giovedì 6 marzo 2008

TuttoCoppe 3

L’impresa della Roma, ieri sera, mi ha talmente emozionato che stamattina mi sono svegliato col singhiozzo, e prima di poter farmi la barba ho dovuto adoperare svariati accorgimenti per farlo passare – fra i quali sistemarmi a testa in giù e recitare a mo’ di mantra l’intera formazione del Milan campione d’Italia nel 1988 (Giovanni Galli, Tassotti, Maldini; Colombo, Filippo Galli, Baresi; Donadoni, Ancelotti, Van Basten, Gullit, Virdis).

Passato il singhiozzo, ho potuto radermi e fare qualche considerazione onesta riguardo al turno di Champions. Da quando è iniziato il nuovo anno, la pochezza del Real è preoccupante. La Roma ha i suoi indubbi meriti, ma la Real casa sta pagando l’immane minchiata di aver mandato via Capello vincente alla fine della scorsa stagione. Se il mese di aprile le dice bene, potremmo trovarci di fronte alla Roma più forte di sempre (per farlo, dovrebbe vincere il campionato, rivincere la Coppa Italia e arrivare in finale di Coppa dei Campioni: delle tre, la cosa più facile è la prima).

Ieri c’è stato fra l’altro un tragico fraintendimento che mi ha impedito di guardare la partita in diretta: mi sono imprudentemente allontanato dall’abbonamento a Sky grazie al quale santifico le feste, sicuro che Rai1 trasmettesse la partita dal Bernabeu. Con estrema sorpresa, mi sono ritrovato a vedere Pretty Woman, onta e beffa tanto più che detesto Julia Roberts e la sua bocca ranesca. Compulsando più accuratamente i quotidiani, mi sono accorto che la Rai ha dovuto oscurare la Roma perché ha in programma Inter-Liverpool di mercoledì prossimo: ennesima conferma che la tv pubblica trasmette per lo più roba inutile.

Non l’ho vista ma, in compenso, ho sentito l’eroico finale alla radio mentre venivo accompagnato alla stazione di Rogoredo. Coincidenza significativa: quando Vucinic ha segnato l’1-2, avevo un minuto e venti secondi per raggiungere Rogoredo e saltare sul treno delle 22:38, ossia possibilmente quello per Pavia. Idem, quando Vucinic ha segnato l’1-2, il Real Madrid aveva un minuto e venti secondi per fare tre goal e vincere 4-2: ma non ci sarebbe riuscito nemmeno Di Stefano, credo, nemmeno con tre palloni contemporaneamente.

Poiché immagino che i malintenzionati interisti staranno pensando che io tergiversi, parlo del Milan – anche se non ho moltissimo da dire: come avevo scritto qualche settimana fa su queste stesse pagine virtuali, (mi permetto l’autocitazione) “il Milan, fra una cosa e l’altra, può permettersi di perdere” poiché “la legge dei grandi numeri previene dal vincere la Champions due volte di fila”. Poiché sono un signore, non starò a puntare l’indice contro squadre che parlano e parlano ma non vincono la Coppa Campioni dagli anni in cui i Beatles andavano ancora in tournée, tanto per rendere l’idea. Poiché amo il calcio inglese, è bene che il tramonto definitivo del Milan di Maldini sia avvenuto contro una squadra che ha fatto propria la bandiera della salutare gioventù vittoriana del dottor Arnold: l’Arsenal di Fabregas ricorda un po’ la Dinamo Kiev di Lobanovski per gli automatismi nei passaggi (ma è molto meno fisica, e alla lunga ha un minor ventaglio di soluzioni tattiche), un po’ l’Olanda di Cruyff (con la lieve differenza che non annovera un Cruyff, e neanche un decimo dell’Arancia Meccanica), un po’ la Roma di ieri sera. Pazienza. Perdere con l’Arsenal si può fare (ogni sottintesa propaganda elettorale è biecamente voluta). Perdere con il Fenerbahçe crea più problemi.

Il Siviglia, martedì, ha giocato la partita più emozionante del torneo a tutt’oggi. Si è trovato in largo vantaggio grazie alla preoccupante tendenza di Volkan, il portiere turco, a scansarsi ogni volta che un tiro lo riguardasse. A quel punto, il Siviglia ha creduto di aver completato la rimonta, e s’è dimenticata che i Turchi per definizione sono duri a morire. Maiuscola partita di Diego Lugano, che vestirei di rossonero già domani se rientrasse nelle mie facoltà. Deivid ha fatto il resto, non contento di aver già segnato contro l’Inter, e prima ancora dei rigori il calciomane intuiva che per il Siviglia non c’era più speranza: cambiata l’inerzia della partita, spenta la propulsione andalusa, esaurita con ogni probabilità la dose di fortuna che aveva consentito a una squadra buona ma non eccelsa di vincere cinque trofei in un paio d’anni, manco fosse il Milan dei tempi d’oro. Oltre che per il risultato, Fenerbahçe-Siviglia è stata la partita più emozionante dal versante dell’onomastica, rinfoltita com’era di nomi barocchi e fantasmagorici: da un lato Jesus Navas, Diego Capel, Ivica Dragutinovic – senza contare Duda che all’anagrafe risulta Sergio Paulo Barbosa Valente; dall’altro nientepopodimeno che Edu Dracena, Mehmet Aurelio, Can Arat, Alì Bilgin, Semih Senturk, Volkan Babacan, Claudio Andres Maldonado Rivera nonché, omaggio per i napoletani che rideranno cinque minuti di fila, Kazim Kazim, con gli accenti sulle i. Infine una notazione curiosa. Se andate sul sito del Siviglia, la prima cosa che vedrete è la pubblicità alle processioni della Settimana Santa. Urge adeguarsi.

Quanto al resto, potete controllare: alla fine dell’andata ho azzeccato in scioltezza le previsioni riguardo alle partite di martedì (qualificate Arsenal, Barcellona, Fenerbahçe e Manchester Utd), sbagliando miseramente quelle del mercoledì (Roma e non Real, Schalke e non Porto – ho previsto solo il Chelsea sull’Olympiacos, bella forza). Sperando di non aver sbagliato il pronostico rosso contro l’Inter, teniamoci visti.

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