domenica 29 aprile 2012
Ammirevolissimo schema, sul Corriere della Sera di oggi, in cui si illustra la distribuzione su scala nazionale delle alleanze politiche in vista delle imminenti elezioni amministrative nei capoluoghi di provincia. A colpo d'occhio si capisce in quanti luoghi il Pdl si presenti da sé, in quanti con la Lega, e così in quanti luoghi il Pd sia alleato con Sel, e in quanti con Idv, e in quanti ancora con Sel e Idv insieme, e in quanti invece con l'Udc, o col Terzo Polo, o addirittura col Terzo Polo senza Udc. Bon. La parte più interessante riguarda proprio i centristi: che da qualche parte si alleano con il Pd, da qualche altra si alleano con il Pdl, e da qualche altra parte ancora si presentano da soli. Se non che sul "da soli" campeggia un asterisco che calcola il peso netto di Gianfranco Fini nella politica italiana, spiegando che con "da soli" si intende "con Fli".
venerdì 27 aprile 2012
Solo oggi sorge il sospetto che potesse trattarsi risultati inventati di sana pianta in quanto, prima del fatidico 3 gennaio 1954, alla domenica sera non venivano trasmessi gli highlights delle partite in televisione e ciò per due motivi: gli unici highlights con cui si era familiari avevano a che fare coi bombardamenti e non esisteva ancora la televisione. Venissero letti oggi, senza alcuna controprova visuale, tali risultati sarebbero ascritti all’ubriachezza di Paola Ferrari o di Susanna Petrone. All’epoca invece venivano solennemente affissi sui muri delle ricevitorie e scatenavano incontenibili entusiasmi.
Su Quasi Rete l'anticipo di questa settimana è uno 0-0 d'antan fra Roma e Napoli, il 19 novembre 1950, in bianco e nero piuttosto sgranato.
Su Quasi Rete l'anticipo di questa settimana è uno 0-0 d'antan fra Roma e Napoli, il 19 novembre 1950, in bianco e nero piuttosto sgranato.
giovedì 26 aprile 2012
Io ci metto la buona volontà, alla domenica pomeriggio, di schivare la diretta su Sky e sintonizzare la radiolina posata in un angolo del pavimento di camera mia su Tutto il Calcio Minuto per Minuto, sacrificando volentieri le immagini a patto di poter giovarmi di una maggiore attenzione alle parole, indubbiamente più confacente alla mia formazione e ai miei ideali, e, stando a ieri nella fattispecie, di poter alleggerire l'eccessivo gravame di calcio che ci cadeva addosso: l'anticipo alle 12:30, le partite vere alle 15, il doppio posticipo parallelo fra le aspiranti allo scudetto alle 18 e la semifinale di Coppa dei Campioni alle 20:45. Io ci metto tutta la buona volontà ma loro, i radiocronisti, ce ne mettono altrettanta? Ieri il cronista di Udinese-Inter non faceva nulla per scansare bisticci quali "palla ad Asamoah, che avanza con Pazienza" oppure "palla a Basta; Basta avanza". Mi ha ricordato che l'anno scorso la telecronaca di una partita della Juventus in Coppa Italia fu arricchita da resoconti del tipo "sale Pepe" - e tenete presente che sull'altra fascia giocava Grosso, quindi figuratevi. Ma dalla tv me lo aspetto, dalla radio no. Poi è per giunta arrivato l'intervallo fra primo e secondo tempo, la linea è passata alla pubblicità ed ecco che una suadente voce maschile mi ha detto: "Ciao, posso darti un consiglio? Assaggia la mia braciola di suino". Ho spento la radio e sono andato a fare due passi.
mercoledì 25 aprile 2012
Stavo appunto meditando sulle stranezze del tifo, lunedì sera, dopo avere assistito in video all’indegno spogliarello genoano a Marassi; solo che non riflettevo nella tradizionale posizione del pensatore, con la fronte sul pugno e il gomito sulla coscia, bensì più arditamente sporgendo il mio periclitante baricentro dalla balaustra del palazzetto del CUS di Pavia, tanto sudato quanto afono, al tie-break della finale del torneo intercollegiale di pallavolo femminile. La distanza dal campo era minima, allungando le mani con un po’ di sforzo avrei potuto prendere a sberle gli allenatori. A un certo punto, all’ennesimo “Non sei capace” ululato coi palmi a megafono verso l’avversaria che aveva sbagliato la battuta o commesso invasione di campo o squacquerato la ricezione, una delle riserve del collegio rivale mi ha guardato dritto negli occhi con lo sguardo del vitello condotto al macello. Era infortunata e sedeva poggiando sulla panchina la gamba destra ingessata, lunga dietro le schiene delle compagne; la sua divisa gialloverde mi ricordava di quando Ferdinando IV di Borbone salutò l’ingresso in sala della moglie che sfoggiava un vestitino nuovo di identico colore: “Maestà, me parìte ’na frittata”.
Su Quasi Rete presento la cronaca (non del tutto imparziale) delle fasi finali del torneo intercollegiale pavese di pallavolo femminile, con illuminanti considerazioni generali sulla psicologia del tifo e sul perché il Genoa doveva tenersi la maglia.
Su Quasi Rete presento la cronaca (non del tutto imparziale) delle fasi finali del torneo intercollegiale pavese di pallavolo femminile, con illuminanti considerazioni generali sulla psicologia del tifo e sul perché il Genoa doveva tenersi la maglia.
martedì 24 aprile 2012
I Giovani Democratici afferenti alla sezione del PD di Cava Manara (Pavia) non lo sanno ma hanno avuto un'idea geniale. Ora, è risaputo che il PD è sempre stato all'avanguardia nella ricerca di un pieno equilibrio, nel voto, fra diritti di tutti e doveri dei migliori, insomma fra democrazia e merito. L'esempio precipuo sono state le primarie di coalizione in occasione delle quali chiunque poteva diventare elettore, indipendentemente dall'iscrizione o dall'affiliazione al partito, purché versasse una cifra minima come quota di partecipazione. I Giovani Democratici di Cava Manara hanno voluto spingere oltre quest'intuizione e per il primo maggio hanno organizzato un concorso fra vari gruppi musicali sconosciuti il cui vincitore sarà sancito per consultazione popolare; se non che non si avrà diritto a un voto per ogni testa ma a un voto per ogni consumazione. Di conseguenza, se io vado lì e ordino sei birre ho diritto a votare sei volte il mio gruppo preferito; se invece sono astemio e vado lì per godermi la musica in santa pace, perché mi piace ascoltarla a mente fresca e magari sono un intenditore che predilige la lucidità, non ho diritto a esprimere il mio parere. Inoltre, se sono ricchissimo e decido di arrivare lì prima di tutti gli altri e ordinare per me tutte le consumazioni possibili, prosciugando le democratiche scorte di alcol, ho diritto a esprimere da solo tutti i voti, garantendo percentuali bulgare o anzi bielorusse; se invece sono estremamente povero e al primo maggio posso a stento permettermi di pagare le suole delle scarpe che mi consentono di trascinarmi fino a Cava Manara ma una volta lì non ho una lira per comprarmi una birra annacquata e calda, allora non ho diritto a esprimere il mio parere. In un colpo solo i Giovani Democratici di Cava Manara hanno risolto due annosi problemi che tormentano la nostra classe politica. Uno, il finanziamento pubblico ai partiti: per salvare capra e cavoli basta dare diritto di voto solo a chi li paga, allo stesso modo in cui chi non ha il biglietto non ha diritto di entrare al cinema e chi non ha sottoscritto l'abbonamento non ha diritto di guardare la partita su Sky. Due, la riforma del sistema elettorale: introducendo il voto per consumazione garantiscono che l'Italia sia sempre governata dai più ubriachi, perfetto ideale di democrazia compiuta.
lunedì 23 aprile 2012
Sono molto significativi i dati diffusi dal ministero dell'università rispetto alla consultazione online sull'eventualità di privare del valore legale il titolo di laurea: in media, più del settanta per cento dei consultati (tutti afferenti a vario titolo a qualche università, da quel che s'è capito) ritiene che il titolo debba restare strettamente connesso al valore legale, e che privo di quest'ultimo sarebbe altrettanto privo di qualsiasi altro valore. Giova ricordare che uno degli aspetti connessi al valore legale della laurea è la permanenza dell'idea che fare l'università in un posto valga quanto farla in un altro: se ad esempio il valore legale della laurea in giardinaggio e bricolage è sempre lo stesso, all'atto pratico non fa alcuna differenza essersi laureati nell'ateneo che mette a disposizione degli alunni i migliori strumenti di giardinaggio e bricolage o in un postaccio dove le piallatrici sono vetuste e non si trova un'aiuola nemmeno pagandola in contanti. Se invece si elimina il valore legale, i laureati delle università migliori verranno ritenuti - a parità di titolo e di voto - migliori dei laureati delle università più scaberce. Una percentuale così ampia in favore del titolo legale fa presagire il peggio ma, saggiamente, sono stati anche diffusi i dati ripartiti regione per regione. Si può dunque notare che elevatissime percentuali in favore del mantenimento del valore legale si sono verificate in Calabria e in Puglia (fra il 78 e l'80%), mentre le più basse sono in Trentino e Lombardia (poco sopra il 60%). Per una curiosa coincidenza, l'Università di Trento è da tempo ritenuta la migliore in Italia per via della saggia amministrazione dei finanziamenti legati allo statuto speciale, oltre che ovviamente per la competenza dei professori locali (che non conosco ma di cui mi hanno parlato), per l'innegabile bellezza delle infrastrutture e già che ci siamo anche per l'altissima qualità della vita in città. Conosco meglio la scena in Lombardia dove guarda caso abbondano gli atenei funzionanti e dove è presente la maggiore concentrazione di collegi di merito che garantiscono un maggiore afflusso degli studenti migliori, facente fede la media d'esame. E stiamo tacendo dei dati raccolti all'estero, dove l'affetto per il valore legale supera a stento il 50% trattandosi di una consultazione condotta in un contesto nel quale vige l'idea che il titolo conti meno del saper effettivamente svolgere un determinato lavoro (esempio pratico: migliaia di laureati in lettere si trasferiscono da Oxford o Cambridge nella city di Londra dove intraprendono carriere legali o economiche; esempio autobiografico: io in Italia sono laureato in filosofia ma a Oxford lavoravo nella francesistica). Forse i dati diffusi dal ministero vogliono implicitamente suggerire che meglio funziona un'università meno si ritiene che il valore legale debba avere un peso, mentre si resta abbarbicati al valore legale nelle università i cui laureati, senza lo scudo dell'equiparazione de iure, mediamente incontrerebbero più problemi a combattere ad armi pari con i laureati d'altrove. Questa ovviamente è solo una teoria esile, sviluppata a occhio rimuginando i dati ministeriali per un mezzo minuto; ma chiunque può confutarla agevolmente ricordandomi il grande numero di diplomati lombardi che si trasferiscono a Bari per riuscire finalmente a frequentare un'università decente, senza contare le frotte di studentelli trentini che all'inizio di ogni anno accademico prendono d'assalto la Sila nella vana speranza di superare la rigida selezione che permetterebbe loro di studiare lì.
sabato 21 aprile 2012
Incredibile dictu, Stramaccioni e Trapattoni hanno in comune più cose di quanto credano, e di quanto suggerisca ogni ragionevolezza. Lo dimostra, benché con qualche doveroso distinguo, l'anticipo di questa settimana su Quasi Rete, che è Fiorentina-Inter 4-3 del 1989.
Certo, cambia il contesto: a inizio 1989 l'Inter era ancora imbattuta in tutto il corso del campionato mentre da un calcolo approfondito risulta che in questa stagione l'Inter abbia perso qualche partita in più; e bisogna anche tenere presente che nel ruolo di Brehme oggi gioca Nagatomo, Poli in quello di Matthaeus e che Ricky Alvarez sta avendo sulla squadra lo stesso identico effetto che all'epoca ebbe Madjer, con la differenza che il marocchino non passò mai le visite mediche e si limitò alle foto estive con maglietta nerazzurra e cappellino col biscione. Al suo posto Ramon Diaz, che da solo ne combinò più di Forlan e Zarate messi insieme. Per quanto mi sforzi, invece, non riesco a trovare nessuno che possa incarnare una degna preconizzazione di Obi.
Certo, cambia il contesto: a inizio 1989 l'Inter era ancora imbattuta in tutto il corso del campionato mentre da un calcolo approfondito risulta che in questa stagione l'Inter abbia perso qualche partita in più; e bisogna anche tenere presente che nel ruolo di Brehme oggi gioca Nagatomo, Poli in quello di Matthaeus e che Ricky Alvarez sta avendo sulla squadra lo stesso identico effetto che all'epoca ebbe Madjer, con la differenza che il marocchino non passò mai le visite mediche e si limitò alle foto estive con maglietta nerazzurra e cappellino col biscione. Al suo posto Ramon Diaz, che da solo ne combinò più di Forlan e Zarate messi insieme. Per quanto mi sforzi, invece, non riesco a trovare nessuno che possa incarnare una degna preconizzazione di Obi.
Non so se sia la più grande novità della politica italiana ma ieri ho avuto un illuminante colloquio con un amico che s'interrogava su quale partito, allo stato attuale delle cose, sia per lo meno decente votare alle prossime elezioni politiche, se mai ci saranno: "Beppe Grillo non se ne parla nemmeno perché il suo ideale di democrazia diretta estrema con certificati di garanzia distribuiti via internet metterebbe gli italiani che lavorano e producono qualche denaro in mano agli italiani che stanno seduti a casa e producono commenti mordaci sugli italiani che lavorano. Sinistra Ecologia e Libertà potrebbe darsi, ma solo perché Nichi Vendola andando al governo ridurrebbe l'Italia come la Puglia, con la differenza che non tutti gli italiani sono pugliesi e dopo un paio d'anni del suo governo di vaghe promesse brutte poesie e dispendiose politiche sociali, lungi dal bramare di rieleggerlo, lo rovescerebbero e ne approfitterebbero per scardinare il pachidermico e costosissimo sistema dello Stato: Nichi Vendola si ritroverebbe così a essere l'indiretto responsabile della fine dell'Italia e il voto per lui sarebbe obliquo, un metodo surrettizio per far saltare tutti i suoi sogni nazionali accondiscendendo sulle prime; ma è rischioso, perché fra gli italiani ci sono quanto meno i pugliesi che l'hanno eletto due volte e quindi sicuramente non tutti capirebbero una tattica tanto ardita. Il Pd sarebbe votabile solo a patto che cambi nome, simbolo, leader, vertici e programma; ma prima dovrebbe dotarsene. L'Italia dei Valori men che meno poiché, senza voler scomodare né Lucibello né Pacini Battaglia, l'idea che l'onestà debba essere l'unico metro di valutazione della politica è come pretendere che lo spazzolino da denti sia il criterio dirimente della critica enogastronomica. L'Udc è giunto all'eccesso di azzerare i vertici al precipuo scopo di sistemare Pierferdinando Casini al Quirinale invece di onorare con uno scatto d'orgoglio la croce che porta sul simbolo e cercare di reinstallarci il legittimo inquilino, il Papa. Il Partito della Nazione non esiste. Luca Cordero di Montezemolo ha organizzato Italia '90 (vinse la Germania), la Ferrari (vinceva sempre Hakkinen) e soprattutto la Juventus: lui la fece allenare da Maifredi, la squadra arrivò settima in campionato e gli Agnelli richiamarono di corsa Boniperti e Trapattoni, un po' come se dopo un anno di governo Montezemolo il presidente della repubblica facesse carte false per restaurare Formica e Cirino Pomicino. Gianfranco Fini, basta la parola. Il Pdl, che stando ad accurate indagini scientifiche risulta tuttora esistere, nel giro di tre anni ha tolto l'Ici e ha messo l'Imu. Se, come si vocifera, a seguito della riforma in senso proporzionale del sistema elettorale dovesse ricostituirsi un partito del Secolo d'Italia attorno alle ultime scintille della fiamma già annacquata, si tratterebbe comunque di una destra incatenata allo Stato etico per il quale ogni italiano è incantato d'amore a patto però che risulti etico con gli altri ma non con lui, e probabilmente non ne varrebbe la pena perché sarebbe una ratificazione dello status quo. La Lega in linea teorica sostiene idee condivisibili - come Calderoli quando disse testualmente che le tasse sono una cosa odiosa - ma all'atto pratico non è stata forte abbastanza da convincere un alleato di governo, liberista a chiacchiere, ad abbassare le aliquote o a favorire lo sviluppo; anzi, quando s'è trattato di riformare il sistema pensionistico ha reagito come una Camusso qualsiasi: è questo il vero problema della Lega, non i lingotti o i diamanti di Belsito, mentre il problema di Maroni non è tanto che sia l'esponente di un indipendentismo di sinistra quanto che abbia esplicitamente dichiarato di non contemplare il dogma dell'Italia ma di restare tuttavia un europeista convinto, il che è come dire che non vuoi restare nella padella perché credi nella brace. Che si vada a votare a ottobre o a marzo o a giugno o a ferragosto, in Italia manca l'unico partito votabile, un partito che batta il pugno sul tavolo e dica ciò che non si può dire, ovvero: l'Italia finisce (come da titolo di un bel vecchio libro di Prezzolini), è stato un esperimento durato centocinquant'anni e se dovesse risultare riuscito è bene andare avanti, ma se i risultati sono fallimentari come pare essere sotto gli occhi di tutti ognuno per la sua strada come la Cecoslovacchia; l'Europa un tempo era inutile ma oggi è dannosa, e c'è voluto ben meno di un secolo e mezzo per capire che l'esperimento è fallito quindi, che vi piaccia o no, arrivederci; i tedeschi sono liberi di comandare come vogliono, ma solo in Germania, e la Francia può bombardare la Libia quando le pare, ma solo con aerei e soldati francesi; l'unico elemento concreto che unisce l'Italia sono le chiese cattoliche che l'ammantano da cima a fondo pertanto l'integrazione a oltranza di immigrati di religione differente implica automaticamente la nostra disintegrazione; lo Stato non può essere il principale possessore di aziende privatizzate; le tasse sono il pagamento per un servizio, ma più è elevato il pagamento e meno soddisfacenti sono i servizi più si tende al limite del furto. Ci vuole un partito che abbia il coraggio di prendere le casse di tè e gettarle in mare allo scopo di liberare l'Italia dalla dominazione nordeuropea, da quella sino-magrebina e, se necessario, pure da quella italiana. In Italia l'unico partito votabile è quello che non c'è, l'unica novità ragionevole della politica italiana sarebbe la versione nostrana del Tea Party che, volendo localizzare, potremmo piuttosto chiamare Partito del Caffè. Tu cosa ne pensi?" "Prendo un'altra birra".
martedì 17 aprile 2012
Ricevo e pubblico:
Inizia a piegare impercettibilmente verso Sud la tournée in Padania con la quale Antonio Gurrado e Francesco Savio presentano Anticipi, posticipi, libro pubblicato da Italic Pequod e prefato da Roberto Beccantini che raccoglie le rispettive rubriche - appunto "L'anticipo" di Gurrado e "Il posticipo" di Savio. Giovedì 19 aprile Anticipi, posticipi sarà di scena alla libreria Feltrinelli di Modena (via Cesare Battisti, 17). Si inizierà alle ore diciotto e a presentare il tutto sarà un grande amico di Quasi Rete, il dottore-scrittore Claudio Gavioli, già medico sociale del Modena football club 1912 e autore di Quarto tempo, romanzo di calcio sesso e doping.
Inizia a piegare impercettibilmente verso Sud la tournée in Padania con la quale Antonio Gurrado e Francesco Savio presentano Anticipi, posticipi, libro pubblicato da Italic Pequod e prefato da Roberto Beccantini che raccoglie le rispettive rubriche - appunto "L'anticipo" di Gurrado e "Il posticipo" di Savio. Giovedì 19 aprile Anticipi, posticipi sarà di scena alla libreria Feltrinelli di Modena (via Cesare Battisti, 17). Si inizierà alle ore diciotto e a presentare il tutto sarà un grande amico di Quasi Rete, il dottore-scrittore Claudio Gavioli, già medico sociale del Modena football club 1912 e autore di Quarto tempo, romanzo di calcio sesso e doping.
venerdì 13 aprile 2012
La maglia dell’Udinese, però, è così bella: dismessa quella già fascinosissima degli anni precedenti, con la vasta banda nera verticale e aguzza al centro della divisa, ora la società ha optato per una speciosissima fascia bianca, di larghezza sesquipedale, che percorre dall’alta sinistra alla bassa destra la maglia lasciando una spalla e un fianco coperti di nero. Ironia estrema per una squadra che fa sempre un’arte del bianco e del nero appunto, lo sponsor è Agfacolor.
In compenso contro i valorosi friulani viene schierato un portiere col maglione paglierino. Siamo al 1985 e l'anticipo per Quasi Rete è Udinese-Inter 2-1.
In compenso contro i valorosi friulani viene schierato un portiere col maglione paglierino. Siamo al 1985 e l'anticipo per Quasi Rete è Udinese-Inter 2-1.
venerdì 6 aprile 2012
Se mai un giorno lontano, quando sarà compiuta l’agognata trasformazione degli Italiani in civilissimi Europei, dovremo essere grati a qualcuno per averci educati a comporre letteratura decente, costui risponderà al nome di Maria Damanaki: si tratta della gentildonna greca che funge da commissaria europea per gli affari marittimi e che intende impedire al commissario Montalbano di sbafare con riprovevole voluttà il novellame, insomma i pesciolini. La benemerita Damanaki censura a buon titolo il comportamento di Montalbano, sprezzante dell’evenienza che si tratti di un personaggio fittizio. Hanno un bel dire i soliti trogloditi sarcastici che è come voler proibire a Raskolnikov di uccidere le vecchiette o a Romeo di sperimentare un farmaco senza la previa autorizzazione del medico curante; la strada indicata dalla commissaria mostra in che direzione dobbiamo muoverci se vogliamo che la letteratura italiana diventi finalmente fruibile.
Su Tempi in edicola questa settimana mi lancio in una Storia della Letteratura Italiana rivista secondo le normative europee; roba che in confronto Francesco De Sanctis è un misero dilettante.
Su Tempi in edicola questa settimana mi lancio in una Storia della Letteratura Italiana rivista secondo le normative europee; roba che in confronto Francesco De Sanctis è un misero dilettante.
giovedì 5 aprile 2012
Il Napoli, imbattuto capolista del campionato, rende visita alla Lazio sfrattata al Flaminio per via della ristrutturazione mondiale dell’Olimpico. L’aria è festiva, sugli spalti campeggia lo striscione “Cin cin!”, forse non immemore di Umberto Smaila e delle signorine di Colpo Grosso che allora salvavano più di un matrimonio. Il mediano Andrea Icardi riesce lì dove Lothar Matthäus aveva fallito nella finale del Mundial ’86, ossia controllare a vista Maradona acciocché tocchi soltanto palle innocenti. Pedro Troglio in compenso semina il panico tanto che Volpi – mostrando la via ai venturi cronisti di Sky che per amor di esotismo inventeranno Ssanetti e Nagatomò – si vede costretto a ribattezzarlo Troghlio, con la g dura, come se volesse dribblare ogni assonanza con la triglia. Non è tutto: Cristiano Bergodi, che per fortuna non viene diluito in Bergiodi né francesizzato in Bergodì, semina mezza difesa partenopea e tira dritto su Di Fusco; questi, dignitoso ma inadeguato sostituto di Giuliani fra i pali del Napoli, respinge corto lì dove si avventa Amarildo da Souza Amaral.
Su Quasi Rete l'anticipo arriva in anticipo per via del Triduo Pasquale. Piccola cronaca di una piccola apocalisse di fine anno (sicuramente), fine decennio (forse) e fine ciclo maradoniano (ma non è detto): Lazio-Napoli 3-0 del 30 dicembre 1989.
Su Quasi Rete l'anticipo arriva in anticipo per via del Triduo Pasquale. Piccola cronaca di una piccola apocalisse di fine anno (sicuramente), fine decennio (forse) e fine ciclo maradoniano (ma non è detto): Lazio-Napoli 3-0 del 30 dicembre 1989.
L’itinerario parallelo dei due ideali fra 1848 e 1948 denota una netta differenza nella capacità di creare una mitologia condivisa: la monarchia ci riesce, la repubblica no. Il Regno d’Italia individua subito dei simboli concreti – lo scudo sabaudo, la festa dello Statuto Albertino, la persona stessa della regina Margherita – nei quali anche gli illetterati possano riconoscere l’identità fra nazione e trono o la necessità di un monarca per fare l’Italia. L’affermazione è talmente energica che fra i creatori del mito monarchico abbondano i repubblicani.
Sono trascorsi centocinquantun anni dall'unificazione, e sessantasei dal referendum, però gli italiani continuano ragionare come cinquanta milioni di monarchici esiliati in una repubblica. Spiego perché in un articolo sul Foglio in edicola oggi.
Sono trascorsi centocinquantun anni dall'unificazione, e sessantasei dal referendum, però gli italiani continuano ragionare come cinquanta milioni di monarchici esiliati in una repubblica. Spiego perché in un articolo sul Foglio in edicola oggi.
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