mercoledì 5 gennaio 2011
Ulteriore conclusione che dovremmo trarre da questo centocinquantesimo anniversario è che il Risorgimento ha funzionato (quasi) a meraviglia finché non s’è fatta l’Italia e non s’è riunito il primo parlamento a Torino, quando – com’è possibile leggere nel resoconto della storica seduta – immediatamente dagli scranni della sinistra Garibaldi in poncho iniziò a dare addosso al Cavour il quale gli rispose dal seggio del governo sacramentando fra sé e sé in francese dialettizzato. La maledizione dell’Italia risiede dunque nel parlamento e noi, non contenti di averlo, l’abbiamo raddoppiato in due camere uguali in tutto se non per novero e per età. I parlamentari sono seicentotrenta alla camera e trecentoquindici (più sei senatori a vita, a quanto pare immortali) al senato; in totale novecentocinquantuno, che sforano il migliaio quando vi si aggregano i rappresentanti degli enti locali per eleggere in seduta congiunta il presidente della repubblica, il quale ha la bella prerogativa di poter parlare a vanvera senza che nessuna azione consegua a qualsivoglia idea esprima. La diatriba ignobile fra Garibaldi e il Cavour s’è così parcellizzata in migliaia di infinitesimi, e onde evitarne la dannosa rifrazione sulla vita nazionale sarebbe il caso di ridurre drasticamente il quantitativo di rappresentanti del popolo: facciamo duecento alla camera (due per provincia, pure troppi) e cinquanta al senato (possibilmente questi ultimi di nomina regia per preclara virtù, ma mi rendo conto di pretendere troppo per una patria ormai così mal combinata). Se i rappresentanti del popolo su scala nazionale si riducono da mille a ducentocinquanta, ci saranno settecentocinquanta attuali parlamentari a spasso i quali potranno riciclarsi quali ottimi sindaci, governatori e consiglieri di regione, presidenti e consiglieri di provincia, scalzando a loro volta i non di raro mediocri rappresentanti locali del popolo stesso, che per sovrarappresentazione finisce per venire schiacciato e soffocato in quella che dovrebbe essere la sua più alta aspirazione, ossia poter far bene il suo mestiere poiché i suoi rappresentanti fanno bene il loro.
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