venerdì 11 febbraio 2011

Beati voi che siete in Italia e che potete quindi prendere l’automobile, il treno, l’elicottero, lo yacht e precipitarvi al teatro Dal Verme di Milano, dove domani mattina (ore 10:30, ingresso libero) si terrà la manifestazione “In Mutande Ma Vivi” organizzata da Giuliano Ferrara non per difendere Berlusconi, che sa difendersi benissimo da solo, ma per contestare l’esistenza di una casta di catari, la legittimità di una minoranza etica che intenda dettare le proprie ragioni a una maggioranza che non si ritiene altrettanto migliore, la nascita di un’Italia in cui ogni magistrato possa sentirsi in diritto di rovistare nelle mutande altrui (e per esperienza diretta posso testimoniarvi che nelle mutande altrui si rinviene sempre qualcosa). Io sono in Inghilterra quindi non potrò essere presente, e mi piange il cuore. Pazienza, vorrà dire che continuerò la mia quotidiana e individuale manifestazione contro quest’isola puritana come certuni vorrebbero che l’Italia diventasse; contro questa nazione che s’è disfatta di un buon ministro come David Blunkett reo soltanto di avere un’amante più bella di quella che i suoi detrattori avrebbero mai potuto permettersi; contro questa città ricca di una classe intellettuale che cerca di ficcare Berlusconi in una delle due metà della lavagna protestante divisa in buoni o cattivi – quando invece Berlusconi è chiaramente, esteticamente, etimologicamente cattolico perché vuole tutto. Se avessi potuto andare al teatro Dal Verme e avere un minuto soltanto per parlare, avrei recitato tre versetti del Nuovo Testamento, libretto validissimo benché non scritto da Saviano. San Paolo ai Romani 14, 10: “Ma chi sei tu per giudicare tuo fratello? Tutti ci presenteremo davanti al tribunale di Dio”. Giovanni 8, 7: “Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra”. E, caso mai ci fossero ancora dubbi, Marco 10, 18: “Nessuno è buono, se non Dio solo”. Infine per soprammercato aggiungerei un glorioso stornello di Giuseppe Gioachino Belli: “Ffior de limone, / si Ccristo nun perdona a le puttane / er paradiso lo po’ dda’ a ppiggione”.

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