mercoledì 30 gennaio 2008

La melassa olocaustica

Il n’y a point de metus judaeorum.(Voltaire)


Premesso che io e Lisa abbiamo vissuto insieme per due anni, benché non more uxorio (eravamo compagni di collegio a Modena), e che quindi provo per lei un affetto pari almeno al piacere che mi deriva dal contraddirla; premesso che non ritengo facile trovare in giro per l’Italia persona più filosemita, filogiudea, filoebraica e filosionista di me (sono quattro cose diverse che vanno sovente a braccetto, e bisogna sospettare di chi avanza pelose distinzioni); premesso che in generale io sto con Israele nelle sue molteplici forme politiche, religiose, culturali e umane – premesso tutto questo, la giornata della memoria è una boiata pazzesca per almeno sei motivi.

1) Perché generalmente si tende a dover ricordare le faccende che altrimenti si dimenticherebbero. Io sono agendina-dipendente ma sulla medesima agendina segno le date fluttuanti (la conferenza su Zanardelli è il 13 o il 20 febbraio? quand’è che si sposa mio cugino? la roba in lavanderia devo ritirarla lunedì o martedì?) oppure gli impegni ai quali preferirei sottrarmi (le pasticche di Immubron; i viaggi in treno; le cose stesse che devo scrivere qui sopra). Non ho alcun bisogno di segnarmi ciò che mi piace fare – nessun bisogno di ricordarmi per iscritto che al martedì mattina devo comprare il Guerin Sportivo, o che al martedì sera devo vedere Desperate Housewives) – né ciò in cui credo fermamente – dovrei ricordarmi per iscritto che ogni giorno c’è da dire lodi, ora media, vespri e compieta? o, più banalmente, che è sempre bene farsi una doccia? La stessa esistenza della giornata della memoria è quindi una forzatura, un monumento alla coscienza sporca, e più la si ostenta più si è consapevoli che altrimenti la si dimenticherebbe, più si denunzia che la si vive come una memoria innaturale, indotta, ipocrita.

2) Perché chi ricorda un giorno all’anno, dimentica facilmente nei restanti trecentosessantaquattro (o trecentosessantacinque, visto che quest’anno siamo bisestili). È la stessa psicologia di coloro i quali a Natale vanno alla messa di mezzanotte, affollano i banchi della stessa chiesa che disertano per il resto dell’anno liturgico, vanno a prendere la comunione al solo scopo di sfilare nella navata centrale. Una giornata della memoria comporta un anno di dimenticanza, e celebrarla ha lo stesso senso della messa natalizia in cui sfoggiare la pelliccia nuova.

3) Perché la giornata della memoria diventa facilmente il lavacro della coscienza. In altri termini, fare gli afflitti per un dì, prima e dopo i pasti, consente poi di avere maggior agio nell’attaccare i vari versanti dell’ebraismo fino alla giornata della memoria dell’anno successivo. Un po’ come quelli che ogni 11 settembre versano lacrime di coccodrillo ma poi, quando si tratta di sostenere gli Stati Uniti con i fatti e non coi piagnistei, si ritengono legittimati a sfilarsi. Così si celebra in maniera rutilante la giornata della memoria e poi si dice che non sta bene lasciare un enorme cratere al posto dell’Iran di Ahmadinejad, tanto per dire, o che i kamikaze palestinesi hanno le loro buone ragioni, poverelli.

4) Perché è vittimistica. Presentando gli ebrei esclusivamente come vittime della Shoah, ne deforma la storia millenaria secondo quella che autorevoli studiosi ebrei, che si evita accuratamente di studiare, hanno definito con disprezzo “l’interpretazione lacrimosa” (David Abulafia, tanto per dire). La giornata della memoria dà pertanto alle persone intellettualmente neutre (id est ignoranti) che vi si accostano (e troppe ce ne sono), l’idea che gli ebrei siano agnellini sacrificali, e come tali da compiangere e basta là.

4) Perché è diabolica. Introduce una sottile distinzione lì dove non c’è nulla da distinguere. La prima cosa che si impara sull’ebraismo è che è l’unico caso in cui razza, terra, religione e Stato coincidano appieno, senza che nessun elemento abbia la preminenza decisiva sugli altri, ma in maniera tale che tutti cooperino allo stesso mosaico armonico. La giornata della memoria, invece, fa la capziosa ed esprime sostegno alla razza ebraica (riconoscendovi le vittime dei nazisti), ma non alla sua terra (in quanto antisionista) né al suo Stato (figuriamoci, essendo mondialista) né tampoco alla religione ebraica (in nome del solito ritrito noiosissimo laicismo, per cui il culto di Dio è un accidente folkloristico nonché un attentato al buon nome dell’umanità). Se fossi ebreo, mi sentirei offeso da uno che in sostanza mi dicesse: “Ti ospiterò a casa mia quando ne avrai bisogno, ma per favore non venire vestito da ebreo!”

5) Perché è controproducente. Il quidam ragazzino, costretto a trascorrere la domenica mattina al freddo e al gelo ad attaccare foto di vittime della Shoah in giro per il suo paesello, con ogni probabilità diventerà antisemita e per il resto della vita sua vorrà fare agli stessi ebrei quello che invece andrebbe fatto ai suoi professori che l’hanno buttato giù dal letto alle sette nell’unico giorno libero della settimana.

6) Perché è intellettualmente provinciale. Mentre noi non ebrei stiamo qui a ritornare di anno in anno sulla necessità di non dimenticare la Shoah (e allora? dobbiamo ricordarci di non dimenticare la Notte di San Bartolomeo? i massacri di cattolici irlandesi ad opera di Cromwell? le incursioni mussulmane a Otranto e dintorni? io me le ricordo benissimo
anche senza l’aiuto del calendario), l’ebreo Woody Allen l’ha consegnata con sette parole alla storia dell’ironia e dell’autoironia: “I record sono fatti per essere superati”. Guardiamo avanti, pensiamo a Israele oggi.