Ho in uggia tutti i compleanni, le ricorrenze, gli anniversari – e non solo quelli dell’Inter. Nei momenti di particolare sconforto, o livore dell’animo, me ne esco dicendo che i compleanni sono il ricamo intessuto dalla morte sul tempo: e questo mi aliena le simpatie di molti festeggiati nonché buona parte degli auguri ogni volta che anno dopo anno il mio turno si presenta. In particolare, non tollero le celebrazioni calcistiche ufficiali: esposizione di trofei su palchetti prefabbricati, apoteosi in pullman turistico, anniversari con gran ripescaggio di campioni del passato costretti a indossare la maglia del giorno corrente, poco gloriosa e poco poetica, su panze rimpinguate e muscoli sfilacciati, finendo per sembrar ridicoli come un nonno in calzoni corti.
Per questo sabato non ho degnato di uno sguardo i festeggiamenti nerazzurri: e, sia chiaro in principio, medesimo trattamento avrei destinato a festeggiamenti rossoneri, o giallorossi, o bianconeri, o – che ne so – arancione e viola a pois. Nel calcio la storia è quotidiana, e festeggiare il compleanno di una squadra è discutibile come voler trarne gli oroscopi. Poiché nel mio intimo tuttavia riconosco una notevole grandezza alla storia dell’Inter, ho voluto celebrare il centenario guardando Inter-Reggina dopo aver detto un Eterno Riposo all’avvocato Prisco.
Così, mentre mi sforzavo di oltrepassare con lo sguardo i sostegni alla festa successiva, che intralciavano lo spettro visivo delle millecinquecento telecamere di Sky; mentre l’atteggiamento degli interisti tutti, dall’ottimo Massimo all’ultimo dei raccattapalle, dava la netta sensazione che l’eroe di giornata non fosse un calciatore purchessia bensì Adriano Celentano; mentre infine l’Inter ribadiva la propria indiscussa superiorità sulla Reggina, io pensavo che il tarlo che mi rovina la visione dei festeggiamenti autocelebrativi sopra o intorno a un campo da calcio è la presunzione di poter fare a meno degli avversari. L’Inter centenaria (come il Milan, e
Così nell’intervallo sono andato a ripescare un volumetto edito qualche tempo fa dall’editore Laruffa e opera dell’avvocato Giusva Branca, già responsabile della comunicazione per il presidente Foti e al momento della stesura team manager della Viola Reggio Calabria. Idoli di Carta ha una curiosa struttura che ripercorre capricciosamente la storia della Reggina, seguendo una formazione ideale che non è – né potrebbe essere – una all stars. Persico, Bagnato, Poli, Bumbaca, Gallusi, Mariotto, Rigotto, Krostelev, Bortot, Pianca, Giacchetta (con Maestrelli allenatore) è una squadra legata a doppio filo dalla sfortuna, dall’incompiutezza, dal grido che resta strozzato in gola ai tifosi.
Basti pensare alla mesta fine di Maestrelli, ennesima riprova che muore presto colui che dagli uomini è tanto amato. O al beffardo rigore segnato da Giuseppe Bagnato, terzino che non ne tirava da dodici anni, reso inutile dall’errore finale di Armenise che nel 1989 promosse
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