Il calcio, il calcio! Finalmente da una decina di giorni la droga nazionale è venuta incontro a chi come me e come tutti era in crisi d’astinenza prolungata – mica è facile affrontare tre mesi di domeniche in cui l’unico diversivo è la messa in latino, e di intere settimane in cui non si fa altro che discutere se il governo cadrà a ottobre o a fine settembre. Dalla piccola abbuffata di calcio televisivo che ci è stata somministrata a partire dal Trofeo Birra Moretti fino al Trofeo Berlusconi di ieri sera, è possibile avanzare alcune considerazioni preliminari che come fiaccole di conoscenza ci guideranno attraverso la lunga stagione ufficiale che inizia domani con la Supercoppa.
Tanto per cominciare, l’Inter è fortissima, l’Inter è straordinaria, l’Inter è telegenica e ha già dominato il grosso della stagione, non lasciando alle agguerrite avversarie né il già citato Birra Moretti né il Trofeo Tim. Di più, l’Inter ha giocatori sufficienti a mettere in campo quattro squadre e giocarsi il campionato da sola (come l’anno scorso, d’altronde). Ricordiamo agli ingenui che è tradizione che l’Inter vinca lo scudetto ad agosto: tanto per dire, nell’estate 1993 mise in piedi la squadra più spaventosa d’Italia (scomodando addirittura Bergkamp, che arrivò apposta dall’Olanda nonostante il suo conclamato terrore dei voli aerei) e tutti l’accreditarono favorita, salvo che poi alla resa dei conti si salvò dalla serie B per un misero punticino. Nell’agosto del 1997 l’Inter vinse lo scudetto dei pronostici comperando Ronaldo e facendolo esordire circondato da ragazzini smaniosi d’autografi in un’apposita amichevole, e in primavera i risultati andarono oltre le più rosee aspettative: arrivò seconda. Nell’agosto del 2001 la premiata ditta Cúper e Moratti mise su una macchina perfetta, che dominò il campionato dalla prima alla penultima giornata; se non che all’ultima perse una partita da vincere e invece che prima arrivò terza – sono cose che capitano (sempre all’Inter, però). Lo scudetto del 2006 è stato vinto dall’Inter con un colpo di coda, nell’agosto successivo dopo che in primavera era arrivata terza (a quindici punti di distanza dalla prima); e nell’agosto dello stesso anno venne anticipatamente vinto dall’Inter lo scudetto 2006/2007, con la retrocessione della Juve e la penalizzazione delle due avversarie più attendibili agli occhi di chi capisse un poco di calcio, il Milan e (udite udite) la Fiorentina. Come d’abitudine, anche quest’anno l’Inter parte favoritissima: lo scudetto d’agosto non glielo leva nessuno, e in Champions League farà quello che fa di solito (cioè niente); poi, dopo un paio di pareggi di fila in campionato, Crespo litigherà con Suazo che litigherà con Cruz che litigherà con Ibrahimovic e tutti insieme litigheranno con Recoba che litigherà con Mancini, e il campionato lo vincerà la Roma (come la Supercoppa di domani, credo). Non per niente, prevedendo come andrà a finire la stagione, l’Inter s’è fatta stampare sulle maglie la croce rossa.
Per il resto, non c’è niente di nuovo sotto il solleone. La Roma continua a non ricordarsi che le partite durano novanta minuti e non mezz’oretta. La Fiorentina è come alcune delle mie amiche preferite: giovane, bella e farà parlar di sé. Sarò di parte, ma questa notizia che il Milan ha fatto un calciomercato deludente mi pare una fregnaccia: se voi in dispensa avete tutto quello che vi serve per mangiare una settimana, andate a fare la spesa tanto per spender soldi? Così come fregnaccia mi sembra quella del Milan in età pensionabile: Bonera ha ventisei anni, Gilardino venticinque, Kakà pure, Gourcuff ventuno. Ciò detto, per svecchiare l’immagine della squadra non c’era bisogno di darsi alla tratta dei minorenni comprando Pato.
L’ultima parola e l’ultimo pensiero spettano alla Juventus, il can che dorme. Ma non è di natura tecnica, è cromatica: come mai quest’improvvisa passione per le zebre a tinta unita, o tutte bianche o tutte nere? che fine hanno fatto le strisce? forse che le magliette hanno stinto?
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A proposito di vestiti, non capisco il grande abbaiare che s’è sollevato in difesa di Rigoberta Menchú. Potrà aver vinto tutti i premi Nobel che vuole, ma la maniera in cui si veste è improponibile, la fa effettivamente sembrare sciatta e dà fastidio agli occhi. Non ha avuto una virgola di torto il solerte funzionario che l’ha allontanata dal tale hotel di gran lusso: se uno si presenta vestito da mendicante, come mendicante va trattato. Si dirà che era il costume tipico delle parti sue; ma se io dessi una festa elegante a casa mia e si presentasse gente col costume tipico gravinese (non l’avete visto ma è ridicolo, vi assicuro), o col costume tipico sardo, o in kilt, o in sarong, o in kimono, non c’è dubbio che tutti questi begli abiti finirebbero per gualcirsi a furia dei gran calci coi quali caccerei i loro indossatori. Il dressing code è stato inventato apposta, e seguirlo è un segno di rispetto per la persona che l’ha richiesto, per il luogo che vi ospita e per tutti gli altri astanti che l’hanno rispettato, invece di uscirsene in bikini o con la maglietta dell’Inter (soprattutto quella con la croce rossa, è davvero imbarazzante, spero che i magazzinieri ne smarriscano quanto prima tutti gli esemplari). Si dirà che il variopinto costume tipico serve a distinguersi nel grigio panorama d’alto bordo occidentale; a ciò non vedo miglior risposta di un celebre motto dall’autore incerto: “Se fra noi qualcuno vuole distinguersi, che vada a distinguersi da un’altra parte”.
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D’altronde l’abito fa il monaco. Il monitoraggio quotidiano dei professionisti italiani – che Rai1 manda in onda ogni sera col titolo finto ingenuo de I Soliti Ignoti – va sempre peggio, non come trasmissione (la guardano in molti, e pure io) ma come monitoraggio, appunto. Ieri un timoniere, per farsi riconoscere, ha dovuto presentarsi con la divisa da timoniere. Nelle prossime puntate, probabilmente, il Papa sarà costretto a vestirsi di bianco e a indossare un cartello che specifichi: “Io sono il Papa”. Quanto alle vecchie glorie sportive, la situazione è diventata tragica a dir poco. Maurizio Damilano, commovente oro a Mosca nel 1980 (20km di marcia, più o meno quelli che io dovevo fare a Oxford per trovare un supermercato decente) non s’è presentato con la canottiera biancazzurra (e annesso scudettino tricolore) ed è stato scambiato per chissà che. Per ovviare alla situazione gli autori hanno concesso ai campioni di dire non solo il nome di battesimo ma anche il cognome; ciò nondimeno a Salvatore Sanzo (che si è presentato come Salvatore Sanzo, ma ha dimenticato di portarsi fioretto e casco) è stata diagnosticata un’esistenza da cameraman. Un terzo concorrente, invece, doveva identificare nientemeno che un oro olimpico nei 200 metri (e Frizzi ha specificato, sperando che risultasse utile: “duecento metri piani”). Gli è passato davanti un signore che ha detto di chiamarsi Livio ma il concorrente, invece di avere la reazione che qualsiasi persona normale avrebbe avuto in una circostanza del genere (ossia alzare le braccia al cielo, cadere in ginocchio, urlare in deliquio “Livio Berruti! Livio Berruti!” e baciare il suolo dove cammina), se l’è lasciato sfuggire e gli ha dato dell’agente assicurativo.
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Domani devo presentare il libro di Antonio Caprarica, il meraviglioso uomo dalle mille cravatte. Io ne possiedo quattro, di cui due uguali fra loro. Le indosserò tutte.
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