Qui le notizie continuano ad arrivare in ritardo: non tanto riguardo all’evento in sé quanto piuttosto alle varie conseguenze. È come se la catena di causa-effetto, che in Italia si scatena inarrestabile a ogni dichiarazione di Mourinho o Franceschini, in Inghilterra arrivi attenuata, trattenuta, sterilizzata. Più che una differita è una risacca. Prendete ad esempio il caso-Balotelli: un po’ perché non è il mio primo pensiero, un po’ perché internet mi sembra sempre e comunque fonte inaffidabile, non ho ancora ben capito cosa sia successo. I tifosi della Juve l’hanno insultato perché era nero? Perché era bresciano? Interista? Fessacchiotto? In due di questi casi hanno sicuramente fatto bene. Se non che mentre la notiziona arrivava fin qui, si guardava attorno, constatava il più totale disinteresse in giro e tornava indietro con la coda fra le gambe, una sottonotizia s’impigliava nelle bianche scogliere di Dover e restava lì ad agitarsi sbattuta dal vento e dalle onde: pare che Moratti in reazione agli insulti a Balotelli “avrebbe voluto ritirare l’Inter”.
Bravo allora, perché non l’ha fatto? Se ritiene che Balotelli sia parte integrante della squadra e della società, l’insulto al singolo va preso come insulto al collettivo. Avrebbe dovuto comporarsi come Juan Carlos di Borbone: il discutibile Hugo Chávez stava inveendo contro il quasi altrettanto discutibile Zapatero, un paio d’anni fa, e il Re Borbone era intervenuto chiedendo brutalmente al più discutibile dei due: “¿Porqué no te calles? – perché non stai zitto?”, andandosene sdegnato dopo di che. Certo che fra essere presidente dell’Inter e Re di tutte le Spagne ce ne corre ancora; ma perché Moratti ha usato il condizionale, un modo verbale destinato a repentina estinzione? Cosa mai l’ha trattenuto? La paura di avere partita persa a tavolino? Se un uomo persegue un ideale così elevato come l’antirazzismo, si presume che lo ritenga più importante di una sconfitta per 0-3 o di qualche punto di penalizzazione. Non è Moratti colui che ha dimostrato di essere negli ultimi anni? Il presidente dal cuore tenero, il calcificatore dal volto umano, il baluardo dell’onestà, il difensore degli oppressi in scatola? Per essere all’altezza del proprio ritratto, Moratti avrebbe dovuto ritirare l’Inter dal campionato, senza accettare compromessi. O vuol forse farci pensare che uno scudetto vale più della dignità del suo calciatore più giovane e prezioso, Santon escluso? che pur di vincerlo è disposto a mettere da parte ogni ideale e ogni valore? a lasciare che i propri impiegati vengano trattati come non meritano pur di cucirsi un triangolino tricolore sulla maglietta?
Per fortuna, di tutto ciò, in Inghilterra non glien’è fregato nulla a nessuno. Sia perché qui il calcio resta un gioco in cui le mamme (giovani e relativamente affascinanti) portano i figli (di nove anni) al pub per vedere la squadra del cuore, prendendo una birra per sé e un succo di frutta per il pargolo. Sia perché questa settimana il grosso dell’interesse locale è stato focalizzato sul giorno di San Giorgio, 23 aprile, festa nazionale: dell’Inghilterra, non della Gran Bretagna. Un tempo, pare, era un giorno festivo. Quest’anno è stato festeggiato da chiunque andando da Sainsbury’s, locale Esselunga, comprando un doppio tramezzino al cotto e cetriolo e mangiandolo in ufficio davanti al computer durante la pausa pranzo. Qualche sparuto disoccupato ha agitato delle bandiere inglesi – croce rossa, di San Giorgio appunto, su fondo bianco – davanti a Buckingham Palace.
Stordisce la contrapposizione fra Inghilterra e Italia, fra 23 e 25 aprile. In Inghilterra c’è una festa di tutti che desta tanto interesse quanto gli insulti a Balotelli. In Italia ce n’è una in cui ci si rinfaccia per tutta la settimana precedente e quella successiva di non essere abbastanza italiani. È un po’ la stessa ragione che ha spinto Balotelli alla pubblicizzata reazione – da fessacchiotto secondo tradizione – contro i tizi che lo avevano insultato: “Io sono più italiano di loro”. Idem, in Italia ogni festa nazionale serve a rivendicare di avercelo più lungo, se mi si passa la sottile metafora, e a rimproverare agli altri di non essere abbastanza italiani per poter festeggiare.
A Balotelli, a Moratti, ai tifosi della Juve, agli Italiani e all’Inghilterra tutta commino dunque la visione integrale di State buoni se potete di Luigi Magni. Non che sia un brutto film, anzi la visione in sé andrebbe considerata premio più che punizione. Racconta di un Italiano dimenticato troppo spesso, San Filippo Neri, che nel film è interpretato da un barbuto Johnny Dorelli e che nella realtà è stato, fra le varie, inventore del sistema degli oratori. In primo luogo mi pare che Balotelli e Moratti (metaforicamente, tale padre tale figlio) abbiano estremo bisogno di un saltellante Angelo Branduardi che canti a ciclo continuo e perenne memoria: “Tutto è vanità, solo vanità, vivete con gioia e semplicità: state buoni se potete, tutto il resto è vanità”, a Balotelli, e poi: “Se felice sei, dei piaceri tuoi, godendo solo d’argento e d’oro, alla fine che ti resterà? Vanità di vanità”, a Moratti.
Ai quattro razzisti fra i tifosi della Juve e agli inglesi troppo tolleranti e un po’ addormentati raccomando invece la scena del bambino che catechizza gli altri: “Oggi vi racconto la storia di San Giorgio e il drago”. Al che San Filippo Johnny Neri Dorelli, seduto democraticamente fra gli altri bambini, interviene spiegando che il santo è solo San Giorgio, mentre secondo quel che ha detto il bambino pare che sia santo pure il drago. Il bambino non sente ragione e continua a parlare di San Giorgio e il drago come di una persona sola. Inglesi, non vi rendete conto che sterilizzando san Giorgio santificate il drago? Razzisti, vi siete resi conto che nell’iconografia tradizionale San Giorgio è irriconoscibile se non gli si mette il drago sotto i piedi, con le fauci spalancate e la lancia che lo trafigge? (Perdòno, ogni tanto mi lascio trasportare dalle domande retoriche). Così ogni nazione si porta appresso il suo, di drago: che in Inghilterra è la diffusa tendenza ad accettare troppo e accettare tutto.
La stessa struttura costituzionale della Gran Bretagna è oggettivamente asimmetrica: a Westminster c’è un parlamento nel quale siedono membri scozzesi, gallesi e irlandesi decidendo anche le leggi inglesi; invece in Scozia, Galles e Nord Irlanda ci sono altrettanti parlamentini locali senza mezzo inglese dentro. Il primo ministro britannico, domiciliato in 10 Downing Street, Londra, è uno scozzese; se un inglese s’azzardasse a governare Edimburgo verrebbe trasformato subitamente in roastbeef. Del più grande impero dei tempi recenti è rimasto solo il riflesso, anzi il riflusso, d’immigrazione: incontrollata non tanto nei numeri quanto nella concessione di fare tutto quello che si vuole come se si fosse a casa propria. Un tempo c’era Lawrence d’Arabia, oggidì i biroccini di cibo spazzatura però sminuzzato secondo i criteri halal: Kebab Doner ferum victorem coepit.
Se si trasferisse in Inghilterra, Balotelli farebbe la propria fortuna non solo perché potrebbe finalmente partecipare sul serio alla Champions League ma anche perché godrebbe di un’illimitata libertà dovuta al colore della propria pelle. Se qui un nero ruba il posto in fila a un inglese, l’inglese non può protestare se no viene tacciato di razzismo. Se un capo concede un giorno libero a un’impiegata martoriata dal ciclo, c’è il rischio che venga denunciato per sessismo. Se in biblioteca chiedi un libro in prestito sorridendo alla bibliotecaria, quasi certamente è molestia sessuale. Se sul pullman ti alzi per cedere il posto a un ultracentenario, gli Inglesi si sono inventati il reato di ageism, la discriminazione in base all’età, che in Italia per fortuna non è ancora arrivato ma del quale sin d’ora prenoto la traduzione in “vecchismo”. Dai bigliettini pasquali è stata rimosso ogni possibile riferimento alla Pasqua stessa: niente Crocifissi né Risorti, solo uova e coniglietti. A dicembre non vi azzardate a fare gli auguri di Buon Natale: la comunità islamica potrebbe insorgere e farvi a tocchettini in nome della tolleranza. Si dice Merry Festivities, un più generico Buone festività.
Agli Italiani l’augurio di non diventare mai deboli come gli inglesi e di capire che però non è necessario essere cretini come i quattro che hanno insultato Balotelli, riuscendo nell’impresa di farlo passare dalla parte della ragione. Agli Italiani l’invito a rivedere ancora una volta State buoni se potete, a disconnettersi da internet e a riaprire ovunque gli oratori, che storicamente hanno fondato la coscienza nazionale, l’integrazione infantile e il buon senso che troppo spesso a torto non ci riconosciamo, con una saggia mediazione fra San Giorgio e il drago. E la preghiera che non mi trattino come il piccolo catechizzatore alla fine della sua storia: “Domani vi racconto la storia di San Fedele”-“No, tu domani vai a fanc**o, per piacere”.
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