(sabato 3 febbraio 2007, copyright Il Resto del Pallone)
È sabato mattina, ieri c’è stata Catania-Palermo e ovviamente il progettato articolo sulla Coppa Italia è finito nel cestino virtuale del computer; ma è pronto, ahimè, per venire raccattato non appena si ricomincerà come se niente fosse. Perché covo l’amaro sospetto che, fatta salva l’indignazione, fatti salvi un paio di turni di sospensione del campionato, non accadrà nulla, e vorrà dire che nessuno avrà imparato nulla. Vorrà dire, soprattutto, che il calcio sarà venuto meno al duplice impegno racchiuso nel suo essere sport: da un lato - lo dice l’etimologia - quello di diporto, sano divertimento, metodo costruttivo per rilassarsi; dall’altro quello educativo di tramandare valori ed emozioni da una generazione all’altra. A me sembra che nessuno di questi due compiti stia venendo rispettato da tempo, e che la guerriglia di Sant’Agata non sia una causa, ma una conseguenza.
Se l’Italia avesse un governo, il ministro dell’Interno da cui dipendeva il poliziotto che è stato ucciso ritirerebbe i poliziotti dagli stadi per costringere i club a trovare una soluzione ragionevole, e non si limiterebbe a minacciarlo. Se la maggioranza si pregiasse di votare favore del ministro della Difesa, questi si sentirebbe forte abbastanza da ricordare che chiunque alzi una mano contro un carabiniere è nemico dell’Italia né più né meno di chi attenta alla vita di un soldato al fronte. Se le gerarchie all’interno della maggioranza fossero chiare, non si sarebbe costretti ad arzigogoli per giustificare l’atto - in sé inaccettabile - di fronteggiare impunemente le forze dell’ordine con qualsiasi pretesto, pseudo-sportivo o pseudo-politico. Questo tanto per dimostrare come il problema non sia circoscritto al calcio, ma sia da rintracciare a monte in troppe indecisioni della società civile.
D’altra parte, non ci si può nascondere dietro un dito dicendo che i delinquenti non sono tifosi e che pertanto il calcio ne viene ferito solo di striscio. Se gli episodi di violenza segnassero qualsiasi di macro-aggregazione (compresi i convegni di Forza Italia, il carnevale di Viareggio e la finale di Ballando con le Stelle), allora il discorso starebbe in piedi, e la colpa sarebbe generale; ma non mi risultano bollettini di guerra emessi in occasione di incontri di altri sport, quindi si tratta di un problema specifico del calcio: di Pancalli, di Matarrese, dei presidenti, degli allenatori, dei giocatori, degli addetti ai lavori, dei giornalisti, dei tifosi organizzati e di chiunque sbirci anche fugacemente cinque minuti di Controcampo o della Domenica Sportiva. Se è sempre il calcio il momento di aggregazione cui si accompagna la violenza, tanto da ritenerla perfino inevitabile, vuol dire che il calcio fornisce in qualche maniera giustificazione all’esercizio della violenza. Se allo stadio il diporto diventa battaglia, allora non ci sono scusanti: il calcio è marcio.
Come per tutti i problemi, non c’è un rimedio - altrimenti lo si attuerebbe e in quattro e quattr’otto il problema non ci sarebbe più. Sarebbe saggio però tentare di trovare una soluzione. La prima potrebbe essere quella di rispettare le regole (stadi a norma; biglietti nominali), aggiungerne di nuove e migliori (pene più severe per chi causa i disordini; alzare l’asticella della responsabilità oggettiva per spingere i club a cooperare maggiormente con le forze dell’ordine, a proprio stesso vantaggio) e punire chi non le rispetta (in questo caso, far sparire il Catania dalla Lega Calcio potrebbe essere un inizio).
La seconda soluzione consisterebbe nel prendere atto che l’indegna cagnara di quest’estate era già un sintomo sufficiente a capire che si era passato il segno; e quando si passa il segno raramente la colpa è circoscritta a poche persone o a poche società. Invece s’è creduto che bastasse nascondere la Juventus e poco altro sotto il tappeto del Mondiale per risorgere immacolati: errore enorme. Se un sistema è marcio, dal capo dei capi all’ultimo dei tifosi, bisogna rinnovarlo radicalmente; per rinnovarlo ci vogliono dei tempi tecnici e questi tempi rendono necessario uno iato, un vuoto, una pausa di profonda riflessione.Il calcio è una pentola che sta per scoppiare ferendoci tutti, e noi continuiamo a credere che il problema sia che tipo di pasta calare, quando invece dobbiamo trovare una consistente valvola di sfogo. Per dare sollievo a questa pressione, io propongo che la Federcalcio annulli la stagione in corso, che è iniziata zoppa e sta finendo pazza e pericolosa; che Inter, Milan, Roma, Livorno e Parma si ritirino dalle coppe europee; che tutta l’attività dei club professionistici e della nazionale maggiore venga sospesa come minimo fino ad agosto; che l’anno prossimo si proceda alla rifondazione della Lega Calcio ammettendovi i club meglio classificati nel campionato Primavera. Non accadrà. Io vorrei allora che tutte le testate giornalistiche sportive, della carta stampata o radiotelevisive, ignorino il calcio italiano per tutto il resto di questa stagione; che si limitino a darci i risultati dei campionati esteri e dei tornei giovanili; che riempiano col basket, col volley, col rugby, col tennis, la scherma, il kayak e le bocce gli spazi vuoti che inevitabilmente si creeranno. Non accadrà. Io invito allora chiunque, come me, ama il calcio e sa di non poterne fare a meno a tentare uno sforzo per detronizzarlo dai propri interessi a vantaggio di uno sport a scelta; a sospendere dolorosamente (faccio il mio caso) l’amore per il Milan e sostituirlo con il tifo per l’Aston Villa, o per la Lottomatica Roma, o per il Cimone Modena; a comportarsi come con un’amata stronza, a porla di fronte a un bivio definitivo, a tradirla per farla tornare fedele. Non accadrà, io stesso non ci riuscirò. Ma almeno, sapendo che esistono tanti altri sport rasserenanti, potremo sopravvivere col cuore in pace alla chiusura definitiva del calcio, che tanto durerà un paio di settimane.
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