Gurrado, il liceo Voltaire gode di un’ottima posizione al centro di ***: esso confina a sud con l’Arcivescovado, a nord con la sede di una nota compagnia di assicurazioni, a ovest con la trattoria “La via dell’ovile” e a est con la chiesetta della SS. Trinità, dove molti studenti devoti si attardano la mattina a pregare prima di un compito in classe, appellandosi alla Beata Vergine, agli angeli e ai santi tutti per racimolare una strascicata sufficienza in greco o in matematica.
Talvolta però lo spirito religioso degli studenti deve cedere forzatamente il posto all’attaccamento al dovere, come è capitato in Terzaddì alcuni giorni fa. Si dà infatti il caso che il sommo dirigente scolastico, dimentico di trovarsi ad amministrare un liceo classico, abbia deciso di allestire nell’Aula Magna una mostra dedicata alle varie forme di energia, con tanto di esperimenti fisici e tecnologici. Tale mostra ha lo scopo di attirare numerose scolaresche elementari, le quali, guidate dalle proprie maestre, giungono ogni giorno in visita, e si mostrano deliziate dalla visione di lampadine elettriche che miracolosamente si accendono davanti ai loro occhi, o di piccoli mulini ad acqua, o di candeline che, sprigionando calore, mettono in moto gli ingranaggi di un’elica.
La mostra è gestita dalla professoressa Selli, insegnante di fisica della Terzaddì, donna che ha dedicato la sua vita alle scienze e che si mostra eccitatissima ogni qual volta le capiti di avere a che fare con un esperimento. Disgraziatamente, in un uggioso martedì mattina, la povera docente scoprì con orrore di aver terminato le candele poco prima che una scolaresca elementare giungesse in visita per ammirare le meraviglie dell’energia nell’Aula Magna del Voltaire. Dal momento che tali candele risultavano fondamentali per mettere in moto l’ingranaggio collegato all’elica che avrebbe dovuto spostare la valvola in modo da muovere la rotella che avrebbe fatto girare l’ingranaggio stesso, la professoressa sprofondò nella più cupa disperazione e cominciò a vagare per i corridoi della scuola come un’anima in pena, sperando di incontrare qualcuno che potesse risolvere il suo tragico problema.
Accadde che, proprio in quel momento, le due rappresentanti della classe Terzaddì, ovvero Eleonora F e la sottoscritta Silvia G, stessero bighellonando per i corridoi dell’istituto, annoiate dall’ennesima ora di supplenza della giornata (la professoressa Fiorello, infatti, era costretta a letto dopo un episodio di pertosse capitatole la settimana precedente a causa di una reazione allergica al polline). Incappando sulla strada della professoressa Selli, esse vennero da quest’ultima fisicamente aggredite: “Ragazze mie, ragazze mie!”, esclamò l’insegnante con un’agitazione molto vicina al panico, “Ho urgente bisogno di alcune candele, o il mio magnifico esperimento andrà a monte! Pensate a quei poveri bimbi delle elementari e alla loro delusione! Pensate al ricordo che conserveranno di questa scuola! Pensate a come finiranno per disprezzare voi e me se non rinveniamo i preziosi ceri!”.
Io e la mia compagna, pur addolorate da tali terribili pensieri, non sapevamo che pesci pigliare: di candele, al liceo Voltaire, non c’era ombra. Al solo scopo di sdrammatizzare la situazione e di sollevare un poco l’umore della povera professoressa Selli, che si avvicinava sempre più alla crisi di nervi, avanzai una battuta di spirito: “L’unica soluzione sarebbe prelevare dei ceri dalla chiesa qui a fianco”. Io ed Eleonora F cominciammo a ridere divertite; la professoressa Selli, dal canto suo, s’illuminò d’immenso ed esclamò: “Giustissimo! Fatemi il favore di uscire subito e di portarmene quattro o cinque!”. Io ed Eleonora F cessammo all’istante di ridere: per quanto la professoressa fosse animata dal suo sconfinato amore per la scienza, l’idea di sgraffignare dei ceri votivi da una chiesa non ci garbava affatto.
L’entusiasmo della docente ebbe tuttavia la meglio e, senza dare troppo nell’occhio, ci recammo furtivamente nella piccola chiesa. Avvicinateci all’oggetto del nostro interesse, ovvero alle candeline poste di fronte a una sacra immagine della Vergine Maria, badando di non essere osservate, ne prelevammo quattro o cinque e le infilammo cautamente nelle tasche dei jeans. Mentre già ci defilavamo, sotto l’occhio vigile e scandalizzato di un anziano fedele, ci sovvenne all’improvviso che per l’ora successiva era stato programmato un compito in classe di storia: “Esimia collega”, bisbigliai nell’orecchio di Eleonora F, “ritieni sia prudente affrontare una prova scritta dopo aver compiuto un furto in una chiesa, seppur per esplicita richiesta di un’insegnante?”; “Ebbene, no. Tuttavia, la professoressa Selli non si è premurata di darci del denaro per le offerte, e io manco di spiccioli”; “Io pure. Credo sia opportuno però dare fondo ai risparmi”. Estrassi dunque dalla tasca dei pantaloni una banconota nuova di zecca, superstite dell’ultima paghetta settimanale con la quale avrei dovuto acquistare il mio pranzo, e, sospirando, la devolsi per la fame nel mondo (dimentica che, nel giro di poche ore, avrei avuto fame nel mondo io stessa).
Non mancai tuttavia di raccogliere i frutti del mio buon gesto (frutti sciaguratamente non commestibili): l’esperimento della professoressa Selli funzionò alla perfezione, il compito di storia saltò in quanto l’insegnante si era ammalata quel giorno stesso, e la nostra anima, presumibilmente, era sal[NdG: Silvia G viene precipitata all'Inferno, per cui il manoscritto termina qui]
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