Un trentaseienne le scrive chiedendo se immedesimarsi nelle attrici mentre guarda porno su internet lo renda automaticamente gay o transessuale, magari inconsciamente visto che nella vita vera non mette in atto le proprie fantasie; e lei, con la santa pazienza, gli risponde di smettere di preoccuparsi perché le fantasie non influiscono sulla vita vera, altrimenti con le copie che ha venduto Cinquanta sfumature sarebbero esaurite fruste e manette in tutte le rivendite da Londra a Vanuatu.
La lei in questione è Mariella Frostrup, che tiene sull'Observer la posta del cuore dei progressisti inglesi e che dalla prossima settimana commenterà dal vivo in tv le prestazioni sessuali di britannici che si accoppieranno in una scatola insonorizzata con le telecamere intorno. La trasmissione si chiamerà Sex Box. Sul Foglio di oggi spiego perché non è un format trasgressivo ma politicamente corretto.
sabato 28 settembre 2013
mercoledì 25 settembre 2013
Se da un dialogo franco ma rispettoso può partire un percorso intellettuale florido, da cui entrambe le parti in causa possono trarre vantaggio, è vero altresì che questo dialogo non è possibile fino a che le due parti non riescano a trovare un terreno comune sul quale confrontarsi e, soprattutto, un linguaggio intermedio sul quale intendersi onde evitare sgradevoli equivoci. Non sempre è facile perché, quale che sia la posizione che si sostiene, risulta spesso difficile - quanto meno per abitudine - abbandonare l'argomentazione consueta, magari un po' ritrita. L'alternativa è allora incontrarsi in una soluzione di compromesso in cui scambiarsi proficuamente forma e contenuto: ad esempio, per dialogare con gli intellettuali non credenti, Bergoglio e Ratzinger hanno deciso di adottare la loro forma, ossia la lettera/articolo sul giornale che racchiude le loro opinioni più preziose, Repubblica. A questo punto è giusto riconoscere che nemmeno il quotidiano di largo Fochetti è rimasto con le mani in mano ed è infatti subito corso incontro operoso alle istanze dei Papi, riconoscendone implicitamente la statura teologica nell'adottare senza indugio il loro contenuto, ossia il lessico evangelico. Ancora non si era spenta l'eco della formidabile lettera di papa Francesco a Eugenio Scalfari che, evidentemente mossa a sincera conversione del cuore, Repubblica ha subito porto Odifreddi, l'altra guancia.
domenica 22 settembre 2013
Papa Francesco, Eugenio Scalfari, il Messaggero di Sant'Antonio, il Concilio, Attila, l'Enciclica, la porta stretta, l'Illuminismo, gli ebrei, l'Innominato, Horacio Verbitsky, Leo Messi, il filo del peccato e la R maiuscola. Tutto questo nel mio commento alla lettera del Papa a Repubblica, ora disponibile anche sul sito di Tempi.
sabato 21 settembre 2013
Lo aveva detto Horacio Verbitsky, che a Buenos Aires aveva studiato Bergoglio per benino: sinistra globale, attenta, questo ti rivolta come un calzino perché ha l'umanità di Wojtyla, la dottrina di Ratzinger, la stoffa politica di entrambi sommati e va bene le scarpe comode, va bene la macchina a diesel, ma è gesuita, non francescano.
Su Tempi in edicola questa settimana azzardo cinque pagine di analisi tattico-dottrinale della risposta a Scalfari scritta su Repubblica da Papa Francesco, il teologo immarcabile.
Su Tempi in edicola questa settimana azzardo cinque pagine di analisi tattico-dottrinale della risposta a Scalfari scritta su Repubblica da Papa Francesco, il teologo immarcabile.
venerdì 20 settembre 2013
Libertà di parola è un interessante libretto divulgativo di Nigel Warburton, pubblicato in Inghilterra qualche anno fa e appena tradotto per i tipi di Raffaello Cortina Editore. Warburton parte dall'assunto che essere favorevoli alla libertà di parola tout court non ha senso: bisogna piuttosto interrogarsi su dove porre un limite alla libertà di parola; ha senso infatti dichiarare di essere favorevoli alla libertà di parola fin qui e non oltre, e discutere su dove piazzare il "qui". Al riguardo Warburton espone la teoria di On Liberty di John Stuart Mill e a questa luce analizza alcuni casi estremi del nostro tempo, i quali hanno immancabilmente a che fare con i due confini più intimi dell'identità individuale: il sesso e la religione.
Questo riassuntino è a beneficio del prefatore, il quale si affanna invece per capire se in Italia ci sia un problema con la libertà di parola dovuto a cause per diffamazione e leggi bavaglio. Non si può pretendere tutto, quindi pazienza. Spiace dirlo ma lo stesso prefatore è anche traduttore. A pagina 47 va in confusione sulla Oxford Union, facendo capire che con ogni evidenza non ha ben chiaro cosa sia e soprattutto che non ha avuto tempo di documentarsi. Peccato perché gli sarebbe bastata una ricognizione su google per scoprire che si tratta della più celebre associazione di studenti oxoniensi, un po' presuntuosi in verità, di cui è stato dirigente anche il giovane Tony Blair. Ma non è grave.
A pagina 59 inciampa in una parentesi sulla canzoncina che conclude il film Brian di Nazareth e sbaglia la traduzione perché non ha presente chi canti e in che contesto; di conseguenza non può capire che forma verbale venga usata nella citazione. Peccato perché se avesse cercato su youtube avrebbe trovato lo spezzone e se avesse guardato l'intero film dei Monty Python si sarebbe anche divertito oltre ad avere qualche nozione in più su un caso al quale Warburton dedica un paio di pagine. Ma nemmeno questo è grave.
A pagina 109 definisce "poesia" The Waste Land di T.S. Eliot, confondendo un poema lungo complesso e articolato con l'Infinito o forse con la Vispa Teresa. Non sarà grave neanche questo, volendo, ma tre indizi fanno una prova e mi viene spontaneo invocare un preciso limite alla libertà di parola dei traduttori. Voglio ben vedere se, dopo l'ardita prefazione che ha scritto, gli viene da farmi causa per diffamazione o da invocare una legge bavaglio per i lettori.
Questo riassuntino è a beneficio del prefatore, il quale si affanna invece per capire se in Italia ci sia un problema con la libertà di parola dovuto a cause per diffamazione e leggi bavaglio. Non si può pretendere tutto, quindi pazienza. Spiace dirlo ma lo stesso prefatore è anche traduttore. A pagina 47 va in confusione sulla Oxford Union, facendo capire che con ogni evidenza non ha ben chiaro cosa sia e soprattutto che non ha avuto tempo di documentarsi. Peccato perché gli sarebbe bastata una ricognizione su google per scoprire che si tratta della più celebre associazione di studenti oxoniensi, un po' presuntuosi in verità, di cui è stato dirigente anche il giovane Tony Blair. Ma non è grave.
A pagina 59 inciampa in una parentesi sulla canzoncina che conclude il film Brian di Nazareth e sbaglia la traduzione perché non ha presente chi canti e in che contesto; di conseguenza non può capire che forma verbale venga usata nella citazione. Peccato perché se avesse cercato su youtube avrebbe trovato lo spezzone e se avesse guardato l'intero film dei Monty Python si sarebbe anche divertito oltre ad avere qualche nozione in più su un caso al quale Warburton dedica un paio di pagine. Ma nemmeno questo è grave.
A pagina 109 definisce "poesia" The Waste Land di T.S. Eliot, confondendo un poema lungo complesso e articolato con l'Infinito o forse con la Vispa Teresa. Non sarà grave neanche questo, volendo, ma tre indizi fanno una prova e mi viene spontaneo invocare un preciso limite alla libertà di parola dei traduttori. Voglio ben vedere se, dopo l'ardita prefazione che ha scritto, gli viene da farmi causa per diffamazione o da invocare una legge bavaglio per i lettori.
giovedì 19 settembre 2013
Prolisso, ingessato, quello che vi pare, il discorso di Berlusconi (meglio scritto che pronunciato) fila liscio fino all'elenco dei motivi per i quali, cito, "riprendere in mano la bandiera di Forza Italia". Berlusconi puntella l'argomentazione ricorrendo alle anafore come nel 1763 il poeta religioso Christopher Smart aveva espresso i motivi per cui ringraziare Dio nello sterminato carme Jubilate Agno: perché... perché... perché...., ripetuto centinaia e centinaia di volte. Berlusconi si limita a sei.
Al quarto "perché" ho un sussulto. "Perché Forza Italia difende i valori della nostra tradizione cristiana, il valore della vita, della famiglia, della solidarietà, della tolleranza verso tutti a cominciare dagli avversari". Ha veramente detto "tradizione cristiana"? Riascolto il video, rileggo la sbobinatura; l'ha detto davvero. E' una considerazione incidentale che prende in contropiede coloro che si aspettavano una tiritera sulla magistratura politicizzata, ma li prende talmente in contropiede che non se ne accorgono e continuano a parlare di attacco alla giustizia, ritorno al passato, toni da guerra fredda, senza avvedersi che negli ultimi minuti di discorso Berlusconi li ha distanziati e se n'è andato per conto proprio, seguendo la corda pazza in una direzione imprevista.
Segue, grossomodo, la direzione di Edmund Burke, che al marasma della Rivoluzione Francese contrappose l'ideale di una società di plotoncini ("little platoons") di cittadini, famiglie raccolte in vicinati circoscritti che si aiutano a vicenda, proteggono l'uno la vita dell'altro e soprattutto ne garantiscono la libertà a discapito delle differenze che li separano. Gli echi nel discorso di Berlusconi sono impressionanti: vuole "un progetto nazionale che unisce tutti", "uomini che amano la libertà e che vogliono restare liberi", "lo Stato al servizio dei cittadini e non invece i cittadini al servizio dello Stato". E' Burke il ghost writer di Berlusconi? Non lo so, non credo, è morto nel 1797. Fatto sta che intanto la teoria di Burke è stata ripescata nel progetto della Big Society di David Cameron, il quale intanto poteva auspicare questi benevoli plotoncini in quanto i Conservatori hanno (o dovrebbero avere) un'idea della società fortemente radicata sulla religione: addirittura soleva dirsi che la Chiesa d'Inghilterra fosse il Partito Conservatore inginocchiato a pregare.
Berlusconi ha in mente qualcosa del genere? E' questo il senso della difesa della tradizione cristiana, l'idea che una società politica possa funzionare solo se se ne attuano i valori? Non lo so, spero di sì e il seguito del discorso mi lascia ben sperare. Rinvengo un'esplicita spia lessicale quando invita i cittadini, che dovrebbero essere mossi alla partecipazione politica e all'aggregazione nei famosi plotoncini, a farsi "missionari della libertà". Di tutte le metafore che poteva scovare, sceglie proprio quella religiosa; sarà per caso? Ascolto con crescente attenzione e quasi svengo quando decide di concludere il discorso culminando in un appello che non parla né di giudici da destituire né di tasse da abbattere: "La libertà è l'essenza dell'uomo e Dio, creando l'uomo, l'ha voluto libero".
Punto primo, a quasi cinquecento anni dalle Tesi di Wittenberg finalmente arriva un ceffone in pieno viso a Martin Lutero e al suo servo arbitrio. Punto secondo, il Dio di Berlusconi non è un Dio da baciapile, che decide della gestualità rituale ma rende molli o imbelli di fronte ai grandi temi della vita e della politica; è un Dio che decide dell'essenza dell'uomo, è un Dio da combattimento. Punto terzo, avete mai sentito Pierferdinando Casini, leader dell'unico partito teoricamente confessionale d'Italia, l'unico che sfoggi una croce sullo stemma, parlare di Dio? - attenzione, non di preti o gerarchie o di politichetta d'Oltretevere: proprio di Dio? Punto quarto, potrei sbagliarmi ma magari un domani il videomessaggio di Berlusconi sarà ricordato non tanto come l'inizio della sua fine quanto come il ritorno di Dio nella politica d'Italia, dopo il tacito allontanamento coatto al quale non si oppose la Democrazia Cristiana.
[Poscritto: Christopher Smart scrisse Jubilate Agno in manicomio.]
Al quarto "perché" ho un sussulto. "Perché Forza Italia difende i valori della nostra tradizione cristiana, il valore della vita, della famiglia, della solidarietà, della tolleranza verso tutti a cominciare dagli avversari". Ha veramente detto "tradizione cristiana"? Riascolto il video, rileggo la sbobinatura; l'ha detto davvero. E' una considerazione incidentale che prende in contropiede coloro che si aspettavano una tiritera sulla magistratura politicizzata, ma li prende talmente in contropiede che non se ne accorgono e continuano a parlare di attacco alla giustizia, ritorno al passato, toni da guerra fredda, senza avvedersi che negli ultimi minuti di discorso Berlusconi li ha distanziati e se n'è andato per conto proprio, seguendo la corda pazza in una direzione imprevista.
Segue, grossomodo, la direzione di Edmund Burke, che al marasma della Rivoluzione Francese contrappose l'ideale di una società di plotoncini ("little platoons") di cittadini, famiglie raccolte in vicinati circoscritti che si aiutano a vicenda, proteggono l'uno la vita dell'altro e soprattutto ne garantiscono la libertà a discapito delle differenze che li separano. Gli echi nel discorso di Berlusconi sono impressionanti: vuole "un progetto nazionale che unisce tutti", "uomini che amano la libertà e che vogliono restare liberi", "lo Stato al servizio dei cittadini e non invece i cittadini al servizio dello Stato". E' Burke il ghost writer di Berlusconi? Non lo so, non credo, è morto nel 1797. Fatto sta che intanto la teoria di Burke è stata ripescata nel progetto della Big Society di David Cameron, il quale intanto poteva auspicare questi benevoli plotoncini in quanto i Conservatori hanno (o dovrebbero avere) un'idea della società fortemente radicata sulla religione: addirittura soleva dirsi che la Chiesa d'Inghilterra fosse il Partito Conservatore inginocchiato a pregare.
Berlusconi ha in mente qualcosa del genere? E' questo il senso della difesa della tradizione cristiana, l'idea che una società politica possa funzionare solo se se ne attuano i valori? Non lo so, spero di sì e il seguito del discorso mi lascia ben sperare. Rinvengo un'esplicita spia lessicale quando invita i cittadini, che dovrebbero essere mossi alla partecipazione politica e all'aggregazione nei famosi plotoncini, a farsi "missionari della libertà". Di tutte le metafore che poteva scovare, sceglie proprio quella religiosa; sarà per caso? Ascolto con crescente attenzione e quasi svengo quando decide di concludere il discorso culminando in un appello che non parla né di giudici da destituire né di tasse da abbattere: "La libertà è l'essenza dell'uomo e Dio, creando l'uomo, l'ha voluto libero".
Punto primo, a quasi cinquecento anni dalle Tesi di Wittenberg finalmente arriva un ceffone in pieno viso a Martin Lutero e al suo servo arbitrio. Punto secondo, il Dio di Berlusconi non è un Dio da baciapile, che decide della gestualità rituale ma rende molli o imbelli di fronte ai grandi temi della vita e della politica; è un Dio che decide dell'essenza dell'uomo, è un Dio da combattimento. Punto terzo, avete mai sentito Pierferdinando Casini, leader dell'unico partito teoricamente confessionale d'Italia, l'unico che sfoggi una croce sullo stemma, parlare di Dio? - attenzione, non di preti o gerarchie o di politichetta d'Oltretevere: proprio di Dio? Punto quarto, potrei sbagliarmi ma magari un domani il videomessaggio di Berlusconi sarà ricordato non tanto come l'inizio della sua fine quanto come il ritorno di Dio nella politica d'Italia, dopo il tacito allontanamento coatto al quale non si oppose la Democrazia Cristiana.
[Poscritto: Christopher Smart scrisse Jubilate Agno in manicomio.]
giovedì 12 settembre 2013
A pregare non cresce l'erba: questa è la grande scoperta del positivismo. Ne "L'illusione di Dio" Richard Dawkins riporta l'aneddoto secondo cui lo statistico e meteorologo inglese Francis Galton, cugino di Darwin e coniatore del termine "eugenetica", s'inginocchiò a pregare nei campi per vedere se le piante sarebbero cresciute più in fretta. Naturalmente non avvenne e lui ne trasse ulteriore conferma dell'inutilità della preghiera.
Sul Foglio in edicola oggi parlo delle Indagini statistiche sull'efficacia della preghiera che Francis Galton scrisse nel 1872 e che sono appena state tradotte per la prima volta in Italiano dall'editore Il Melangolo.
Sul Foglio in edicola oggi parlo delle Indagini statistiche sull'efficacia della preghiera che Francis Galton scrisse nel 1872 e che sono appena state tradotte per la prima volta in Italiano dall'editore Il Melangolo.
mercoledì 11 settembre 2013
Spero che non esistano, ma eventuali gurradomani che volessero venire a Modena per seguire esclusivamente le conferenze che introduco io possono segnarsi il calendario che illustro di seguito. Venerdì 13 settembre alle 10, in piazzale Re Astolfo a Carpi, presento Eugenio Lecaldano che parla della Teoria dei sentimenti morali di Adam Smith, e lì di seguito, alle 11:30, Virgilio Melchiorre che parla del Diario di un seduttore di Kierkegaard. Sempre venerdì 13, alle 21, in Piazza Grande a Modena presento la serata con Massimo Gramellini. Sabato 14 invece, a Sassuolo, in piazzale Avanzini alle 10 presento la lezione magistrale "Legami, relazioni e tradimenti" di Gabriella Turnaturi; sempre a Sassuolo, ma in piazza Garibaldi alle 11:30, presento quella di Luc Ferry intitolata "Matrimonio d'amore". Sabato sera invece, a Modena alle 21, introduco la lettura di Patrizia Valduga a Palazzo Santa Margherita (vulgo biblioteca Delfini). Domenica infine, alle 16:30 in Piazza Grande a Modena, presento la lezione di Franco La Cecla su "Il campo maschile".
sabato 7 settembre 2013
In The Art of the Novel, in cui sono raccolte tutte le prefazioni anteposte da Henry James ai propri romanzi, viene spiegato che molte delle sue impeccabili pagine narrative non erano che il frutto di lunghe passeggiate che gli suscitavano episodi e riordinavano i pensieri. Io, oggi, avevo intenzione di scrivere ma non sapevo cosa; forse qualcosa su Corrado Augias, celebre autore de I segreti di Roma, I segreti di Parigi, I segreti di Londra, I segreti di New York, il quale, avendo finito le città o magari i segreti, ha scritto Inchiesta su Gesù e ora, freschissima, Inchiesta su Maria; ormai il cerchio si chiude attorno a San Giuseppe, mentre si vocifera che i Re Magi stiano già latitando in un qualche paradiso fiscale.
Eppure, sarebbe valsa la pena di scriverne? Immerso in questi pensieri camminavo chiedendomi se fosse possibile scindere la forma dal contenuto, ovvero se si potesse scrivere nella consapevolezza di non avere nulla da scrivere, a parte Corrado Augias, quand'ecco che all'angolo fra Strada Nuova e Piazza Vittoria, lì dove riluce Annabella, nel punto di massima intensità peripatetica a causa dell'incrocio fra cardo e decumano, mi si para dinanzi un giovinetto e mi porge un volantino. Lo raccolgo, presumendo che si tratti del banchetto per la sottoscrizione dei referendum radicali, ma mi accorgo che il simbolo è diverso - una spada bianca a separare due lettere maiuscole su fondo nero - e che inoltre gli attivisti all'ombra del gazebo sono tutti ragazzini, in numero pari alla metà di agenti delle forze dell'ordine che li circondano, e ciascuno a sua volta alto e grosso la metà di ogni poliziotto.
Proseguendo la camminata, perizio il volantino. Sarà forse la pubblicità di una qualche mascherata medievale? Reca infatti il ritratto stilizzato di un battaglione di guerrieri tardoantichi, lancia in resta e spazzolone in testa, sovrastati dal motto "Fiero l'occhio svelto il passo". Macché. Si tratta del gruppo Lotta Studentesca, il cui programma non è la riorganizzazione dell'umanità per centurie bensì - spiega il retro - "sensibilizzare l'opinione pubblica sul futuro incerto che attende noi giovani". Li attendono infatti, in stampatello grassetto, "precariato, apprendistato, disoccupazione, cassa integrazione, licenziamenti. Etc...". Soprattutto non li attende "alcuna prospettiva di un qualsiasi lavoro fisso", sottolineato addirittura a significare che tale è la meta verso la quale marcia invitto il battaglione stilizzato; è la scrivania sempiterna, con ferie pagate e scatti d'anzianità, ciò che esige lo spadone erto fra la elle e la esse maiuscole, torreggiante nel cerchietto nero.
"Anche tu", impetra il volantino preparandosi a un profluvio di punti esclamativi, "aiutaci in questa cruciale battaglia peril nostro futuro!!!". Peril tutto attaccato, come l'aulico termine inglese per periglio. E culmina, l'appello, in cubitale: "No al governo Monti!!!". Rileggo; è scritto proprio Monti. O sanno qualcosa che io non so, i giovani centurioni, oppure l'occhio sarà pur vispo, fiero, quello che è, ma il passo proprio svelto non mi sembra.
Eppure, sarebbe valsa la pena di scriverne? Immerso in questi pensieri camminavo chiedendomi se fosse possibile scindere la forma dal contenuto, ovvero se si potesse scrivere nella consapevolezza di non avere nulla da scrivere, a parte Corrado Augias, quand'ecco che all'angolo fra Strada Nuova e Piazza Vittoria, lì dove riluce Annabella, nel punto di massima intensità peripatetica a causa dell'incrocio fra cardo e decumano, mi si para dinanzi un giovinetto e mi porge un volantino. Lo raccolgo, presumendo che si tratti del banchetto per la sottoscrizione dei referendum radicali, ma mi accorgo che il simbolo è diverso - una spada bianca a separare due lettere maiuscole su fondo nero - e che inoltre gli attivisti all'ombra del gazebo sono tutti ragazzini, in numero pari alla metà di agenti delle forze dell'ordine che li circondano, e ciascuno a sua volta alto e grosso la metà di ogni poliziotto.
Proseguendo la camminata, perizio il volantino. Sarà forse la pubblicità di una qualche mascherata medievale? Reca infatti il ritratto stilizzato di un battaglione di guerrieri tardoantichi, lancia in resta e spazzolone in testa, sovrastati dal motto "Fiero l'occhio svelto il passo". Macché. Si tratta del gruppo Lotta Studentesca, il cui programma non è la riorganizzazione dell'umanità per centurie bensì - spiega il retro - "sensibilizzare l'opinione pubblica sul futuro incerto che attende noi giovani". Li attendono infatti, in stampatello grassetto, "precariato, apprendistato, disoccupazione, cassa integrazione, licenziamenti. Etc...". Soprattutto non li attende "alcuna prospettiva di un qualsiasi lavoro fisso", sottolineato addirittura a significare che tale è la meta verso la quale marcia invitto il battaglione stilizzato; è la scrivania sempiterna, con ferie pagate e scatti d'anzianità, ciò che esige lo spadone erto fra la elle e la esse maiuscole, torreggiante nel cerchietto nero.
"Anche tu", impetra il volantino preparandosi a un profluvio di punti esclamativi, "aiutaci in questa cruciale battaglia peril nostro futuro!!!". Peril tutto attaccato, come l'aulico termine inglese per periglio. E culmina, l'appello, in cubitale: "No al governo Monti!!!". Rileggo; è scritto proprio Monti. O sanno qualcosa che io non so, i giovani centurioni, oppure l'occhio sarà pur vispo, fiero, quello che è, ma il passo proprio svelto non mi sembra.
di che si parla?
almanacco del giorno stesso,
radio londra
giovedì 5 settembre 2013
In tempi di turbocapitalismo e crisi e furore a grappoli quale editore meglio di Feltrinelli potrebbe infatti valorizzare un grande arrabbiato come Luciano Bianciardi, che proprio il fondatore Giangiacomo aveva chiamato a Milano all'apertura della nuova impresa?
Se non che, pubblicando nuove edizioni de Il lavoro culturale e La vita agra, Feltrinelli s'è dimenticata L'integrazione, il romanzo di mezzo in cui si può leggere dei primi passi della casa editrice che a questo punto passerà alla storia per avere inventato la trilogia col buco. I dettagli sul Foglio di oggi.
Se non che, pubblicando nuove edizioni de Il lavoro culturale e La vita agra, Feltrinelli s'è dimenticata L'integrazione, il romanzo di mezzo in cui si può leggere dei primi passi della casa editrice che a questo punto passerà alla storia per avere inventato la trilogia col buco. I dettagli sul Foglio di oggi.
mercoledì 4 settembre 2013
L'editore Utet ha appena pubblicato il nuovo libro di un'affermata filosofa e scrittrice, un'autorità negli ambienti della società culturale parigina, che s'intitola L'amore è tutto: è tutto ciò che so dell'amore e che, come tale, si colloca al punto esatto di congiunzione fra due filoni del pensiero occidentale.
Uno è quello di Platone, La Repubblica, Aristotele, Metafisica, Sant'Agostino, La città di Dio, San Tommaso, Summa theologiae, Niccolò Machiavelli, Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, Thomas Hobbes, Leviatano, Renato Cartesio, Meditazioni metafisiche, Baruch Spinoza, Ethica more geometrico demonstrata, Isaac Newton, Principii matematici di filosofia naturale, John Locke, Saggio sull'intelletto umano, David Hume, Ricerca sull'intelletto umano, Immanuel Kant, De mundi sensibilis atque intelligibilis forma et principiis, Johann Gottlieb Fichte, Fondamenti dell'intera dottrina della scienza, Friedrich Wilhelm Joseph Schelling, Sull'Io come principio della filosofia e sull'incondizionato nel sapere umano, Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Fenomenologia dello spirito, Arthur Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, Soeren Kierkegaard, Enten-eller, Ludwig Feuerbach, L'essenza del Cristianesimo, Karl Marx, Il capitale, Friedrich Wilhelm Nietzsche, Al di là del bene e del male.
L'altro è quello di Claire Dyer, Tutto questo parlare d'amore, Catherine Dunne, Tutto per amore, Colleen Hoover, Tutto ciò che sappiamo dell'amore, Cecilia Samartin, Tutto l'amore di Nonna Lola, Giuseppe Di Costanzo, Tutto tranne l'amore, Drago Lopez Jordan Lora, Più forte di tutto l'amore, Emily Griffin, Tutto per amore o quasi, Fiona Neill, Tutto l'amore che c'è, Giovanna Melita, Dove l'amore può tutto, Francesca Colosi, Tutto è perduto fuorché l'amore, Wilfrid Stinissen, Più grande di tutto è l'amore, Monica Santucci, Tutto l'amore, Novello Pederzini, Tutto per amore, tutto con amore, Elena Narbone, Con tutto il mio amore, Sandro Carriero, Con tutto l'amore, Francesca Tinelli, L'amore... e tutto il resto, Bell Hooks, Tutto sull'amore, Alfredo Trotta, Tutto per amore, Salvatore Saladino, L'amore nonostante tutto.
Uno è quello di Platone, La Repubblica, Aristotele, Metafisica, Sant'Agostino, La città di Dio, San Tommaso, Summa theologiae, Niccolò Machiavelli, Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, Thomas Hobbes, Leviatano, Renato Cartesio, Meditazioni metafisiche, Baruch Spinoza, Ethica more geometrico demonstrata, Isaac Newton, Principii matematici di filosofia naturale, John Locke, Saggio sull'intelletto umano, David Hume, Ricerca sull'intelletto umano, Immanuel Kant, De mundi sensibilis atque intelligibilis forma et principiis, Johann Gottlieb Fichte, Fondamenti dell'intera dottrina della scienza, Friedrich Wilhelm Joseph Schelling, Sull'Io come principio della filosofia e sull'incondizionato nel sapere umano, Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Fenomenologia dello spirito, Arthur Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, Soeren Kierkegaard, Enten-eller, Ludwig Feuerbach, L'essenza del Cristianesimo, Karl Marx, Il capitale, Friedrich Wilhelm Nietzsche, Al di là del bene e del male.
L'altro è quello di Claire Dyer, Tutto questo parlare d'amore, Catherine Dunne, Tutto per amore, Colleen Hoover, Tutto ciò che sappiamo dell'amore, Cecilia Samartin, Tutto l'amore di Nonna Lola, Giuseppe Di Costanzo, Tutto tranne l'amore, Drago Lopez Jordan Lora, Più forte di tutto l'amore, Emily Griffin, Tutto per amore o quasi, Fiona Neill, Tutto l'amore che c'è, Giovanna Melita, Dove l'amore può tutto, Francesca Colosi, Tutto è perduto fuorché l'amore, Wilfrid Stinissen, Più grande di tutto è l'amore, Monica Santucci, Tutto l'amore, Novello Pederzini, Tutto per amore, tutto con amore, Elena Narbone, Con tutto il mio amore, Sandro Carriero, Con tutto l'amore, Francesca Tinelli, L'amore... e tutto il resto, Bell Hooks, Tutto sull'amore, Alfredo Trotta, Tutto per amore, Salvatore Saladino, L'amore nonostante tutto.
domenica 1 settembre 2013
In Italia la destra è in crisi d'identità: si vede da come ha reagito alla nomina dei nuovi senatori a vita. Anziché stare a fare micragnose questioni su come vengono spesi i soldi della gggente o sull'evenienza di sostituire Abbado con Muti e Rubbia con Albertazzi, una destra autenticamente patriottica avrebbe piuttosto dovuto constatare che i quattro nuovi senatori devono ampia portata e pieno riconoscimento della propria fama a terre straniere: Abbado ai Berliner Philharmoniker, la Cattaneo al Mit di Boston, Piano a un concorso parigino per architetti emergenti e Rubbia al Cern di Ginevra. I quattro laticlavi certificano, sigillano e ceralaccacno l'idea che l'Italia è ormai periferia, landa di emigrazione culturale colonizzata nell'animo più profondo.
Una destra autenticamente aristocratica, promotrice del riconoscimento dei meriti dei più bravi, ne avrebbe invece approfittato per auspicare che non quattro ma trecentoquindici fossero i senatori di nomina presidenziale (di nomina regia sarebbe meglio, ma è un discorso lungo), quale espressione delle eccellenze della nazione in ogni settore anziché dell'arbitrio del popolo mitigato da un premio di maggioranza su base regionale. Se andate in Gran Bretagna e parlate foss'anche col più ottusamente progressista dei liberaldemocratici, prima vi dirà che non si può andare avanti ad assegnare ereditariamente larga parte dei seggi della Camera dei Lord, e magari ha ragione, ma ammetterà anche che una camera elettiva basta e avanza per prendere decisioni, e che all'uopo c'è già la Camera dei Comuni; vorrebbe piuttosto che in futuro i Lord fossero scelti fra i migliori ingegni britannici in ogni campo, fornendo una rappresentanza trasparente a lobby e gruppi di potere intellettuale, commerciale e finanziario, legando i loro interessi a quelli della nazione.
Immaginate che a Palazzo Madama siedano un paio di ex presidenti della repubblica, una manciata di ex premier e trecento rappresentanti del meglio che l'Italia ha prodotto nella scienza, nella tecnica, nelle belle arti, nella musica, nella letteratura, nell'insegnamento, nello sport, nella comunicazione, nell'agricoltura, nell'industria e nel turismo. La Camera resterebbe sola a legiferare come rappresentanza degli auspici dei cittadini mentre il Senato incarnerebbe lo spirito della nazione, col diritto di vetare (una sola volta) le leggi e soprattutto di suggerirne il miglioramento con la moral suasion, non a colpi di emendamentini. Fate quest'esperimento: su un foglio incolonnate in ordine alfabetico i nomi dei rappresentanti del popolo in Senato e di fianco componete una colonna con trecentoquindici nomi di italiani dal conclamato merito professionale. Con gli accoppiamenti ottenuti riga per riga, valutate poi se valga la pena di mantenere sul seggio il senatore in carica o di farci accomodare il celebre compatriota. Io non sono stato a sperimentare tutti gli accoppiamenti, lo ammetto; per la noia mi sono fermato a Crimi, Vito.
[Disponibile anche sul battagliero sito del settimanale Tempi.]
Una destra autenticamente aristocratica, promotrice del riconoscimento dei meriti dei più bravi, ne avrebbe invece approfittato per auspicare che non quattro ma trecentoquindici fossero i senatori di nomina presidenziale (di nomina regia sarebbe meglio, ma è un discorso lungo), quale espressione delle eccellenze della nazione in ogni settore anziché dell'arbitrio del popolo mitigato da un premio di maggioranza su base regionale. Se andate in Gran Bretagna e parlate foss'anche col più ottusamente progressista dei liberaldemocratici, prima vi dirà che non si può andare avanti ad assegnare ereditariamente larga parte dei seggi della Camera dei Lord, e magari ha ragione, ma ammetterà anche che una camera elettiva basta e avanza per prendere decisioni, e che all'uopo c'è già la Camera dei Comuni; vorrebbe piuttosto che in futuro i Lord fossero scelti fra i migliori ingegni britannici in ogni campo, fornendo una rappresentanza trasparente a lobby e gruppi di potere intellettuale, commerciale e finanziario, legando i loro interessi a quelli della nazione.
Immaginate che a Palazzo Madama siedano un paio di ex presidenti della repubblica, una manciata di ex premier e trecento rappresentanti del meglio che l'Italia ha prodotto nella scienza, nella tecnica, nelle belle arti, nella musica, nella letteratura, nell'insegnamento, nello sport, nella comunicazione, nell'agricoltura, nell'industria e nel turismo. La Camera resterebbe sola a legiferare come rappresentanza degli auspici dei cittadini mentre il Senato incarnerebbe lo spirito della nazione, col diritto di vetare (una sola volta) le leggi e soprattutto di suggerirne il miglioramento con la moral suasion, non a colpi di emendamentini. Fate quest'esperimento: su un foglio incolonnate in ordine alfabetico i nomi dei rappresentanti del popolo in Senato e di fianco componete una colonna con trecentoquindici nomi di italiani dal conclamato merito professionale. Con gli accoppiamenti ottenuti riga per riga, valutate poi se valga la pena di mantenere sul seggio il senatore in carica o di farci accomodare il celebre compatriota. Io non sono stato a sperimentare tutti gli accoppiamenti, lo ammetto; per la noia mi sono fermato a Crimi, Vito.
[Disponibile anche sul battagliero sito del settimanale Tempi.]
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