Gurrado, alla fine de I Promessi Sposi, Manzoni mette in bocca a Lucia Mondella le seguenti parole: “Io non sono andata a cercare i guai: sono loro che sono venuti a cercar me”. Da un certo punto di vista, anche i membri della Terzaddì possono dire lo stesso, almeno valutando la serie di fatalità che si sono riversate nel breve arco di quarantott’ore su di loro e sui loro infelici accompagnatori, il professor Boni e il professor Furgio, durante la gita scolastica a Monaco di Baviera.
Trascurando le condizioni atmosferiche, che certo avrebbero potuto essere migliori, i guai cominciano appena arrivati in albergo, quando la sottoscritta Silvia G, presumibilmente assorta in qualche improcrastinabile elucubrazione metafisica, va a sbattere il naso contro la porta a vetro della hall, convinta che si tratti di una porta aperta. Essa era invece chiusa. Ne consegue copiosa perdita di sangue dal naso, nonché ironiche e giustificabili battute da parte dei compagni di classe. Lo stesso portiere tedesco, avendo assistito alla scena da lontano, commenta col professor Boni che i vetri dell’albergo devono essere davvero puliti se sfuggono addirittura alla vista delle giovani studentesse italiane. Si sospetta l’infrazione del setto nasale della sottoscritta, la quale però è troppo mortificata per lagnarsene e decide stoicamente di non rallentare la tabella di marcia e di non recarsi al pronto soccorso.
Dunque, inzuppata da una pioggia violenta, che promette di tramutarsi a breve in diluvio universale e fine del mondo, la classe Terzaddì trascorre la giornata in giro per la città, visitando chiese e musei sotto l’esperta guida del professor Boni.
La sera giunge, i piedi dolgono e lo stomaco manifesta prepotentemente il proprio appetito, ragion per cui la classe, sempre guidata dal professor Boni, si reca in una nota birreria del luogo per consumare la cena, a base di wurstel, crauti e birra. Il clima, nel locale, è piuttosto goliardico, e i membri della sezione non ci mettono molto a fraternizzare con un gruppo di giovani tedeschi, al punto che sia io che la mia compagna Eleonora F ci rechiamo fuori per fumare in compagnia delle nostre nuove conoscenze. Tirata qualche boccata alla sua sigaretta, Eleonora F fa per passarla ad un biondo germanico decisamente attraente in segno di amicizia, quand’ecco sopraggiungere dal buio due oscuri figuri armati, i quali, presumibilmente insospettiti dal vestiario e dalla pettinatura della mia compagna (Eleonora F indossa infatti un giubbotto di pelle pieno di borchie, ha le scarpe di tela bucate e perfino una ciocca di capelli rasta), la bloccano e le strappano di mano il mozzicone, esclamando: “Polizei!”. I tedeschi sono certo un popolo evoluto, talmente evoluto da avere con ogni probabilità modificato i geni dei poliziotti bavaresi in laboratorio, unendoli a quelli dei loro cani ed ottenendone un temibile ibrido in grado di distinguere col solo uso dell’olfatto le sostanze stupefacenti. Il poliziotto bavarese in questione, difatti, ha preso ad annusare rumorosamente la sigaretta di Eleonora F, tentando grazie alla sua mirabile sensibilità olfattiva di capire se si tratta di semplice tabacco oppure no. Il suo fiuto studia il mozzicone scrupolosamente, le narici si dilatano ed egli contrae i lineamenti germanici in una smorfia severa e accigliata. Passa poi il reperto alla collega, suo corrispettivo femminile, la quale compie la medesima procedura, annusando smaniosa. Comincio a sospettare che si tratti di due tossicodipendenti in piena crisi d’astinenza, tale è la foga che mettono nel fiutare la sigaretta bruciacchiata della mia compagna. Sarei quasi tentata di domandar loro un distintivo o una tessera di riconoscimento, dal momento che finora non hanno mostrato nulla all’infuori della pistola portata alla vita, e non sembrano neanche in uniforme. Interviene però il professor Boni, il quale ha notato in lontananza che una sua alunna è in procinto di farsi arrestare; padroneggiando abilmente la barbara lingua dei due bestioni, pare convincerli della nostra innocenza. Essi si accaniscono dunque sul gruppo di loro giovani connazionali, mentre Boni trascina me ed Eleonora F lontano dai guai, riconducendo la classe in albergo.
Per quel che riguarda la nottata, lascerò ampi margini immaginatavi all’eventuale lettore e non mi dilungherò nella descrizione delle “marachelle” compiute dai membri della Terzaddì, precisando solo che la quantità delle stesse è indirettamente proporzionale al numero di ore che i giovani hanno dedicato al sonno (invero pochine).
Il mattino seguente, dopo aver visitato l’università e
Dopo aver rischiato di perdere il treno e di rimanere quindi bloccati in Baviera, prolungando la disgraziatissima gita scolastica, gli alunni della Terzaddì riescono a prendere posto nel loro scompartimento, e possono dunque fare un bilancio dei danni subìti: si contano un naso ammaccato e sanguinante, un tentativo d’arresto per spaccio di droga, i postumi di svariate sbornie notturne e una perdita di coscienza improvvisa e apparentemente immotivata.
Il giorno successivo, solo pochi temerari osano presentarsi in classe per riprendere le lezioni, e in alcune giustificazioni portate in seguito gli alunni hanno scritto: assente per convalescenza post gita sc[Contrordine: Gurrado non deve più andare a Bèrghem, il manoscritto termina qui]
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