lunedì 23 aprile 2012
Sono molto significativi i dati diffusi dal ministero dell'università rispetto alla consultazione online sull'eventualità di privare del valore legale il titolo di laurea: in media, più del settanta per cento dei consultati (tutti afferenti a vario titolo a qualche università, da quel che s'è capito) ritiene che il titolo debba restare strettamente connesso al valore legale, e che privo di quest'ultimo sarebbe altrettanto privo di qualsiasi altro valore. Giova ricordare che uno degli aspetti connessi al valore legale della laurea è la permanenza dell'idea che fare l'università in un posto valga quanto farla in un altro: se ad esempio il valore legale della laurea in giardinaggio e bricolage è sempre lo stesso, all'atto pratico non fa alcuna differenza essersi laureati nell'ateneo che mette a disposizione degli alunni i migliori strumenti di giardinaggio e bricolage o in un postaccio dove le piallatrici sono vetuste e non si trova un'aiuola nemmeno pagandola in contanti. Se invece si elimina il valore legale, i laureati delle università migliori verranno ritenuti - a parità di titolo e di voto - migliori dei laureati delle università più scaberce. Una percentuale così ampia in favore del titolo legale fa presagire il peggio ma, saggiamente, sono stati anche diffusi i dati ripartiti regione per regione. Si può dunque notare che elevatissime percentuali in favore del mantenimento del valore legale si sono verificate in Calabria e in Puglia (fra il 78 e l'80%), mentre le più basse sono in Trentino e Lombardia (poco sopra il 60%). Per una curiosa coincidenza, l'Università di Trento è da tempo ritenuta la migliore in Italia per via della saggia amministrazione dei finanziamenti legati allo statuto speciale, oltre che ovviamente per la competenza dei professori locali (che non conosco ma di cui mi hanno parlato), per l'innegabile bellezza delle infrastrutture e già che ci siamo anche per l'altissima qualità della vita in città. Conosco meglio la scena in Lombardia dove guarda caso abbondano gli atenei funzionanti e dove è presente la maggiore concentrazione di collegi di merito che garantiscono un maggiore afflusso degli studenti migliori, facente fede la media d'esame. E stiamo tacendo dei dati raccolti all'estero, dove l'affetto per il valore legale supera a stento il 50% trattandosi di una consultazione condotta in un contesto nel quale vige l'idea che il titolo conti meno del saper effettivamente svolgere un determinato lavoro (esempio pratico: migliaia di laureati in lettere si trasferiscono da Oxford o Cambridge nella city di Londra dove intraprendono carriere legali o economiche; esempio autobiografico: io in Italia sono laureato in filosofia ma a Oxford lavoravo nella francesistica). Forse i dati diffusi dal ministero vogliono implicitamente suggerire che meglio funziona un'università meno si ritiene che il valore legale debba avere un peso, mentre si resta abbarbicati al valore legale nelle università i cui laureati, senza lo scudo dell'equiparazione de iure, mediamente incontrerebbero più problemi a combattere ad armi pari con i laureati d'altrove. Questa ovviamente è solo una teoria esile, sviluppata a occhio rimuginando i dati ministeriali per un mezzo minuto; ma chiunque può confutarla agevolmente ricordandomi il grande numero di diplomati lombardi che si trasferiscono a Bari per riuscire finalmente a frequentare un'università decente, senza contare le frotte di studentelli trentini che all'inizio di ogni anno accademico prendono d'assalto la Sila nella vana speranza di superare la rigida selezione che permetterebbe loro di studiare lì.