venerdì 11 novembre 2011

Ieri sera assistevo alla presentazione del volume Storia della cultura fascista di Alessandra Tarquini (Marsilio) e a un dato punto, parlando di Bottai che lamentava di star perdendo in Mussolini "l'uomo che ho amato per vent'anni", a mezza voce è stata espressa sul palco e in platea l'idea che si trattasse di un'assonanza di stretta attualità. Senza voler essere né offensivi né polemici, il parallelo percettivo fra Mussolini e Berlusconi affonda in una serie di documenti che un domani torneranno molto utili agli storici: nel 1993, dopo che a Casalecchio di Reno Berlusconi aveva reso pubblico l'endorsement a Fini come sindaco di Roma, si iniziò a ritrarlo in fez e stivaloni come il Craxi di Forattini; nel 1994, all'insediamento del suo gabinetto, il Manifesto uscì con una prima pagina color seppia uniforme rotta dalla scritta "Ecco il governo nero"; e così via. Senza voler essere né servili né apologetici, il parallelo fra Berlusconi e Mussolini non regge per la diversità delle condizioni storiche e politiche: il bipolarismo non è un totalitarismo, sulla scheda elettorale si trovava anche il nome di Romano Prodi o chi per lui, di tanto in tanto le elezioni si tenevano e talvolta Berlusconi le perdeva, talvolta le vinceva. Sentendo parlare Alessandra Tarquini la principale differenza che ho colto ha a che fare proprio con la creazione di una cultura. Nonostante la nota posizione di Norberto Bobbio, secondo il quale il fascismo era composto esclusivamente da analfabeti intenti a dondolarsi dai rami degli alberi, nessuno storico onesto può negare l'esistenza di una cultura fascista organica e ben strutturata, benché di propaganda, né di alcuni intellettuali di indubbia capacità (Giovanni Gentile, Alfredo Rocco, Massimo Bontempelli, etc.). Quando fra sessant'anni invece verrà studiato il berlusconismo, sarà oggettivamente difficile individuare tanto l'una quanto l'altra. Anzi è difficile già oggi: il Cambridge Companion to Modern Italian Culture, che è forse la radiografia più autorevole dello sviluppo della cultura italiana dal 1946 al 2006, pur procedendo con grandi autorità ed equilibrio non presenta alcuno schema di cultura berlusconiana organica né, Giuliano Ferrara a parte, azzarda alcun nome di intellettuale berlusconiano di spicco. Com'è possibile? Eppure entrambi i periodi storici sono stati caratterizzati da un capo maniacalmente attento alla propaganda, per il quale la creazione di una cultura organica avrebbe costituito un indubbio vantaggio. Avanzo l'ipotesi che la differenza sia da cercarsi nelle finalità della propaganda. L'obiettivo del fascismo era di creare l'uomo nuovo, anzi un italiano nuovo a immagine e somiglianza di Mussolini: quando questi veniva fotografato intento alla mietitura a torso nudo, la diffusione della fotografia serviva a  dare l'esempio. Il fascismo voleva trasformare gli italiani in altrettanti Mussolinini e la cultura fascista era lo stampo per forgiarli: questo consentiva paradossalmente, nonostante la privazione di democrazia, una certa creatività nel decidere forme e confini di questo stampo. L'obiettivo del berlusconismo era opposto: quando Berlusconi veniva fotografato con la bandana, la diffusione della fotografia serviva a dimostrare che il primo ministro seguiva mode e usanze del popolo, a confermare ciò che notava Massimo Gramellini in un ottimo articolone sulla Stampa di ieri: l'italiano medio è Berlusconi senza soldi. Lungi dal voler trasformare gli italiani in altrettanti Berlusconini, lungi dal poter essere stampo, la cultura berlusconiana sarebbe stata esclusivamente specchio: e brillando di luce riflessa, martoriata dalla democrazia che col suffragio universale impone di blandire le maggioranze, non ha potuto esprimere un'originalità né un'organicità perché i contenuti della sua cultura li decideva - attenzione - non Berlusconi ma l'eccesso di democrazia, l'identificazione mistica del leader con la gente e non della gente col leader. Non a caso la creatura politica di Mussolini si chiamava Partito e quella di Berlusconi Popolo; i due ventennii si assomigliano come una piramide che poggia sulla base e una che poggia sul vertice. Ora che siamo arrivati alla fine, e sperando che nessuno venga appeso per i piedi, credo che al dissolvimento dei fumi dell'antiberlusconismo di maniera gli storici dovranno prendere atto di questa discrepanza per chiedersi quale sia il precipitato culturale del berlusconismo e capire perché Berlusconi non ci ha lasciato una riforma Gentile né un codice Rocco.