mercoledì 28 maggio 2008
A cercar la bella morte
C'era una volta un editore modenese di sette cotte, e perciò italiano sette volte, che risiedeva a Roma. Quando gli dissero: tu non sei italiano, egli volle dimostrare di essere modenese di sette cotte e perciò sette volte italiano, buttandosi dall'alto della sua Ghirlandina. Ma era stato scritto di lui che aveva la testa molto dura, ed infatti precipitando a capo fitto la testa si frantumò in tre grosse schegge senza dare una goccia di sangue. (Oh le leggende!).
Angelo Fortunato Formiggini (1878-1938), editore modenese in Roma, non era pregiudizialmente avverso al Fascismo. Lo era divenuto nel momento in cui erano state emanate le leggi razziali, che criticava severamente tanto nel merito (gli ebrei non costituiscono affatto una razza: sono il risultato di innumeri incroci avvenuti durante la diaspora) quanto nel metodo (il razzismo coloniale non ha niente a che fare col tuo antisemitismo di marca tedesca). Soprattutto, Formiggini non tollerava che con le leggi razziali Mussolini si fosse svenduto a Hitler e ai tedeschi in genere (il vizio tedesco ha ghermito anche te) e che così facendo avesse rinnegato lo stesso fondamento ideale e vitalistico del Fascismo: lo hai detto chiaro e tondo anche tu, che il razzismo è una grande sciocchezza e che l'antisemitismo è sinonimo di pederastia, mentre il Fascismo era in origine un ristabilimento energico dell'ordine sociale che era stato scosso e un elemento di forza a servizio del diritto. Agli antifascisti anzi Formiggini moveva una velenosa critica: anche questi tuoi avversari si macchiano della tua stessa ingiustizia: vorrebbero che una data categoria di cittadini avesse un pensiero politico coatto. Vale a dire che li vorrebbero rinchiudere in una specie di ghetto psicologico.
Il sigillo razziale dell'alleanza con Hitler aveva invece portato Mussolini a trasformarsi nell'Anticrsito preconizzato dal libello menagramico, un Anticristo a due teste come l'aquila bicipite che fu il bau bau della nostra balda, gaia e generosa giovinezza. Ebreo quantunque, Formiggini parteggiava invece per il povero Gesù e riteneva che, dato il mio temperamento, se fossi stato suo contemporaneo ci saremmo intesi ed affiatati così tanto che la conclusione della mia vita possa, con un poco di buona volontà e di compatimento, essere riconosciuta come una abbastanza interessante "imitazione del Cristo". E ancora: Mi permetto di far notare che la mia croce me la sono eretta da me stesso, che mi sono fatto il processo e che mi sono condannato da me stesso, che ho preso volontariamente il posto che spettava a Barabba e che sono stato io stesso il mio esecutore dell'"alta" opera. Gesù e Formiggini erano differenti in quanto Egli non conosceva né la radio né il telegrafo senza fili. Non immaginava nemmeno che i libri si sarebbero potuti stampare, mentre io ne ho stampati tanti, anche troppi, sebbene con un risultato finale così abominevole. Gesù e Formiggini sono accomunati da una sostanziale affinità che si palesa in un identico amore per il prossimo e in una identica volontà di martirio per il prossimo fino a farlo divenire felicità suprema, aspirazione massima, estrema dell'anima umana, oltre la quale non c'è nulla, non ci può essere nulla.
Morire, ma come? La risposta è nel simbolico abbandono di Roma e conseguente ritorno a Modena, mediante acquisto di un biglietto di sola andata: una gentile leggenda fiorisce intorno alla mia Torre: un bimbo precipitò dall'alto e S. Geminiano con miracolosa prontezza lo acciuffò al volo e lo salvò. Spero che il Santo non avrà il tempo di salvare anche me.
Nell'ambito della sua privata lotta fra Cristo e Anticristo, Formiggini pianifica alla perfezione il suo martirio/suicidio/esecuzione. Mi sembra che quando salirò ansimando i pesanti gradini della mia Ghirlandina dalla quale dovrò discendere a volo e senza paracadute, nessuno potrà sentirsi più di me vicino a Gesù. Se anche sembrerà che nel discendere io mi allontani dal cielo, spiritualmente mi ci avvicinerò e raggiungerò la più alta quota quando il mio corpo avrà toccato la quota zero. Man mano che la data si avvicina, Formiggini scrive alla moglie (grazie della buona compagnia che mi hai fatto), ai Modenesi (il piccolo spazio che c'è fra la Ghirlandina e il monumento al Tassoni lo chiamerete "al tvajol ed Furmajin", per indicare la limitatezza dello spazio; non direte "sudario" perché "tvajol" è parola più allegra e simposiale), agli Italiani tutti (la vita non vale più nulla se non si può lavorare, se non si può più amare ed essere amati), al Papa (accordategli la Vostra benedizione; consentitegli di ricambiarla umilmente e di cuore), al Re (è proprio vero che non potete far nulla per salvare l'Italia?), al Duce (il tuo genio proteiforme possa suggerirti la via per rimediare al triste errore).
Nel frattempo Formiggini va componendo sin dall'estate epigrafi poetiche di dubbia riuscita ma di sicuro impatto:
Ghirlandéina dam un còcc / pr'ajutèrme a fèr al bocc!
Crepare / è il solo diritto che sia rispettato: / sarebbe peccato / non ne approfittare.
I libri miei tutti / i belli ed i brutti / acquistano pregio: / ormai me ne fregio.
Fior tricolore / tramontano le stelle in mezzo al mare / e s'è spento il sorriso nel mio cuore.
L'ultimo giorno, il 27 novembre 1938, scrive alla moglie: Viaggio triste ieri per averti lasciato per sempre (...). Ma ieri sera tanto di cotoletta con tartufi e di lambrusco. Sono andato allo Storchi. (...) Dopo il primo atto sono andato a letto senza aver capito di cosa si trattasse. Ho dormito meglio del solito (...). Nelle ore di veglia una calma ed una serenità assolute (...). Finora è stato proprio come bere un uomo e spero ormai che sarà così fino alla fine imminentissima. Ecco: me ne vado. (...) Estrema raccomandazione: siate rassegnati alla mia sorte, non fate recriminazioni. Non guastatemi le uova nel paniere!
Scritto questo, Formiggini sale sulla torre Ghirlandina ed ecco: con estremo atto di disciplina elevo il mio bravo saluto al Duce e poi lancio dall'alto il mio grido: Italia! Italia! Italia! E lancio dall'alto anche me stesso: bumf!
[I corsivi sono tutti tratti da Angelo Fortunato Formiggini, Parole in Libertà, Edizioni Roma, 1945]
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