[Nota preliminare: scrivo questa recensione una settimana prima delle elezioni, senza sapere come andranno, ma con l’esplicita indicazione di pubblicarla dopo, potendo prevederlo.]
Marianna Edda Mellone è una bimbetta fortunata perché, nella pletora di volumi su Berlusconi pro Berlusconi e soprattutto contro Berlusconi che ha visto la luce negli ultimi quindici anni, ne avrà uno fatto su misura e che si colloca su un piano diverso da tutti gli altri; un piano, per così dire, compiutamente narrativo.
Se nel catalogo dei libri in commercio cerchiamo l’elenco dei titoli comprendenti la parola “Berlusconi” o derivati, ne otteniamo centotrentatre, l’ultimo dei quali è proprio Cara Bombo, mentre il primo è un Berlusconi, i media e il consenso risalente guarda caso proprio all’anno zero, il
Mellone sarebbe dunque andato incontro al fallimento (editorialmente parlando), o se non altro alla ritrita riproposizione del già detto, se non avesse scelto di uscire dal tempo e riconsiderare la prospettiva su quest’argomento tanto diffuso. La novità non sta tanto nella narrazione in sé e per sé: quelle volte in cui Berlusconi ha ispirato romanzi (Franco Cordelli, Il Duca di Mantova; Giuseppe Caruso, Chi ha ucciso Silvio Berlusconi; Giuseppe Magnarapa, La morte non basta; Allan Cameroni, 2048; Andrea Salieri, L’omicidio Berlusconi), è avvenuto che o la finzione romanzesca è stata sepolta dall’urgenza della realtà berlusconiana (e quindi dal pamphlettismo) o la storicità di Berlusconi è stata sepolta dall’utopia indefinita (che il più delle volte contemplava l’eliminazione fisica del presunto tiranno). In entrambi i casi, si trattava di romanzi a tesi, con gran danno sia per la qualità del romanzo sia per la credibilità della tesi stessa.
L’unico punto comune del centinaio abbondante di variegati volumi che si concentrano su cause e conseguenze di Berlusconi, con netta prevalenza di un atteggiamento ostile, è che tutti partono dall’assunto che il lettore sappia benissimo chi sia Berlusconi, differenziandosi nelle seguenti tipologie: lettori pregiudizialmente avversi a Berlusconi, da esacerbare nella loro avversione; lettori pregiudizialmente avversi a Berlusconi, da trasportare al versante opposto; lettori pregiudizialmente favorevoli a Berlusconi, da confermare nel loro favore; lettori pregiudizialmente favorevoli a Berlusconi, da trasportare al versante opposto. Nell’ambito di questa contrapposizione si potrebbe tracciare una griglia pressoché aristotelica nella quale infilare uno per uno centotrentadue libri. Potrei farlo, ma mi trattengo – e mi limito a dire che da questa griglia resta fuori solamente Cara Bombo, buon centotrentatreesimo.
Questo avviene perché Mellone parte dall’assunto che la sua unica presunta lettrice, e dedicataria degli appunti semi-diaristici, sia una povera innocente che nella leggerezza dei suoi due anni non ha la più pallida idea di chi sia il signore che, in tv, finge di sentirsi male dopo aver addentato una mozzarella o che sorridendo punta il dito indice verso la telecamera. In questa finzione scenica, e romanzesca in senso lato, il lettore effettivo è costretto ad adeguarsi e deve accostarsi al racconto su Berlusconi con spirito sgombro e mente vergine. Non è facile, ovviamente, ma così mi è parso giusto interpretare il disegno di copertina nel quale la piccola Bombo, bionda e con gli occhi azzurri, progressivamente cancella con la gomma lo schizzo di un Berlusconi poco più alto di lei. In questo caso non si tratta della eliminazione fisica di Berlusconi, sulla quale già ci si è esercitati in abbondanza, ma dell’eliminazione psicologica dell’immagine di Berlusconi che si è venuta via via formandosi nei nostri cervelli, a favore o contrari, nel corso degli anni da politico e prima ancora da editore, presidente del Milan, costruttore e perfino chansonnier.
Solo senza avere un’idea su Berlusconi possiamo capire Berlusconi medesimo. E infatti Mellone specifica che, da vecchio missino, ciò che pensava di Berlusconi era in realtà una bilancia in equilibrio, costretta fra il favore di parte e un’istintiva avversione o, se non altro, un comprensibile scetticismo.
Sulle duecento pagine del libro di Mellone ho segnato la bellezza di dodici passi da commentare diffusamente, ma non ne commento nemmeno uno perché sarei di parte – di Berlusconi amo la corda pazza, lo scatto imprevisto anche nel fare ciò che è ragionevole aspettarsi, la capacità impossibile di far convivere la responsabilità istituzionale del governare col talento istrionico di dire quello che molti sanno che non si dice, o non sanno come dire, o addirittura non sanno di pensare – e quindi così facendo finirei per collocarmi anch’io nella griglia aristotelica di cui sopra e travierei in un senso o nell’altro il lettore dall’ingenuità primigenia che Mellone pretende e che forse solo la piccola Bombo può garantirgli.
Il 2026 è piuttosto lontano, e Berlusconi è stato dato per finito varie volte: nel 1993, quando decise d’emblée di darsi alla politica; nel 1994, quando cadde il suo primo governo; nel 1996, quando perse le sue prime elezioni; nel 1999, quando affossò
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