venerdì 9 luglio 2010

Be’, domani torno per le vacanze. Dopo un anno intero a Oxford non mi rivolgo a chi dice che stare in Italia non è affatto meglio o che andando all’estero ci si risparmia la decadenza patria, né a chi si lamenta sempre e non emigra mai. Oggi mi rivolgo ai vari Francesco, Anna, Barbara, Gaetano, Nicola, Ivan, Mersia, Rino, Sara, Silvia, Marco, Vito, Fabrizio, che sono italiani ma l’Italia la vedono solo col binocolo perché stanno in Inghilterra, in Francia, in Irlanda, in America e addirittura in Germania. Se da qualche parte trovate bancarelle di libri italiani, cercate per bene Non è ver che sia la morte… di Giovanni Mosca. È del 1941 e ha smesso di essere ristampato trent’anni fa. È romanzo di ottimo umorismo e contiene due pagine fatte apposta da cui cito fior da fiore: “Chi può amar la propria patria più di colui ne è stato lontano? Fin che ci vivi, è troppo grande per amarla tutta da un capo all’altro, per amarne, fino al più piccolo, tutti i paesi, tutti i monti, tutti i fiumi. Ma allontanatene, e da grande che era ti sembrerà piccolina, come una piazzetta con la chiesa la fontana e il campanile, e ne rimpiangerai ogni angolo, anche i non visti e i non conosciuti, e più ancora, anzi, questi che non gli amati e consueti: più dolorosa, più sottile della nostalgia di ciò che perdemmo è quella di ciò che avremmo potuto conoscere e non conoscemmo. Oh patria, così piccola sei e t’amo tanto da confondere l’amore per te con quello per mia madre ch’è una piccola donna senza monti e senza fiumi, senza strade e senza colonne. (…) E se non dalla patria t’allontanassi, ma addirittura, per mezzo di bolidi interplanetari, dalla Terra, sentiresti la nostalgia del globo, difficile a spiegarsi, da nessuno mai, sino ad ora, provata. Rimpiangeresti le Filippine, l’Honduras, mai visti, mai conosciuti. Anche il più piccolo dei paesi della Cina, anche il Connecticut. Pensi mai al Connecticut oggi che sei sulla Terra? Milioni di uomini si curano del Connecticut quanto della polvere dei loro tacchi. Ma toglieteli dalla Terra, portateli sulla Luna, e moriranno gridando: Mamma e Connecticut”.

giovedì 8 luglio 2010

Come si fa a fidarsi di uno che legge Repubblica? Va a finire che prima ti chiede come stai poi fraintende la tua risposta, la diffonde in maniera tendenziosa, sbaglia lo spelling del tuo cognome, ti attribuisce informazioni biografiche erronee prese a casaccio da internet; se lo chiami per chiarire le cose pubblica il testo della telefonata per due settimane di fila; se ti azzardi a riattaccare ti trovi la porta di casa sommersa di post-it gialli in cui rivendica il diritto alla libertà di parola – la sua.

mercoledì 7 luglio 2010

Franco Arminio, per capire Vento forte tra Lacedonia e Candela (esercizi di paesologia) bisogna leggerlo al tavolo di un pub su Euston Road, nel centro più confuso di Londra, assaliti a sinistra dalla radio a tutto volume più cento schermi accesi e a destra dal traffico su quattro corsie di macchine a migliaia. Che piacere allora, che gaudio, che sollievo sgranare un rosario di paesi – Bisaccia, Aquilonia, Fontanarosa, Prata di Principato Ultra – e immaginare posti in cui la gente non lavora perché si sopravvive lo stesso, non corre perché non c’è nessun posto dove precipitarsi, sta in silenzio perché non c’è niente da dire. Viene voglia di prendere Londra, dividerla in gruppi di cento persone e zittirla distribuendola nei paesi dell’Irpinia, tutti uguali e tutti silenziosi. Poi leggo: “Il silenzio dei piccoli paesi è un grande nutrimento per il visitatore occasionale, è un ronzio fastidioso per chi lo abita ogni giorno”. Allora non c’è speranza.

martedì 6 luglio 2010

Carloleveide, parte terza. Effetti del trasferimento dalla Puglia all’Inghilterra. Trovo scritto in Cristo si è fermato a Eboli: “È usanza, qui, che i signori, quando incontrano qualcuno per via, non gli chiedano come sta ma gli rivolgano a mo’ di saluto questa domanda: Be’, cos’hai mangiato oggi?”. A occhio presumo che i ricchi rispondano timballo, i borghesi mozzarella, i poveri rape e tutti loro abbiano una digestione pressoché ideale. Oggi, appena esco di casa, se qualcuno mi chiede come sto risponderò: “Bacon”.

lunedì 5 luglio 2010

Carloleveide, parte seconda. Tutti i distinguo, le gradazioni, le sfumature e gli alambicchi per definire i rapporti fra uomo e donna (amico e basta, più che sorella, meno che marito, quasi fidanzato, semi-amante, vice-puttana, gigolò onorifico, cicisbeo a tempo determinato, pacs, dico e così via) sono invenzioni della città dove la sovrastruttura prende il sopravvento sull’essenza dei rapporti. I rapporti possibili fra uomo e donna sono solamente uno (o due, secondo la celebre definizione di Oscar Wilde: far l’amore con una donna se è bella, fare l’amore con un’altra se è brutta). Nei paesi si sta contenti al quia e non si guarda tanto per il sottile, come spiega mirabilmente Cristo si è fermato a Eboli: “Se un uomo e una donna si trovano insieme al riparo e senza testimoni, nulla può impedire che essi si abbraccino: (…) trovarsi insieme è fare all’amore”. Chi non lo ammette è un ipocrita, chi non ne approfitta è un impotente.