Ricco scemo (4)
Scrivo queste righe il 30 aprile e voi direte: che ce ne frega? Avrete anche voi il calendario, magari di Frate Indovino. Guardatelo allora e noterete che il santo di oggi è San Pio V, il papa fondatore che si chiamava Antonio Michele Ghislieri. (Sì, Antonio come me, Michele come Briganti, Ghislieri come la squadra di calcio). Per la Chiesa Cattolica è memoria facoltativa. Per noi anche, visto che in Collegio san Pio viene tradizionalmente festeggiato non nel giorno del martirologio ma durante una domenica di maggio con un pranzo fra alunni ed ex alunni di età anche veneranda nel nostro quadriportico cinquecentesco, roba che Casa Milan in via Aldo Rossi se la sogna. Proprio l’altra sera, a cena con l’ex alunno di un altro collegio pavese di cui no quiero acordarme, meditavamo su come ancora mezzo millennio dopo il carattere dei collegiali sia modellato su quello dei rispettivi fondatori: i nostri rivali sono quindi dei [CENSURA], noi invece, avendo preso dal Papa fondatore che i monumenti eternano come turcorum victor e haereticorum oppugnator, siamo iperattivi, estremizzanti e costantemente un po’ incazzati (come il personaggio dell’automobilista di Gioele Dix).
Ma oggi 30 aprile, giorno dell’ultima e decisiva partita del girone eliminatorio, oltre alla mano del Pio credo ce ne darà una colui che, se fossi costretto a scegliere, nominerei seduta stante protettore del Ghislieri Fooball Club. Lo scorso 25 aprile Sergio Mattarella ha concesso un’intervista a Repubblica in cui citava a modello il servo di Dio Teresio Olivelli, resistente e naturalmente ghisleriano. Le testimonianze della sua vita in collegio raccontano la sua passione in un modo che apparirà vivido anche a chi non ha sott’occhio i luoghi della sua vita quotidiana. Passava buona parte della mattinata in sala caffè da gran lettore dei quotidiani; diviso fra interessi contrastanti, aveva bisogno che l’allora Rettore lo incitasse a canalizzare le sue energie magmatiche verso obiettivi concreti nello studio della giurisprudenza; fascista convintissimo negli anni dell’università, pugnace dissertatore in lunghe notti in camera di studenti che la pensavano diversamente; sempre tanto cattolico, in modo divorante; e, naturalmente, grande animatore delle sfide calcistiche ad altri collegi, in particolare uno che proprio non mi viene in mente. Finito il tempo del collegio Olivelli divenne ufficiale degli alpini, combatté in prima linea e divenne antifascista nello stesso modo sincero e intenso in cui era stato l’esatto contrario. A guerra in corso, ventottenne, venne chiamato a fare da Rettore lui stesso per sopperire all’emergenza e accettò di corsa per amore di Collegio; durò pochissimo poiché venne presto internato nel lager di Hersbruck e lì morì, pestato dai nazisti, nel tentativo di difendere i compagni di prigionia dai carcerieri. In Collegio c’è un quadro che lo raffigura in camiciona a righe – diritto e con un fiero guardo di sfida verso la cornice sinistra - mentre gli si aggrappano addosso deportati che cascano uno a uno. Lo spirito del Ghislieri è così.
[Il resto della rubrica su cosa si prova a essere presidente di una squadra di calcio universitaria si trova, col contributo del mister Michele Briganti, come sempre su Quasi Rete.]