaiano ha eternato ne La solitudine del satiro la definizione che il pittore Amerigo Bartoli aveva dato del sempre più vecchio e malandato Vincenzo Cardarelli quale “più grande poeta morente d’Italia”. Invece di protestare che così facendo venivano intaccate la libertà di stampa, la lotta alla mafia, la voce stessa della libera Italia e così via, Cardarelli s’era rifatto sulla bassa statura di Bartoli rivelando che questi soffrisse d’insonnia e che ogni notte “lo si può sentire mentre passeggia nervosamente sotto il letto”.

lunedì 7 giugno 2010

Alla fine, vedrete, le quattro trasmissioni preparate per Rai3 e condotte dal duo comico Saviano & Fazio andranno in onda regolarmente, visibilmente corroborate dalla minaccia di non trasmetterle che anzi conferirà loro un surplus di autorità che magari sfocerà in un’apposita quinta puntata contro le rigide maglie della censura berlusconiana. Pazienza, se non altro in questi pochi giorni avremo potuto fantasticare su cosa mandare in onda al posto del sermone savianesco, con Fazio chierichetto. Non so voi, ma a me un giorno piacerebbe che prima o poi la Rai mandasse in onda una trasmissione in cui per due ore parla a ruota libera uno scrittore.

venerdì 4 giugno 2010

Nella storia felice e poi dolentissima di Laura Antonelli, che dimostra ancora una volta come la maggioranza degli italiani ritenga inconsapevolmente la bellezza una colpa da punire prima o poi e non una maledizione da trattare con delicatezza e gratitudine, un dettaglio è sfuggito ai più. Prima che Lino Banfi facesse svegliare il ministro Bondi facendole attribuire il beneficio previsto dalla legge Bacchelli, l’unica istituzione che avesse sostenuto Laura Antonelli era stata la Chiesa, che le ha assicurato dei proventi extra, una signora per farle compagnia e il conforto della parola e della preghiera. Non era la Chiesa una manica di pedofili sessuofobi che auspicava la dannazione eterna per chiunque mostrasse una giarrettiera salendo su una scala? O la frase che si legge sui muri di tutte le chiese dedicate ai morti – omnis caro ad te veniet, tutta la carne ritorna a Dio – implica necessariamente che tutta la carne da Dio arriva, anche quella attraente e maliziosamente insaccata in una giarrettiera?

giovedì 3 giugno 2010

Aldo Nove, che ti si accorcino i garretti. Me ne accorgo con sei anni di ritardo, ma in Milano non è Milano elogi lo slancio del Pirellone e critichi la legge fascista “che proibiva di costruire edifici che superassero in altezza la Madonnina del Duomo. La Madonnina è il simbolo della città e non può essere superato. Fa un po’ ridere. Come quando in televisione il presentatore rifiuta al suo fianco vallette più alte di lui, per non fare brutta figura”. Aldo Nove, che ti schiaffino su un letto di Procuste dove si viene accorciati non necessariamente dalle estremità: il tuo ragionamento è degno di un qualunque cardinal Martini, che s’interroga cogitabondo sulle possibili ragioni della pluridecennale decadenza di Milano senza dare l’unica risposta chiara e plausibile: Milano decade perché non si vede più la Madonnina, superata in altezza da progressivi e incontrollati istinti babelici. Aldo Nove, che un errore di stampa ti costringa a cambiare sulla copertina del prossimo libro il tuo pseudonimo in Aldo Otto, in Aldo Sette-e-mezzo.

mercoledì 2 giugno 2010

Fratelli d’Italia, chi di voi mi ha fregato l’ombrello? Ero tornato in Italia per una conferenza, peraltro a non molti chilometri dal confine; al mattino pioveva a dirotto e nel pomeriggio, all’uscita, nel portaombrelli non ho trovato più nulla. Era un ombrello mezzo scassato, peraltro, con una delle aste che rischiava seriamente di infilarsi nell’occhio proprio o altrui e la scritta Aci-Pavia che correva a mo’ di decorazione su tutta la tela. Forse l’ignoto arraffatore voleva rimproverarmi dell’indebito utilizzo di un ombrello dell’Automobil-club d’Italia, io che la patente non so nemmeno com’è fatta. Forse voleva ricordarmi la scena di Bianco Rosso e Verdone in cui l’emigrato torna in Italia per votare e appena passa il Brennero e si ferma a bere acqua da una fontana patria gli rubano l’autoradio. Per fortuna in Inghilterra il problema non si pone: nessun locale ha un portaombrelli perché gli avventori ci vomiterebbero dentro.

martedì 1 giugno 2010

Tommaseide, parte settima e ultima (benché potenzialmente inifnita). Quando andate in biblioteca pensate ai libri e non a rimorchiare: anche se all’inizio fanno le brillanti, alla fine saranno solo guai. Lo scrittore più sottovalutato del presente del passato e del futuro, Niccolò Tommaseo, scrive chiaro e tondo in Fede e bellezza: “sapeva non c’essere la meglio che lo spettacolo di donna dotta per deprimere la fantasia”. Nessuna donna, per quanto erudita, riuscirà mai a spiegarmi perché ha scritto lui il libro che avrei voluto scrivere io.