Questo titolo marxiano per una squadra di marziani doveva nelle mie intenzioni annunciare un intervento strutturato, onnicomprensivo e graffiante sull’economia pallonara e il costo dei sogni. O, come avrebbe detto non ricordo più chi, “un contributo barboso a una discussione sterile”. Invece fa caldo, sono sfinito dai lavori arretrati, ho sul groppone un volo transmarino (transmanicheo?) e quindi dovrete accontentarvi di alcune considerazioni sparse, una rapsodia di mezze idee.
1. Il commento che ha scatenato la ridda di reazioni irritate, più ancora della lettera di Nacho Duque García, l’ho scritto al culmine di un duro periodo di lavoro e soprattutto dopo aver mangiato più bacon di quanto uno stomaco sano, umano e soprattutto italiano possa sopportare. I toni erano accesi e me ne scuso. La prossima volta che mi verrà in mente di scrivere robe del genere comprerò una pagina dell’International Herald Tribune.
2. Non credo che i soldi del Real e di Florentino siano sterco del demonio mentre quelli, dico a caso, del Chievo e di Campedelli emanino verbena. I soldi nel calcio sono necessari ma non sufficienti. Nessun progetto di supersquadra s’è mai salvato da un naufragio più o meno prematuro: io ricordo ancora cosa dicevano i miei amici interisti quando Moratti acquistò Vieri per affiancarlo a Ronaldo; né mi risulta che l’avesse preso gratis. Il calcio ha in sé i suoi anticorpi, un curioso cupio dissolvi che alla fine evita che la squadra più ricca non sia necessariamente la più vincente. Butto lì gli esempi della Sampdoria di Mantovani o del Verona di Bagnoli, ché il mio inconscio calcistico si commuove sempre quando ci pensa.
3. I soldi nel calcio hanno sempre destato scandalo. Fu così quando il Napoli superò il muro dei cento milioni per comprare Jeppsòn, rigorosamente con l’accento sull’ultima. Quando il primo contrasto lo spedì a terra, un pittoresco spettatore commentò: “È carut’o’ Bangh’e’ Napule”. Si disse che era la fine del calcio, il calcio continuò. Fu così anche quando Berlusconi spese sessantatre miliardi per acquistare Lentini. Nessuno considerò che i sessantatrè miliardi erano esattamente l’attivo del bilancio che il Milan era libero di spendere per chiudere in pareggio. Si disse che era finito il calcio, il calcio continuò.
4. Nacho mi ha scritto una vibrante mail in tre lingue per spiegarmi il punto fondamentale che sfugge a molti italiani, me compreso: il Real (come il Barça) è un club, non una società. Florentino possiede una quota esattamente come l’ultimo degli abbonati ed è stato democraticamente eletto a seguito di regolare voto dietro presentazione di dettagliato programma, roba che in Italia ci sogniamo. Questo sistema responsabilizza il tifoso e permette di isolare le frange violente, ma soprattutto consente una diversa distribuzione dei dividendi che è talmente complessa che mi addormenterei io stesso a spiegarvi il poco che ne ho capito. Per tagliare la testa al toro (non me ne voglia Maresca), non si tratta dello sceicco Mohammed Al-Salaam che rileva il Fanfulla, compra i campioni intergalattici che ha vagamente sentito nominare e ne fa la squadra più forte del continente in men che non si dica, ricavandone esclusivamente arricchimento personale e marketing a tappeto.
5. Florentino è recidivo. Nel 2001 spese mezzo debito pubblico del Lesotho per comprare Zidane e creò così la leggenda della più forte Juventus post-trappattoniana. Magari ha lo stesso effetto sul Milan, chi può dirlo.
6. Florentino agisce mosso da un ideale, il Real di quando lui era piccolo che schierava tutti insieme Del Sol, Di Stéfano, Puskas e Gento. Anche all’epoca, non mi risulta che giocassero gratis.
7. Ma poi ha senso scandalizzarsi per un calciatore che guadagna dieci milioni l’anno ed entusiasmarsi per quello che ne guadagna uno appena? Si tratta in entrambi i casi di cifre spropositate per giocare a pallone; ma se fossimo seriamente scandalizzati ci metteremmo a seguire il badminton, piuttosto. Invece sotto sotto ci piace, è come quando compriamo Playboy e diciamo che tette così grandi sono irreali. E poi ha senso scandalizzarsi per un presidente che spende 90 milioni per un calciatore e non per il calciatore che è pronto a cambiare casacca alla velocità della luce dietro adeguato conguaglio? Possibile che la colpa sia sempre di chi paga e non di chi guadagna?
8. La storia dell’Atalanta è rispettabilissima, ci mancherebbe. Io nutrivo un’ammirazione sconsiderata nei confronti di Glenn Peter Strömberg, e non più di cinque minuti fa mi sono reso conto di riuscire a riconoscere al volo in vecchie foto l’orobico Evaristo Nicolini, così come il cremonese Ernesto Piccioni, l’interista Astutillo Malgioglio e il cesenate d’adozione Davor Jozic. Per Nacho il Real è talmente differente da tutte le altre le altre squadre per la maniera in cui tratta la propria storia, e infatti tifa per il Real. Per Stefano Corsi l’Atalanta è diversa dalle altre squadre per la maniera in cui tratta la propria storia, e tifa per l’Atalanta. Non vedo differenze, ognuno ama la donna più bella.
9. Per fortuna a calcio si gioca in due. Nel 1999 il Milan festeggiò il centenario con una partita fra Milan rossonero e Milan bianco che io mi disposi a vedere su Canale 5 con tutte le buone intenzioni; fu una delusione, mancava qualcuno, mancava l’altra squadra. Sembrava la riedizione deluxe delle amichevoli fra titolari e primavera che
10. C’è un paradosso, che come tutti i paradossi abbaglia ma può essere quasi educativo. Scialacquare è una maniera di dimostrare che il denaro non è tutto, giusta o sbagliata che possa apparire. Non amo le piccole squadre e, soprattutto, i piccoli presidenti che passano la vita a lamentarsi della ricchezza altrui: lo fanno solo per spacciarsi per poveri e giustificare la propria incapacità di spendere bene; lo fanno soprattutto per invidia, vorrebbero essere loro al posto di Florentino. Per fortuna non sono tutti così. Ma mi ricordano il noto aforisma di Oscar Wilde: “Il problema delle classi povere è che pensano sempre ai soldi”.
Infine (10 e mezzo) ribadisco ciò che ho già scritto nel commento al bello e saggio pezzo di Andrea Maietti: Lungi da me la prospettiva dello scisma degli "spagnoli": io e Nacho non creeremo il blog "Tacalabala" così come presumo che voi non creerete "Zeru soldi". Come sempre, credo che la verità sia nel mezzo e che nel calcio come altrove i soldi servono ma solo se accompagnati da tante altre doti - altrimenti si diventa Paris Hilton; e proprio ieri un professore mi faceva notare che se Voltaire non fosse stato ricco, non avrebbe avuto il tempo di scrivere così tanto e l'Europa avrebbe perduto uno dei suoi più grandi intellettuali, oltre ai benefici effetti socioculturali che si dice che abbia avuto. Se fossi protestante amerei le separazioni; ma come diceva uno che non ricordo, "sono cattolico e voglio tutto". Il che implica non solo che mi piacciono sia le trattorie sia i Grand Hotel, sarò contento degli scintillanti trionfi del Real e dei piccoli David che sottometteranno questo costosissimo Golia; ma significa soprattutto che mi preme tenere insieme tutti i pezzi, come raggi che si propagano in infinite direzioni contraddittorie ma movendo dallo stesso nucleo solare, l'amore per una palla che rotola e la capacità di commuoversi recitando a memoria almeno una formazione storica. Che un giorno potrebbe essere il Real di Florentino.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.