venerdì 31 ottobre 2014

Donne nude, donne nude! Per questo motivo le università americane non tengono più corsi su Henry Miller, che pure sarebbe l'autore più utile agli studenti in quanto è stato l'unico a realizzare il sogno di qualsiasi scrittore: pubblicare tutto quanto si fosse prefisso e trascorrere gli ultimi vent'anni di vita a giocare a ping-pong (vedi sotto). Sul Foglio in edicola oggi spiego perché, grazie alla sua biografia scritta da Arthur Hoyle e pubblicata da Odoya.



domenica 26 ottobre 2014

Declino e caduta 8
Su Tempi in edicola da giovedì scorso; sul sito del settimanale, corroborata da alcuni acuti commenti; e anche qui, dove i lettori non hanno libertà di parola.

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Sarebbe stato il turno dell’Italia ma, con una decisione a sorpresa, una commissione di esperti in commissioni di esperti ha assegnato il ruolo di capitale europea della cultura 2019 a Matera. “È una grande occasione di rilancio per il Sud”, ha dichiarato a caldo Pasquale Lorusso, pastore, che grazie allo stanziamento di fondi comunitari nel 2019 verrà promosso archimandrita. “Il Sud meritava questa grande occasione di rilancio”, fa eco Carmela Patruno il cui ruolo è stato decisivo poiché detiene il record continentale di telefonata più lunga a una figlia che studi al Nord. La giovane Nunziatina Patruno studia infatti Analfabetismo Giornalistico presso l’università di Bari; il suo sogno è diventare collaboratrice fissa di Tempi e scrivere ogni settimana, fino al 2019, un articolo in cui spiega che l’assegnazione a Matera del ruolo di capitale europea della cultura è una grande occasione di rilancio per il Sud.

Arrivare a Matera è facilissimo. Da Napoli, basta affidarsi alla Madonna di Picciano. Da Bari invece bisogna uscire dalla Stazione Centrale, sgominare una banda di scippatori inspiegabilmente sfuggita alla repressione attuata dalla giunta Emiliano, entrare nella stazione delle Ferrovie Appulo-Lucane, persuadere un loro dipendente a emettere regolare biglietto, a costo di pagarlo in contanti, quindi salire su una pittoresca littorina che in giornata vi farà arrivare ad Altamura, dove la commissione di esperti ha già fatto predisporre un sistema di trasporti sostitutivi a dorso di mulo o, alternativamente, di studente fuori sede. “È una grande occasione di rilancio per il Sud”, ha dichiarato in esclusiva a Tempi il locale assessore a disoccupazione e rubamazzetto, che nel 2019 verrà promosso assessore a metafisica ed ermeneutica. “Sottolineo che le parole pronunciate a Bruxelles dal vicepresidente dell’Europarlamento Gianni Pittella sono risultate determinanti nel convincere la commissione di esperti che a Matera si parli ancora un’antichissima lingua indoeuropea altrove estinta. Quando hanno sentito il tenc iù conclusivo era troppo tardi”. Il sindaco ci mostra le principali bellezze di Matera: “Questi sono i Sassi, dove è stato girato il film di Pasolini, mentre quelli laggiù sono i Sassi, dove è stato girato il film di Pasolini. Lì in fondo potete notare i Sassi, dove è stato girato il film di Pasolini; e resterete stupiti all’apprendere che proprio a Matera, città dei Sassi, Pasolini ha girato un film che fu una grande occasione di rilancio per il Sud”.

“Caro direttore”, ci scriverà Mel Gibson la settimana prossima, “ho ritenuto gravemente lesivo dell’immagine della città di Matera il ritratto che ne emerge dalla rubrica di satira ospitata ogni settimana dal suo mensile. Non è assolutamente vero che a Matera non arrivino i treni: io stesso ho provveduto a ordinarne uno su Amazon. Matera è una città ricca di persone stupende, che è stato un grande piacere fustigare a sangue durante i provini per La Passione, film che spettatori superficiali hanno creduto girato in aramaico mentre i personaggi parlavano un’antichissima lingua indoeuropea i cui segreti sono gelosamente custoditi da Gianni Pittella. Con questa mia richiedo la pubblicazione di un articolo riparatorio in cui si dica che a Matera ci sono i Sassi, dove è stato girato il film di Pasolini. L’elezione a capitale europea della cultura è infatti una grande occasione di rilancio per il Sud. Smentisco inoltre che a Matera esista un assessorato a disoccupazione e rubamazzetto, nome sotto cui l’estensore della rubrica ha malevolmente denigrato l’assessorato a parcheggio in doppia fila e rubamazzetto. Seguono questa lettera duemilacinquecento X in rappresentanza delle firme di una delegazione di cittadini materani le quali, grazie allo stanziamento di fondi comunitari, entro il 2019 diventeranno altrettante Y”.



martedì 21 ottobre 2014

Da domani trovate in libreria La domenica lasciami sola, romanzo rosa-calcistico di Simonetta Sciandivasci, materana a Roma, firma del Foglio ogni martedì. Lo ha pubblicato Baldini & Castoldi. Poiché merita, ne ho parlato diffusamente su Quasi Rete, il blog letterario della Gazzetta dello Sport. Ecco la replica della recensione-fiume.

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Simonetta Sciandivasci, notando che La domenica lasciami sola inizia con una dedica ho temuto il peggio ma poi ho capito che si trattava di un machiavello per indispettire il lettore e poi tramortirlo con un incipit folgorante. Ho trovato formidabile l’idea di trasformare la finale di Champions – con te solinga che la guardi sul divano – in una battaglia di Waterloo cui assisti come Fabrizio Del Dongo: un evento storico del quale non capisci nulla per via di un’incompetenza talmente adamantina da ammettere candidamente: “Mi fermo alla Coppa Italia e ai Mondiali, per il resto vado a Messa”; “Europei ogni due anni; Olimpiadi ogni quanto non l’ho ancora capito; Mondiali ogni quattro”. Riesci però a non capire niente con soave consapevolezza e infatti non ti sfuggono alcuni fondamentali che invece nella loro enormità risultano anguille per maschi ottenebrati da troppa retorica da pay tv. Ad esempio, fra Real e Atlético Madrid tifi Real perché ha un nome aristocratico, perché è ricco, perché vince spesso e perché “degli atletici e dei pauperisti diffido, soprattutto se maschi: non mi aprono la portiera, non mi offrono la cena, in pausa pranzo vanno a correre”. Intuisci che “se l’Atlético dovesse vincere, verrà instaurata la dittatura del proletariato” e soprattutto che quelli che tifano Atlético “possono buttarla sul romanticismo quanto vogliono ma la verità è che sono solo invidiosi”.

Mi insospettisco dunque e mi domando se il tuo non capire niente di calcio sia una maschera sbarazzina sotto la quale nascondi di capire molto di tante altre cose. Fingi di avere scritto un romanzo d’amore – e come tale lo venderanno, per carità, ben venga – ma la storia della ragazza che s’innamora dell’uomo innamorato del calcio è una maniera elegante di parlare d’altro. Apparentemente non mi dai ragione. Contro una pletora di soloni imbolsiti contesti l’idea che il calcio sia metafora della vita e dichiari: “Il calcio è  il calcio. Punto”, così come Oscar Wilde faceva dire a Erodiade che “la luna somiglia alla luna, e basta”; non somiglia né a una donna né a un fiore né a una mano. Per fortuna non sei una grande decapitatrice quindi posso ribattere: proviamo a leggere il tuo libro senza pensare al calcio?

No, dirai tu. Senza il calcio non c’è il tuo libro – anzi, come essere più chiari?, hanno pure disegnato un pallone in copertina. Senza calcio non ci sarebbero le battute svampite che sono balenii di surrealismo inaspettato. La Roma incontra l’Arsenal: “Che cos’è, un detersivo?”. Gioca col numero 5: “Come Chanel, brava!”. Se uno legge su questo livello, oltre a ridere molto, mette il romanzo sul piano della grande chick-lit divertentissima, ti fa sinceri complimenti e finisce là. Però La domenica lasciami sola va oltre e funziona perché mina le basi psicologistiche non solo dei romanzi rosa postmoderni ma anche della narrativa di sé stessa che ogni singola donna (e anche gli uomini ormai) si racconta per giustificarsi piagnucolando, pretendendo attenzione e conforto perché crede di essere l’unica a non star bene: “Nessuno sta bene”, scrivi tu, “vivere è un disastro”.

Non pensare alla trama, la trama non conta. Mi piace il modo in cui dici la verità senza lesinare sulle parole giuste né perderti in distinguo e smarrirti nel labirinto di cosa penseranno i benpensanti. Di questo passo non scriverai mai sul Corriere della Sera, sappilo. Continuerai a oltranza con Giornale e Foglio e io continuerò a leggerti sapendo che quando c’è da sparare spari e dici senza paura ma con luminoso umorismo che il matrimonio è stato lasciato diventare una cosa da gay, che l’incremento di matrimoni eterosessuali è merito degli immigrati quindi le donne farebbero meglio a convertirsi all’Islam, che farai figli con l’uomo che ami ma solo se prima ti sposa, che “l’amore nasce dal mistero, non dal rendiconto”, che l’incivilimento dei maschi porterà all’estinzione, che il sessismo è sexy, che l’amicizia fra uomini e donne non esiste, che quelle che fanno le sofisticate hanno sovente le tette piccole e che l’ateismo non lo sa ma è figlio di Dio. Mi sono alzato in piedi ad applaudire come un cretino, in camera mia, quando ho letto che proibiresti per legge alle donne di pagare al ristorante e presumo anche, per estensione, l’utilizzo del denaro, la schiavitù lavorativa, l’ipocrisia del fingersi realizzate perché si appaltano le proprie ore all’ufficio anziché alla pace domestica. Di fianco alla scena in cui la protagonista si fa portare al ristorante e poi chiede al maschio “Scegli il mio ordine”, ho disegnato un piccolo cuore. Ma poiché come te ho paura di Laura Boldrini e delle accuse di femminicidio preterintenzionale, non me la sono sentita di fare altrettanto quando lei gli chiede: “Prima voglio che tu mi dia un ceffone”.

“Quando una cosa è oscura, o è jazz o è fuorigioco”. Più ancora della pagina di improperi a Marco Travaglio mi è piaciuta la tua predilezione per la semplicità, il senso della quale è andato perduto in un mondo pretenzioso che la trova riduttiva. Tu invece rivendichi che la donna non deve poter fare tutto, che non si deve per forza capire tutto, che quindi il fuorigioco può tranquillamente restare misterioso e che di conseguenza, quando proprio si deve guardare la partita insieme, la donna non deve mai – mai – porre domande all’uomo. Sante parole. L’uovo di Colombo è a pagina 124 dove, poco prima di chiedere a Dio se le quote rosa siano peccato, argomenti incidentalmente che il femminismo è calvinista. (Non ho mancato di notare che nel romanzo dopo Dio, per ottenere un crescendo di suspense, fai intervenire anche Andreotti). Giusto: come il calvinismo il femminismo pretende di capire tutto, presuppone di averlo capito, distingue il bene dal male con una riga netta, si mette dal lato del bene e dà il righello sulle nocche a tutti i presunti malvagi. (Questo in effetti mi illumina anche sugli improperi a Travaglio). Non hai paura di chiamare le cose col loro nome e quindi definisci eugenetica la pretesa femminile di trovare un uomo alla propria altezza quando invece “l’uomo che ci merita, banalmente, è l’uomo che ci ama”.

Una copia di questo libro andrebbe spedita ogni giorno a Laura Boldrini, nella speranza di trovarla non troppo impegnata a farsi fotografare col velo o a dichiarare che la bellezza dell’immigrazione salverà il mondo. Capirebbe che col calcio gli uomini continuano a giocare tutta la vita; le donne invece lasciano le Barbie a dodici anni e per questo, scrivi, diventano “esseri cupi e grigi”. In copertina a La domenica lasciami sola c’è scritto “romanzo” ma sotto sotto viene fuori prepotente un pamphlet fatto come si deve, che tramite il calcio intende restituire agli uomini “il sogno atavico e spudorato”: quello che per voi donne, lo sostieni tu perché io non ne ho idea, è stato il matrimonio di Grace Kelly. Non contenta, dai anche le istruzioni su come tenere insieme questi estremi non comunicanti: la colla che tiene uniti uomini e donne è un sospiro, lo stesso rassegnato ed esasperato e affettuoso che John Lennon emette all’inizio di ogni ritornello di Girl. Quando si sta insieme bisogna essere uniti, non coerenti né tanto meno rispondenti a un ideale astratto; “dobbiamo essere una coppia, non una linea editoriale”.

Hai fatto rotolare il pallone lontanissimo ma devi solo sperare che le persone leggano il tuo romanzo come scanzonata presa in giro dei maschi ultras che vanno allo stadio pure quando è chiuso, come storiella romantica col lieto fine dagli occhioni a cuoricino. Allora salteranno le pagine sulla disfida onirica fra quelli che guardano il calcio senza donne e quelli che lo guardano con le donne, in cui convochi undici maschietti per fazione e chiami ciascuno di loro a tirare un rigore ossia a pronunciare una frase che trovano risolutiva in un senso o nell’altro. Intuirai con chi mi sarei schierato. Se oltre ad Alessandro Giuli, Maurizio Milani, Piero Vietti e Franco Trentalance (trova l’intruso) avessi convocato anche me, mi sarei limitato a spedirti due righe sibilline: Quando chiesero a Miguel de Unamuno perché mai non ci fossero grandi filosofi spagnoli, rispose chiedendo se ci fossero grandi toreri tedeschi. Poi mi sarei rintanato a leggere i consigli che elargisci alle donne (“Si dà il peggio di sé quando si cerca di fare qualcosa per il bene dell’altro”) e indirettamente agli uomini: “Evitare quelli che credono di averci conquistate dopo un bacio, perché significa che hanno il fiato corto e la tenacia a zero. Significa che avranno gli attacchi di panico non appena diremo loro ‘Stasera ho mal di testa’, invece di infilarci un moment in bocca e convincerci a svestirci e giocare ai film svedesi”.

Tutte verità che non suonano né alla Boldrini né alle zitelle eugenetiche che soffrono di quella che definisci sindrome di Bridget Jones: la convinzione di credere che ci sia sempre a loro disposizione uno migliore di quello che hanno, con l’inevitabile conseguenza di morire di vecchiaia, sole, col cadavere che viene scoperto solo quando è stato mezzo divorato da cani alsaziani. Non ricordi dove hai letto, qualche anno fa, che era stato un ministro inglese a inventarsi questa sindrome causando grande scandalo. Ti vengo incontro. Si chiamava David Willetts, era gennaio 2010, e me lo ricordo benissimo perché era uscito un articolo apposta sul Foglio: l’avevo scritto io. Coincidenza che mi fa sorridere al punto di giungere all’eccesso di perdonarti non solo la dedica ma anche le sette pagine di ringraziamenti, limitandomi a saltarle.

lunedì 20 ottobre 2014

Declino e caduta 7
In edicola su Tempi da giovedì scorso, sul sito del settimanale e pure qui sotto con un gentile omaggio ai lettori più fedeli

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Dopo il successo del film su Leopardi, segnaliamo a Mario Martone un possibile soggetto per una nuova fatica cinematografica: nel 2015 cade infatti parte del bicentenario della nascita di Karl Friedrich Ohrwurm Schmetterling, che per comodità sui manuali di filosofia viene abitualmente designato col nome di Karl Friedrich Ohrwurm Schmetterling von Bademantel onde distinguerlo da Karl Friedrich Ohrwurm Schmetterling van Bademantel. Quest’ultimo fu infatti un esponente del centro hegeliano, il cui principale apporto alla storia del pensiero consisté nel dichiararsi di destra hegeliana quando parlava un esponente della sinistra hegeliana e viceversa, nonché nel litigare con Rosenkranz su chi dei due fosse l’unico e solo esponente del centro hegeliano. Un faticoso arbitrato condotto da Schiller, Schleiermacher e Schnellinger sancì che lo erano entrambi.

Ma torniamo al nostro von Bademantel. Abbiamo detto “parte” del bicentenario in quanto egli nacque dal 20 ottobre 1815 al 7 febbraio 1816: i segni del travagliato parto, che vide la morte di sua madre e di tre zie, permasero su di lui portandolo a diventare il principale esponente dell’allegrismo tedesco. Tale corrente filosofica sostiene che l’allegria non esiste e che, se esistesse, andrebbe punita con una sanzione pecuniaria di 25 talleri incrementabili fino a 250 in presenza di una donna in evidente stato di gravidanza. Il padre di von Bademantel si era suicidato nell’atto di fecondare la moglie; il piccolo viene dunque cresciuto dal benevolo pastore luterano del vicinato, il quale instilla in lui la consapevolezza che Dio ci ha messi al mondo per farci soffrire, per far sì che facciamo soffrire gli altri, che soffriamo al pensiero della sofferenza nostra e altrui, oltre che per soffrire del senso di colpa di aver sofferto senza soffrire abbastanza. Ulteriore disillusione viene causata nel giovane von Bademantel dalla tardiva scoperta che il pastore luterano era in realtà un pastore maremmano.

Nel 1841 si distingue per uno sprezzante libello in cui denigra il monumentale Aut-Aut di Kierkegaard. L’evento fa sensazione soprattutto in quanto Aut-Aut è del 1843, con Kierkegaard costretto a scriverlo in fretta e furia per rispondere alle critiche contenute nel libello di von Bademantel, il quale con quest’opera pensa di essersi assicurato fama e ricchezza ma, come spesso accade ai filosofi, si sbaglia. Il suo editore infatti fallisce e muore inabissato nel Mare del Nord dopo aver tentato di fuggire in barca con tutti gli averi dell’autore. Quanto alla fama, un piccolo errore di stampa nel frontespizio fa sì che la gloria vada tutta attribuita a Karl Friedrich Ohrwurm Schmetterling van Bademantel. La filosofia allegrista di von Bademantel è un protoesistenzialismo parametafisico similstirneriano con venature semieraclitee, che ruota attorno alla consapevolezza che il suo autore morirà giovane. Tale convinzione accompagna von Bademantel fino ai primi del Novecento e oltre. Il peso della morte, il presagio di disgrazia incombente, la necessità dilaniante di fronteggiare la volatilità del tempo, la disperazione e l’angoscia non impediranno a von Bademantel di condurre una vita tristissima, solo occasionalmente alleviata da malanni fisici e in particolare dal Morbo di von Bademantel, che consiste nell’avere sempre tutte le malattie che non si vorrebbe avere mai. La sua profonda meditazione – un febbrile susseguirsi di riflessioni appuntate lungo tutto l’arco della vita nel buio sottoscala che a malapena riusciva a permettersi – è purtroppo andata perduta in quanto integralmente composta dimenticando di intingere il pennino nel calamaio.

bonus track
Concludiamo con la critica mossagli da Emanuele Severino, che contesta alla radice l’asserzione “von Bademantel è il principale esponente dell’allegrismo”: infatti solo l’essere è, mentre il non essere non è. Pertanto “von Bademantel è” può significare o che von Bademantel è in quanto essere, cosa da escludersi in quanto solo l’essere è, e quindi non von Bademantel; oppure che von Bademantel è in quanto non essere, cosa da escludersi in quanto il non essere, per definizione, non è von Bademantel. Questi dunque è e non è contemporaneamente, cosa impossibile: abbiamo così dimostrato per assurdo che la frase “von Bademantel è il principale esponente dell’allegrismo” va piuttosto riformulata in “solo l’essere è, mentre il non essere non è”.


domenica 19 ottobre 2014


Sta per iniziare Verona-Milan, la partita degli incubi rossoneri. Al Bentegodi il Milan, oltre a perdere alla prima giornata l'anno scorso, ha perso uno scudetto nel 1973 e un altro scudetto nel 1990 (qui la radiocronaca in diretta di Enrico Ameri dal Bentegodi e di Sandro Ciotti per Bologna-Napoli; qui invece il servizio-fiume della Domenica Sportiva in cui Franco Zuccalà cerca di spiegare l'inspiegabile.). Ho raccontato quest'ultima sconfitta in Ho visto Maradona descrivendola così, con un impercettibile falso storico.

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Alla penultima giornata di campionato Milan e Napoli sono a pari punti. Sono attesi da avversari deboli e la chiacchiera principale sui giornali riguarda la possibile sede dello spareggio: chi vorrebbe una gara unica a Roma, chi ritiene la capitale troppo a Sud o troppo a Nord e vorrebbe fare una doppia gara a Napoli e Milano, col problema che sarebbe stato spinoso decidere dove giocare l’andata e dove il ritorno e troppo rischioso far vincere lo scudetto alla squadra sbagliata nella città ostile.

Il Napoli gioca a Bologna e dopo un quarto d’ora già vince 3-0. Al terzo minuto Careca raccoglie una palla all’angolo destro dell’area di rigore e la scaglia in rete da posizione inverosimile, trasformandosi da coniglio in prestigiatore. Cinque minuti dopo Maradona riceve palla da una rimessa laterale, s’incunea fra due impotenti difensori e tira un pallone a effetto rasoterra che arriva esattamente nei pochi centimetri fra il palo e le mani protese di Nello Cusin. Infine Francini addomestica una palla a mezz’aria dopo una serie di passaggi al volo, la serve a Careca che gliela restituisce di tacco: tiro e goal. Il resto della partita si gioca ascoltando la radiolina.

A Verona piove. Il Milan fa più fatica ma riesce a segnare alla mezz’ora, su punizione con Marco Simone. A quel punto io cerco di convincere Gringo della maggior ragionevolezza di disputare lo spareggio in gara unica, possibilmente a porte chiuse per evitare il lancio di monetine. L’avversario lotta per la salvezza ma i suoi tentativi sono a dir poco velleitari, come il disperato tentativo di Gritti di colpire di testa un cross rasoterra. Nel secondo tempo Favero sgambetta Massaro in piena area ma il Milan non ottiene il rigore: l’arbitro è Rosario Lo Bello, siciliano, figlio del Concetto Lo Bello che nel 1973 arbitrò un altro Verona-Milan decisivo per lo scudetto. All’epoca il Milan perse 5-3 e nacque una nuova categoria della rossoneria, la fatal Verona. Ma la situazione è sotto controllo e Sacchi, per chiudere la pratica, decide di mandare in campo Gullit, assente da mesi per un ginocchio martoriato.

Nel frattempo al Dall’Ara Marco De Marchi accorcia mollemente le distanze: Bologna 1, Napoli 3. Sull’ala destra, al Bentegodi, Gullit salta la calvizie di Pierino Fanna e mette al centro dove Favero, ancora lui, stende Van Basten. Sarà rigore, no? Invece niente, Lo Bello anziché fischiare corre da Sacchi e gli mostra il cartellino rosso. Il mister si avvia verso gli spogliatoi in una pioggia di oggetti di ogni genere, soprattutto monetine, ironia della sorte; dev’essere scortato dalla polizia in assetto antisommossa e resta a guardare la partita all’imbocco del tunnel. È la prima volta che il Milan correttissimo e sublime patisce un’espulsione in tutto il campionato. Io spiego a Gringo che per parità di trattamento il Milan dovrebbe ottenere la vittoria a tavolino ma lui e gli altri due se la ridono. Al 63’ Fanna batte un corner e lì salta indisturbato Victor Hugo Sotomayor, difensore arrivato dall’Argentina fra i consueti squilli di tromba estivi e retrocesso ben presto all’ininfluenza. Incoccia di testa la palla che si solleva ed entra in rete scavalcando Pazzagli, che resta accovacciato sulla linea di porta, immobile come Hegel quando – ci aveva raccontato Borlini – morì folgorato sulla tazza del cesso. Il Milan continua ad attaccare ma né Gullit né Van Basten riescono a superare Peruzzi, che va bene tutto ma è pur sempre un portiere di vent’anni. In compenso, su un rinvio difensivo rossonero, la palla rimbalza su Lo Bello che la passa di schiena a Gritti; per fortuna non succede niente.

All’82’, col Milan in avanti alla disperata, Rijkaard approfitta di un’interruzione del gioco per andare da Lo Bello e spiegargli in termini fioriti cosa pensa di lui e fors’anche di suo padre: espluso. Il Milan gioca in dieci. A Bologna, richiamato dall’odore delle monetine veronesi, Alemão segna l’1-4 nella distrazione generale. A Verona non è ancora finita, anche se manca poco. All’87’ Lo Bello fischia un innocuo fallo  contro Van Basten il quale si toglie la maglia, la sbatte sul terreno di gioco, piglia e se ne va sua sponte in canottiera mentre l’arbitro lo rincorre col cartellino rosso in mano per far vedere che l’ha espulso lui. Il Milan gioca in nove ed è costretto ad alzare ulteriormente la difesa in linea per accorciare la zona del campo nella quale correre alla disperata e risparmiare fiato per arrivare lucido a tirare in porta. Al 90’ Iliev segna a Bologna l’inutile e definitivo 2-4 mentre un attaccante del Verona si trova di là dalla linea difensiva milanista. Baresi alza il braccio per chiamare il fuorigioco ma Lo Bello lascia correre: la palla arriva a Davide Pellegrini, ala sinistra, che si ritrova solo davanti a Pazzagli, con tre difensori che lo rincorrono affannosamente. Tira un pallonetto e il portiere del Milan, anziché provarsi a parare, allarga le braccia in segno di rassegnazione. Pellegrini corre a esultare sotto la curva inseguito da Costacurta, che viene espulso. Il Milan finisce in otto. Intervistato sugli spalti veronesi, Berlusconi parla di sentenza esemplare mentre Maradona, a Bologna, riesce a dire soltanto: “Meraviglioso, meraviglioso”.

martedì 14 ottobre 2014

Ah, e se oggi vi trovate a passare da Pavia, trasferta per la quale a differenza di ieri non è necessaria la barca, tenete presente che questa sera alle 21 Antonio Gurrago parlerà di Voltaire e la musica nell'auditorium del Vittadini, l'istituto musicale quasi conservatorio di via Volta, esattamente sotto le finestre di casa mia. Vi sorprenderà apprendere che Antonio Gurrago sono io, a seguito di un errore di stampa riportato tanto sugli inviti dell'intero ciclo di conferenze quanto sulla locandina della singola; circostanza che mi ha un po' deluso in quanto ero curioso di sentir parlare su un argomento prossimo ai miei studi, per ammirevole coincidenza, un mio quasi omonimo. Sono poi stato ulteriormente confuso da un trafiletto della Provincia Pavese, nota per annunciare gli eventi locali sbagliando almeno un elemento fra nome luogo data e ora, che riportava erroneamente il nome di Antonio Gurrago con lo spelling a me più consueto di Antonio Gurrado. Una mail all'istituto Vittadini ha confermato che sono io, e che quindi stasera alle 21 dovrò parlare rivelando che Voltaire cantava, scriveva libretti d'opera, criticava arbitrariamente i compositori dell'epoca e in generale di musica non capiva un accidente. Purtroppo non potrò farlo parlando direttamente dalla finestra di casa mia, credo per ragioni di ordine pubblico; parlerò dunque in loco una mezz'oretta con musica barocca di accompagnamento, o di sottofondo, e poi tutti a casa a guardare Danimarca-Portogallo.

lunedì 13 ottobre 2014

Declino e caduta 6
(da giovedì in edicola su Tempi e da ieri anche sul sito del settimanale)

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Abbiamo letto per voi il nuovo romanzo di Thomas Pynchon ma non abbiamo capito niente, quindi parliamo d’altro. Al momento in cui questo giornale va in stampa (cioè il 2014) non è ancora chiaro quale sarà l’esito della discussione sull’art. 18. Ci limitiamo pertanto a una mappatura delle parti in causa. Dall’opposizione, Forza Italia è pregiudizialmente appiattita sulle decisioni del governo (vedi sotto) per rimarcare la propria distanza dai partiti che compongono la maggioranza. Più sfumata la posizione del Movimento 5 Stelle. Un rappresentante del gruppo parlamentare, intervistato a un raduno di cosplayer, si è detto favorevole a conservare l’art. 18 ma non esclude a priori l’eventualità di rivenderlo su Ebay. Un documento approntato dagli economisti di riferimento del M5S è stato bloccato all’ultimo in quanto conteneva, per un errore del correttore automatico, talune confusioni fra l’art. 18 e gli Articolo 31. In sostituzione è stato presentato un video in cui un senatore del M5S asfalta Renzi parlando da solo con il televisore acceso, sul divano di casa. Esso, il televisore e non Renzi, esplode infatti alla centesima ripetizione del termine “Rodotà”. Ferma la posizione di condanna di Sinistra Ecologia e Libertà; non è tuttavia stato possibile raccogliere dichiarazioni più approfondite dal partito in quanto, quando lo abbiamo cercato per intervistarlo, era appena andato dal barbiere.

Corre voce intanto che il Pd sia diviso. La corrente renziana, fedele ai dettami del capo del governo, è come tale perfettamente allineata alle istanze dell’opposizione (vedi sopra). “Basta slogan e più risultati”: questa dichiarazione di Massimo D’Alema è invece diventata lo slogan della corrente dalemiana. La corrente bersaniana si distingue: “Basta slogan, più metafore difficilmente interpretabili”. Duro scontro fra Pippo Civati e Gianni Cuperlo su chi sia il più amato dalle italiane. Duro scontro anche fra la corrente dei giovani curdi e quella degli armeni di mezza età; ma stavano giocando a briscola, reazione comprensibile verso la sesta o settima ora di direzione Pd a porte chiuse. Il presidente del Piemonte Chiamparino illustra le proprie ragioni in un’intervista al Corriere che passa inosservata perché pubblicata sotto una foto di Agnese Renzi con un pupazzo di Peppa Pig. Un’intervista alla Stampa del sindaco Fassino è chiarissima nello spiegare che la discussione sull’art. 18 è un tema delicato poiché, quando si parla dell’art. 18, è in questione lo stesso art. 18. Interpellato per una parola definitiva, Romano Prodi ha saggiamente considerato che anche qualora l’art. 18 venisse abolito, lo si potrebbe comunque evocare con una seduta spiritica.

L’ultima parola spetta ai sindacati. Bonanni (Cisl), con una mossa a sorpresa, si dimette dieci minuti prima della scadenza del proprio mandato. Sempre sopra le righe, Angeletti (Uil) si spara: ma la notizia passa inosservata perché non viene nemmeno corredata da una foto di Agnese Renzi con un pupazzo di Peppa Pig. Molto netta la posizione di Landini: per il capo della Fiom la riforma dell’art. 18 ci riporterebbe a prima della Costituzione. Per Landini, l’abolizione dell’art. 18 farebbe tornare l’Italia allo Statuto Albertino. Inedita la posizione di Landini, secondo cui rimuovendo l’art. 18 in Italia imperverserebbe il Digesto giustinianeo. Con una dichiarazione choc, Landini annuncia che senza art. 18 l’Italia ripiomberebbe in pieno codice di Hammurabi. Le posizioni innovative di Susanna Camusso (Cgil) saranno presto disponibili in pratiche audiocassette e anche in 33 giri, se avete il grammofono anziché il mangianastri. Concludiamo con un clamoroso retroscena: pare che la scorsa notte il premier Renzi sia andato a leggere questo famoso art. 18 che tutti vogliono fargli riformare e abbia così scoperto che l’art. 18 recita testualmente: “L’art. 18 non si tocca: non può essere né abolito né riformato”. Questo complica un po’ le cose.


sabato 11 ottobre 2014

Se avete le idee chiare sull'art. 18, "Declino e caduta" su Tempi in edicola è fatta apposta per confondervele.


venerdì 10 ottobre 2014

La piazza è piena o la piazza è vuota? Il dibattito attorno alla riuscita della manifestazione del Movimento 5 Stelle al Circo Massimo ruota intorno alla questione se siano presenti poche persone, come sembrano dimostrare le foto di un'oretta fa, oppure se ne siano presenti tantissime, come sembrano controdimostrare nuove foto adesso. Chissà, io sto guardando Italia-Azerbaigian perché è più importante. Fatto sta che le foto del Circo Massimo (forse) traboccante diffuse dai grillini sui social network per dimostrare che non erano mica presenti poche persone mi hanno ricordato un aneddoto risalente a cinquecento anni fa, ovvero a quando la regina Elisabetta I, ricevendo una delegazione di ben diciotto sarti, li salutò dicendo "Good morning, gentlemen both": buongiorno a entrambi i gentiluomini.
Sì, li ho visti gli studenti che in piazza Vittoria protestavano per ottenere una #nuovascuola, o una #buonascuola, o comunque una scuola col cancelletto all'inizio indipendentemente dall'aggettivo di accompagnamento; e ho capito subito di essere invecchiato. Mentre in altri tempi mi sarei messo lì a contarli sadicamente, non superando le trenta unità a occhio e croce, mentre quand'ero giovane come loro mi sarei concentrato sulla mestizia estetica delle due bandiere rosse dell'Udu che cercavano di agitarsi a un vento che non c'era, mentre quand'ero un po' più grandicello avrei fatto notare a qualche passante che se non erano nemmeno in grado di far funzionare il #microfono chissà come potevano pretendere di caricarsi una #nuovascuola sulle spalle, adesso mi sono limitato a pensare benevolmente: è venerdì, ottobre è un mese triste, nebbia e umidore avviluppano Pavia, a quell'età gli ormoni hanno bisogno di sfogo impetuoso e, se uno preferisce accontentarli non scopando, liberissimo.

lunedì 6 ottobre 2014

Declino e caduta (5)
su Tempi in edicola e sul sito del settimanale


Rivolgendosi all’Onu Matteo Renzi è stato estremamente chiaro, inglese a parte, nell’avanzare un fondamentale distinguo riguardo al delicato scenario geopolitico: con fermezza ha spiegato che bisogna distinguere fra politica e religione, fra fede e terrore, e che pertanto lo Stato Islamico non ha niente a che fare con l’Islam. Si tratta tutt’al più di una coincidenza fortuita se non di una malaugurata omonimia, come quella fra il presidente degli Usa Barack Obama, che ha appena ordinato raid aerei sulla Siria, e il premio Nobel per la pace Barack Obama, che ha declinato ogni responsabilità riguardo al gesto aggressivo e folle del presidente.

Poiché conoscere aiuta a capire, abbiamo chiesto lumi a un portavoce del califfo Al-Baghdadi, lo sceicco Abu-Mohammed Al-Antani Al-Nin-Al-Frassiq Bin-Bun-Ban, riverito esponente dell’Islam moderato, il quale ci ha accordato un colloquio esclusivo ricevendoci direttamente nel proprio arsenale. La prima domanda non poteva che vertere sulla distinzione fra i poteri temporale e spirituale nel neocostituito califfato. Lo sceicco esclude ogni confusione al riguardo; gli preme piuttosto specificare che Obama è il mulo degli ebrei, il somaro dei cristiani, che pensa di essere più intelligente di Bush ma ciò è impossibile in quanto ha le orecchie a sventola. Interrogato riguardo all’eventualità che la Turchia di Erdogan possa entrare nell’Unione Europea, lo sceicco ribadisce che Obama è proprio il bardotto dei cingalesi, la giraffa degli ittiti, l’ornitorinco dei visigoti; e si dice certo di avere già incontrato sua moglie, la deliziosa Michelle, in un qualche zoo – complimento che gli esperti di equilibri internazionali ci assicurano rientrare fra i più raffinati che possano essere rivolti a una signora senza costituire vincolo unilaterale di matrimonio.

Di sicuro, suggeriamo, il grande rivolgimento in atto nelle gerarchie ecclesiastiche favorirà il dialogo interreligioso. Anche lo sceicco ne conviene: “I muwwahhid, i musulmani devoti, devono colpire gli infedeli ovunque si trovino. Devono rendere amare le loro vite, colpire le loro forze dell’ordine, sculacciare i loro bambini, rigare le loro automobili, infilare stuzzicadenti nei loro citofoni, chiamare i loro numeri fissi all’ora di pranzo e dire: Buongiorno signora, sono Alì Bin-Tali-Whalib Al-Moqtadi Ur-Faust, ha mai pensato di rasserenare il suo futuro con un piano assicurativo estremamente vantaggioso? Devono uccidere tutti i miscredenti americani ed europei, in particolare i francesi che hanno la puzza sotto il naso e sono tutti gnè gnè gnè, per non parlare degli italiani che parlano a voce alta nei ristoranti e parcheggiano in doppia fila. E i tedeschi! Siete mai capitati seduti di fianco a un tedesco in autobus? Indossano i sandali coi calzini bianchi, stanno sempre a combattere coi gomiti sul bracciolo e se fate una battuta la capiscono dopo due giorni”.

La grande sorpresa lo sceicco la riserva però sul ruolo delle donne. “Verremo in Italia e conquisteremo le vostre donne. Ci ha definitivamente persuasi a farlo l’articolo di Beppe Severgnini in occasione della Festa del #tempodelledonne, organizzata dal blog La 27 Ora, tre giorni con più di cento eventi in tutta Milano per far sì che le donne si sentano libere di spaziare con la fantasia e pure con il corpo, con la matematica e il proprio talento. L’importante è non accontentarsi: la bellezza è solo uno strumento, la sfida è essere originali come la Dama del Pollaiolo, secondo le dichiarazioni rese dall’attrice Cristiana Capotondi che ha indossato le vesti della giovane rinascimentale per rappresentare la via gentile all’affermazione della donna”. Riposta la propria copia di Sette del Corriere della Sera, lo sceicco ci ha congedati ricordandoci che il tempo a nostra disposizione era scaduto e assicurandoci che si sarebbe personalmente premurato di far riconsegnare le nostre teste ai familiari.

sabato 4 ottobre 2014

"Conquisteremo le vostre donne: ci ha persuasi un articolo di Beppe Severgnini". Su Tempi in edicola questa settimana (in copertina le Sentinelle In Piedi) la rubrica "Declino e caduta" lascia spazio a un'intervista esclusiva allo sceicco Al Antani, riverito portavoce dell'Islam moderato.

venerdì 3 ottobre 2014

Fino a che punto siete disposti a sopportare James Joyce e Thomas Hardy? Sul Foglio in edicola oggi approfitto di Romanzi pieni di vita di Tim Parks (Laterza) per parlare di due scrittori diversamente intollerabili.