venerdì 17 dicembre 2010

L’altra notte ho sognato una vacca o meglio, per fugare ogni dubbio di zozzeria, ho sognato una mucca, pezzata, ruminante, scornuta. Ero in mezzo a un prato deserto con libri, quaderni di appunti, fogli stampati e uno dei miei portatili (presumo alimentato a batteria) quando d’un tratto sento un tremolio del suolo, come di terremoto, e quando è troppo tardi per raccogliere tutto mi rendo conto che sta sopraggiungendo a grandi balzi appunto la mucca, che mi punta direttamente e solo per una mia repentina mossa alla torero-torero-olè riesco a scansarla facendomi oltrepassare e mandandola al contempo dal lato opposto a quello del mucchio di lavoro che mi ero portato appresso, come fece Pelè col pallone di fronte a Ladislao Mazurkiewicz in Brasile-Uruguay di Mexico ’70. Però la mucca si ferma, si volta, mi fronteggia. Resto immobile di fronte a lei guardando ora il suo muso, che si direbbe pacifico e in netto contrasto con la furia e con lo scempio che ha deciso di fare di me, ora tutta l’opera del mio ingegno rimasta indifesa al centro del prato, più vicino a lei che a me. La mucca sta per caricare. Se non mi muovo mi prende in pieno; se mi muovo c’è il rischio che travolga il mio lavoro; mi sveglio sudatissimo. Tutto qui. Ah, e nello stemma comunale di Oxford campeggia un bovino.

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