giovedì 31 ottobre 2013

Che si tratti di evoluzione endogena o prosecuzione postuma o riscrittura drastica o ritorno in nuova veste, esistono due tipi di libri: quelli che una volta chiusi finiscono e quelli che invece continuano.

Sul Foglio di oggi analizzo quattro casi editoriali, due italiani (Einaudi e Rizzoli) e due inglesi, per mostrare cos'hanno in comune Stendhal, Aldo Busi, James Bond e Bridget Jones.

mercoledì 30 ottobre 2013

Oggi ho esordito a mia insaputa su Libero, dove in taglio basso a pagina 9 ho trovato il brano sull'ubiquità di Beppe Severgnini che trovate qui sotto.

Domani giovedì 31 ottobre invece presenterò Il silenzio della felicità di Francesco Savio (ed. Fernandel) a Brescia. Piazza Zanardelli, libreria Feltrinelli, ore 18.

Dopodomani chissà.

sabato 26 ottobre 2013

Ieri sera sono andato a vedere La Scena di Cristina Comencini al Fraschini e l'unico motivo per cui non me ne sono andato alla fine del primo atto è che era un atto unico. Angela Finocchiaro e Maria Amelia Monti recitano anche bene ma la commedia è costruita su dialoghi meccanicamente prevedibili e su un malcelato intento didattico per il quale non mancano battutine infingarde su corteggiatori già denunziati per stalking o sugli uomini che hanno paura del corpo delle donne e quindi lo velano (burqa) o lo fanno fuori (femminicidio). Si potrebbe pensare che un simile intento rieducativo sia sufficiente a rovinare una pièce ma mi sono ricordato di avere visto pochi mesi fa una commedia di Walter Fontana, sempre con la Finocchiaro, in cui era comunque possibile leggere una critica alla scuola, alla famiglia, alla società contemporanee: però la commedia di Fontana faceva ridere e quella della Comencini faceva piangere. La differenza dunque non è tanto nell'intento quanto nella capacità o meno di scrivere per il teatro. Il finale poi, con le due donne che lasciano intendere di poter essere due metà della stessa persona, o l'una un'attrice che recita la parte dell'altra e viceversa, è pretenzioso e conferma la cacarella che assale gli autori italiani quando si tratta di scrivere una storia semplice, che significhi esattamente quello che si vede in scena o quello che si legge sulla pagina. Quando Michael Frayn ha scritto Rumori fuori scena non voleva mostrarci la condizione umana, voleva farci ridere e ci è riuscito; la Comencini non è stata in grado di scrivere una commedia degli equivoci senza impelagarsi nel discorso metaforico rifritto sulla complessità dell'animo femminile. L'effetto è avvilente e volgare. Infine, poiché la volgarità sta soprattutto nei dettagli, né all'inizio né alla fine dello spettacolo la Finocchiaro o la Monti hanno invitato il pubblico a rivolgere un ultimo applauso a Zuzzurro o a Piero Mazzarella, come invece è d'uso sui palcoscenici quando un attore muore: e dire che erano strettamente colleghi, essendo tutti e quattro comici lombardi.

venerdì 25 ottobre 2013

Beppe Severgnini era a Liverpool. Lo scrive lui stesso a pagina 21 del Corriere di ieri: “nuvole di corsa, ragazze con gli occhi irlandesi, odore di fritto e di vento”. No, Beppe Severgnini era a Oxford. Lo scrive lui stesso a pagina 49 del Corriere di ieri: “cielo grigio, prati verdi, ragazzi che studiano dietro i vetri bagnati”. Probabilmente si riferisce a due giorni diversi, o forse ha preso il treno, fatto sta che il viaggio l’ha disorientato. A Liverpool reagisce alla notizia dell’uccisione di Joele Leotta paventando “il pericolo di una nuova guerra fra poveri, in cui rischiamo di venire coinvolti”. A Oxford ha parlato al Pembroke College, dove studiarono Samuel Johnson e Abd Allah di Giordania, intessendo “l’elogio di Empy e Dudù”. A Liverpool si chiede se la Gran Bretagna “non rischia di ripetere, in patria, alcuni errori commessi in passato nel mondo”, ossia un atteggiamento coloniale che abusa dei più deboli; a Oxford nota orgogliosamente che solo gli italiani sono in grado di andare a insegnare inglese agli inglesi. A Liverpool scopre che gli italiani d’Inghilterra “per mantenersi in un Paese che non è a buon mercato accettano qualsiasi cosa e qualsiasi paga”. A Oxford si sdilinquisce perché gli italiani hanno la cattedra di letteratura inglese, sono editorialisti del Financial Times a 28 anni e traducono dal greco in antico armeno, siriaco e latino. Però l’Inghilterra, tutta l’Inghilterra, sfrutta l’afflusso di ragazzi che arrivano attratti da “lingua inglese, elasticità mentale, genio artistico, varietà sociale, flessibilità del mercato del lavoro” e che “contribuiscono significativamente al PIL”: questo scrive il Severgnini di Liverpool. Tutta l’Inghilterra tranne Oxford: l’altro Severgnini scrive infatti che la città universitaria “è piena di giovani connazionali come ogni posto interessante nel mondo”, nessuno sfruttamento. A Liverpool è colpa dell’Inghilterra: “l’accoglienza, spesso, nasconde insidie” e ai datori di lavoro inglesi bisogna dire che “non è più il tempo di Dickens: i nostri ragazzi meritano di meglio”. A Oxford invece è colpa dell’Italia: lo sforzo di far rientrare i cervelli in patria sarà inutile “se non cambia il clima civile, politico ed economico” nel nostro scombiccherato paese. L’aria frizzantina di Liverpool lo rende consapevole che “noi italiani non siamo tornati a esser poveri ma il rischio esiste, se non ci diamo una mossa”. L’aria di Oxford, più ammuffita, gli impedisce di convincere i giovani italiani che “in Italia non tutto è perduto”: ma i vari Chiara, Filippo, Marco e Caterina “non sono nemmeno arrabbiati, sono rassegnati”. Il Severgnini di Liverpool ha dimenticato di far notare a quello di Oxford che l’università inglese non è un ente di beneficenza e quindi sa approfittare del vuoto di mercato accademico in Italia per accaparrarsi bravi studiosi che si trovano in difficoltà: il caso di scuola è quello di Nicola Gardini, che lui stesso ha narrato in “Baroni”. In questo modo si pone in una situazione di forte potere contrattuale, che spiega la rassegnazione dei giovani compatrioti oxoniensi, e prepara in prospettiva una guerra accademica fra poveri visto che anche in quelle auguste aule i soldi iniziano a scarseggiare, come dimostra l’innalzamento esponenziale delle rette che fu una delle prime decisioni del governo Cameron. Il Severgnini di Oxford avrebbe tutt’al più potuto rispondere a quello di Liverpool invitandolo alla sua prossima conferenza: “Parolacce, paroline e parolone” alla Taylor Institution, biblioteca di lingue, giovedì 29. Tè e biscotti.

[Disponibile illustrato su Tempi.it]

mercoledì 23 ottobre 2013

Oggi mi è  accaduto un evento inaudito. Volendo ricaricare la chiavetta per il distributore automatico di caffè sono andato in camera mia, ho preso il portafoglio, ne ho estratto una moneta da due euro (l'unica che ci fosse, a parte l'inutile ferraglia di rame) e l'ho infilata in tasca. Almeno credo. Quando sono uscito di camera mia ho infatti portato la mano alla tasca per controllare se avessi ricordato di prendere la moneta da due euro oltre che la chiavetta da ricaricare e ho scoperto che la chiavetta c'era, ma la moneta no. Allora ho controllato l'altra tasca, e la moneta non si trovava lì; ho controllato il taschino della camicia, e la moneta non c'era.

Sono tornato in camera e ho iniziato a cercare la moneta sul ripiano dove giaceva il portafoglio, ma niente da fare, allora sulla scrivania, ma non era nemmeno lì, e nemmeno sul comodino, nei cassetti, sul divano, sotto il divano, sotto il mobilio, fra un libro e l'altro sulla scansia. Ho aperto l'armadio per controllare nelle tasche di pantaloni, camicie e giacche che non stessi indossando al momento. Macché. Ho controllato nel bidone della roba sporca, nell'incavo delle scarpe, di nuovo sulla scrivania e nei cassetti, perfino, hai visto mai, nella confezione di citrato effervescente. Nella pattumiera, più e più volte. Quindi anche nella borsa da lavoro, senza domandarmi perché stando all'ordine che avevo istintivamente scelto ritenessi meno verosimile trovare una moneta lì anziché nell'immondizia.

Allora mi sono detto: la moneta è sicuramente rimasta nel portafoglio. Evidentemente quando l'ho aperto ho pensato di prenderla e mettermela in tasca ma, forse sovrappensiero, l'ho lasciata lì dov'era mettendomi a fare altro ma credendo di avere compiuto una volta di più (Freud non è passato invano) un atto routinario che ho compiuto centinaia e centinaia di volte in vita mia con le monete più varie. Sono andato dritto al portafoglio, che per fortuna c'era ancora, l'ho aperto e ho trovato solo l'inutile ferraglia di rame. Nessuna traccia dei due euro.

Poiché ero in camera da solo e nessuno è entrato in camera mia nel lasso di tempo che ho descritto, e poiché essendo cattolico sono razionalista quindi mi rifiuto di credere a un poltergeist o a un buco spaziotemporale nello stesso luogo in cui leggo il Guerin Sportivo, ho dedotto che avevo effettivamente preso la moneta e l'avevo effettivamente riposta da qualche parte a scopo cautelativo, senza però rendermi conto di dove l'avessi riposta né ricordare il menomo indizio che potesse ricondurmi al nascondiglio che sì, doveva essere davvero sicuro se nemmeno io l'ho rintracciato.

Questo è notoriamente il primo sintomo del futuro completo svanimento del mio cervello: una malattia di fronte alla quale non si può restare indifferenti. Pertanto a chiunque sarà così sensibile dal contattarmi privatamente fornirò le coordinate per potermi testimoniare la propria solidarietà versandomi due euro contro il rimbambimento precoce. Con un piccolo aiuto potete fare molto. Grazie.

lunedì 14 ottobre 2013

Il metodo infallibile per misurare la stupidità di una persona, quanto meno fra quelle attive sui social network, consiste nell'andare poniamo caso su facebook e contare quante immagini suggestive ha pubblicato sullo sfondo di densi aforismi di autori famosi. Bisogna fare dei distinguo però: questi poster virtuali si trovano già disponibili online e non hanno bisogno di alcuno sforzo creativo da parte del fruitore e diffusore; le immagini sono totalmente irrelate al contenuto delle parole cui fanno da sfondo; gli aforismi sembrano quasi tutti sorteggiati da manuali di autoaiuto; la loro attribuzione a celebri autori è di natura per lo più apocrifa.

Qualche esempio teorico: "Per realizzare i propri sogni bisogna dormire sempre con gli occhi bene aperti" (Oscar Wilde); "Solo di una persona mi fido più di un prete, e quella persona è l'umanità" (Voltaire); "Si può uccidere un uomo mille volte ma il suo ricordo vivrà finché vive chi lo ama" (Giovanni Falcone). Ovviamente sono tutti fasulli, li ho inventati negli ultimi due minuti e anzi mi chiedo perché mai io non lo faccia per mestiere; forse perché avrei difficoltà a rintracciare immagini suggestive con cui decorarli adeguatamente. Se giustamente non vi fidate di me e gradite qualche esempio pratico, mi basta andare sul profilo di OMISSIS e trovare un gabbiano che vola su un cielo dov'è scritto "Dona a chi ami Ali per volare... Radici per tornare... e Motivi per rimanere" (Dalai Lama); oppure sul profilo di OMISSIS-BIS e rinvenire una vegliarda che guarda severa la scritta "Nei ragionamenti del cervello c'è logica, nei ragionamenti del cuore ci sono le emozioni" (Rita Levi Montalcini); oppure sul profilo di OMISSIS-TER e scovare una palafitta con sopra il cartello "Tutti siamo utili, nessuno è indispensabile, ma onestamente qualcuno non serve a un cazzo" (Alberto Sordi).

Tutto questo per dire che questa proliferazione di citazioni immaginarie fa perdere forza e credibilità a quelle poche che sono vere; ad esempio: "Non so con quali armi si combatterà la terza guerra mondiale, ma la quarta sicuramente con sassi e clave" (Albert Einstein), abitualmente decorata con un panorama delle Alpi Svizzere innevate. Si tratta tuttavia della mia preferita perché non perde di attualità col passare dei secoli né perde di senso col mutare dei contesti: io ad esempio non so chi vincerà le ultime elezioni della seconda repubblica, ma le prime della terza sicuramente la Democrazia Cristiana.

domenica 13 ottobre 2013

Aosta, Bergamo, Cagliari, Caserta, L'Aquila, Lecce, Mantova, Matera (Matera?), Palermo, Perugia, Pisa, Ravenna, Reggio Calabria, Siena, Siracusa, Taranto, Torino, Urbino, Venezia: inutile, fra le candidate a capitale europea della cultura per il 2019 Pavia non c'è ma avrebbe potuto esserci, se non altro in quanto città universitaria. In ciò sarebbe stata degna epigona di Oxford dove, se arrivate in treno, la prima cosa che noterete sarà il cartello ferroviario con la dicitura "Oxford: city of learning and culture" ossia "Oxford: città dell'istruzione e della cultura", così saprete quello che vi attende e farete in tempo a scappare. Io ci ero arrivato in autobus dall'aeroporto, quindi pazienza.

Se invece a Pavia togliessimo l'Università, ovvero eliminassimo con un tocco di bacchetta magica tutti i corsi, gli esami, i seminari, gli orari di ricevimento dei docenti, i docenti, gli studenti, i bidelli, le conferenze, le attività culturali parallele, la goliardia e le biblioteche, non solo non potremmo candidarla a città capitale europea della cultura ma otterremmo esattamente Pavia di domenica. Ogni domenica Pavia potrebbe concorrere al titolo di capitale europea della tristezza e proprio stamattina ha posto con grande autorevolezza la propria candidatura, diventando automaticamente favorita verso le 10 quando giù per Strada Nuova ho visto procedere nella mia direzione una banda che suonava la versione luttuosa di "Saran belli gli occhi neri, saran belli gli occhi blu, ma le gambe, ma le gambe, a me piacciono di più" seguita da uno stendardo e uno striscione retti dai rappresentanti dell'associazione mutilati, invalidi, storpi, infermi, menomati, minorati, handicappati, paralitici e impotenti; seguivano nell'ordine inevitabilmente un'ambulanza a passo d'uomo, poi l'autobus 6, poi l'1A, poi un taxi con dentro un passeggere pronto a uccidere chicchessia e infine un'auto d'epoca guidata da un signore d'epoca che dava l'impressione di trovarsi imbottigliato nel traffico dal 1963.

Forse dovrei approfittare delle domeniche per viaggiare, per andare ad Aosta, a Bergamo, a Cagliari, a Caserta, all'Aquila, a Lecce, a Mantova, a Matera (Matera?), a Palermo, a Perugia, a Pisa, a Ravenna, a Reggio Calabria, a Siena, a Siracusa, a Taranto, a Torino, a Urbino, a Venezia e percorrendone le strade chiedere ai passanti se almeno qualcuno di loro ricorda che Genova è stata capitale europea della cultura nel 2004, se almeno uno di loro sa che oggi la capitale europea della cultura è Kosice.

venerdì 11 ottobre 2013

Riguardo alla discriminazione territoriale, in Inghilterra sono all'avanguardia. L'accusa più infamante riguarda la nazionale: il commissario tecnico Roy Hodgson convoca a giocare per l'Inghilterra soltanto dei calciatori inglesi. Lo fa notare Garth Crooks in un appello che va oltre la consueta diatriba fra Inghilterra e Regno Unito, originata dal caso che in tutti gli sport c'è la nazionale della Gran Bretagna ma per le faccende serie, ossia calcio e rugby, esistono le rappresentative locali.

Per il contenuto della rivoluzionaria proposta di Crooks e gli effetti che avrebbe sullo scombiccherato mondo del calcio, vedere il resto dell'articolo sul sito del Foglio.

mercoledì 9 ottobre 2013

Sarà che scrivono lettere ai quotidiani, sarà che concedono interviste agli atei, sarà che piuttosto che credere in Dio ritengono che esista, sarà che dichiarano che comunque se esiste di sicuro non è cattolico, sarà che quando parlano di coscienza individuale qualche malalingua traduce sempre in relativismo, sarà che in una loro università americana hanno preferito insediare un presidente presbiteriano. Fatto sta che ieri mi è capitato un lapsus fenomenale: volevo parlare della cristianizzazione della Cina da parte dei gesuiti e invece m'è scappato detto "la cristianizzazione dei gesuiti".

giovedì 3 ottobre 2013

Sto leggendo il nuovo romanzo di Antonio Pascale, Le attenuanti sentimentali (Einaudi), e mi fa piacere notare che è puntellato da un sorridente scetticismo nei confronti di un'istituzione ormai comunemente accettata: l'amicizia fra uomo e donna. Pascale è un razionalista di buon senso e come me non si capacita dell'universale diffusione di una pratica che è contraria alla logica, alla natura e all'interesse. Solo che lui ascrive il proprio scetticismo ai natali mediterranei, che lo spingono a essere galante in modo quasi caricaturale con le donne per interesse privato, mentre io mediterraneo quantunque penserei piuttosto all'interesse collettivo.

Sono ancora a metà libro quindi non so (presumo di no) se a un certo punto Pascale sbotterà e dirà quel che penso, ossia che l'amicizia fra uomo e donna è il primo gradino della distruzione del maschio: seguono la lotta all'omofobia, che sotto una formula educata configura il reato di eterosessualismo; la progressiva confusione dei confini fra corteggiamento e stalking, che presto ci farà desistere dall'attaccare discorso con qualcuna oggi per timore di essere denunciati domani; l'ideologia isterica che scorge in ogni uomo un potenziale operatore di femminicidio. In cima alla scala si trova il risultato concreto, ossia un tasso di natalità tendente al limite zero.

Allora, suggestionato da tali implicazioni recondite della lettura del romanzo di Pascale, stanotte non sono riuscito a chiudere occhio ma ne ho approfittato per elaborare una modesta proposta per prevenire che l'assenza di figli diventi un fardello per i mancati genitori e per la nazione. Eccola: se le forze dell'ordine colgono in flagrante un uomo e una donna seduti allo stesso tavolo o a passeggio insieme, chiedano loro se sono sposati o fidanzati. Se rispondono di no, chiedano con discrezione se sono forse amanti, o se quanto meno si bacino di nascosto. Se i due persistono nel rispondere sdegnati di no protestando di essere amici e basta, venga loro comminata una sanzione pecuniaria, rispettivamente di € 50 all'uomo e di € 250 alla donna, quest'ultima da raddoppiare qualora la violazione sia stata commessa in combutta con un uomo che si dichiara gay, intervenendo nella fattispecie l'aggravante dell'omissione di soccorso. Una misura del genere potrebbe rendere meno verosimile un futuro di bambini tutti chiamati Maometto e magari perfino superfluo l'aumento dell'Iva.