venerdì 21 marzo 2014

Oggi purtroppo è la giornata europea o forse mondiale della poesia quindi il cortile principale dell'Università di Pavia  è invaso da individui che non solo leggono sussiegosamente le loro poesie preferite, quando non direttamente scritte da loro perché se ogni poeta è un uomo allora ogni uomo è un poeta, ma lo fanno scientemente di fronte a torme di bambini costretti ad ascoltarli e in alcuni casi estremi addirittura conciati come uomini sandwich, coi corpicini rinchiusi fra poesie scritte su cartelloni attaccati con metri di nastro adesivo attorno alle spalle. Ebbene, meno male che non mi hanno fermato per chiedermi di intrattenermi con loro e recitare la mia poesia preferita perché, preso il microfono, avrei con ogni probabilità iniziato a declamare quella di Philip Larkin (1922-1985) che mi piace molto per il modo in cui esprime scabra rassegnazione fra parentesi e che fa

Sexual intercourse began
in nineteen sixty-three
(which was rather late for me)
between the end of the Chatterley's ban
and the Beatles' first LP,

eccetera ecceetera; se non che sarebbe stato disdicevole che di fronte a dei bambini io recitassi una poesia in inglese, lingua che non tutti loro sono in grado di comprendere (gli adulti, invece...). Ciò purtroppo escludeva anche altre prestigiose possibilità, che gli attuali professori delle medie superiori non avrebbero esitato a definire "importanti", come l'arcade veneziano Giorgio Baffo (1694-1768) ove questi ad esempio racconta che

Gi era un dì in una calle ceh pissava
e s'un balcon ghe giera un muso belo;
vedeva ch'ella fiso me guardava
e mi senz'altro mòstreghe l'oselo,

eccetera eccetera; oppure il più comprensibile e altrettanto italiano, ma ahilui di eloquio non abbastanza piano, Giuseppe Gioachino Belli. Peccato perché di fronte a un pubblico di infanti Belli sarebbe risultato ben più educativo in quanto intuì e risolse la questione delle pari opportunità e delle quote rosa ben prima di Laura Boldrini, scrivendo in un sonetto che

Er cazzo se po' dì rradica, uscello
ciscio, nerbo, tortore, pennarolo,
pezzo de carne, manico, scetrolo,
asperge, cucuzzola e stennarello,

eccetera eccetera; e in un altro sonetto che invece

Chi vvò cchiede la monna a Caterina
pe ffasse intenne da la ggente dotta,
je toccherebbe a ddì vvurva, vaccina,
e ddà ggiù co la cunna e cco la potta,

eccetera eccetera; peccato dunque che ai bambini lombardi venga precluso il confronto con culture diverse da quella in cui vengono educati, preferendosi rimbambirli a furia di Rabindranath Tagore (1861-1941) o di Wiszlawa Szymborska (1923-2012) se non addirittura di Mahmud Darwish (1941-). Già che erano a Pavia, sarebbe forse stato allora il caso di confrontarsi con tradizioni locali quali la tragedia goliardica in versi Ifigonia in Culide, il cui coro si dice fosse stato scritto addirittura da Gabriele d'Annunzio (1863-1938) in persona, come si potrebbe effettivamente evincere dal ritmo impeccabile di

Siamo le vergini dai candidi manti
siam rotte di dietro ma sane davanti
i nostri ditini son tutti escoriati
a furia di cazzi che abbiamo menati,

eccetera eccetera; per quanto sia comprensibile che a dei bambini non venga sottoposto un testo del genere, sia per via delle inquietanti connessioni politiche di d'Annunzio, sia perché la metrica si rifà a uno stucchevole neoparnassianesimo, sia perché soprattutto l'edizione più diffusa della tragedia riporta il grave refuso "tuffi escoriati" in luogo di "tutti escoriati". Meglio allora concentrare i loro piccoli cervelli su autori più affidabili stilisticamente e politicamente come potrebbe essere un Samuel Beckett (1906-1989), il quale non solo fu ottimo poeta di per sé (la sua prima raccolta Whoroscope può essere resa in italiano col titolo Troioscopo) ma volle anche spingersi fino a integrare la poesia alle altre arti, facendo in modo di includere all'interno degli sferzanti dialoghi dei suoi drammi anche bei versi quali il sottovalutato sirventese che recita (traduco)

Vago augellin, vola da lei
nasconditi fra i tuoi seni;
dille che l'amo più degli occhi miei
e che ne ho i coglioni pieni,

eccetera eccetera; per quanto possa magari essere deleterio in effetti sottoporre degli innocenti a una presa di posizione così netta in materia di gender, con un poeta che senza vergogna dichiara non solo che lui dispone degli organi che lo rendono maschio ma perfino che il destinatario dei versi dispone di organi che lo rendono una femmina, senza che a nessuno di loro sia consentito scegliere fra le 51 (cinquantuno) diverse identità sessuali sulle quale può sbizzarrirsi chi volesse iscriversi a facebook. Antichità che possono agevolmente essere superate affidandosi ai versi di un autore impossibile a sospettarsi di preferenze discriminatorie quale Marcel Proust (1871-1922) il quale, pur prediligendo con ogni evidenza la compagnia dei ragazzi, pure volle dedicare buona parte della sua produzione alle ragazze: non ultimi i versi di un poemetto d'occasione molto apprezzato nei salotti parigini la cui traduzione potrebbe suonare

Ma preferite i colori evocati
dalla medusa con riflessi ambrati
unico nettare che per voi scorra
fanciulle in fiore assetate di,

eccetera eccetera.