Ho voluto leggere Sorella di Lodoli subito dopo le Lettere di una Novizia di Guido Piovene, che furono pubblicate nel 1941. Non avevo né ho l’intenzione di fare paragoni fra gli autori – oltre che inutili sarebbero necessariamente sbilenchi avendo da una parte un Piovene acerbo e dall’altra un Lodoli maturo. Mi interessava invece vedere come un punto di vista teoricamente irraggiungibile, quello intimo di una suora, potesse essere trattato da due scrittori di sesso maschile e non istituzionalmente legati al Cattolicesimo. Soprattutto mi incuriosiva l’idea di quanto potesse essere cambiata la percezione delle suore nella narrativa italiana a sessanta e passa anni di distanza.
La principale differenza fra i due romanzi è data dalla reazione nei confronti del mondo: la protagonista di Piovene se ne ritrae e anzi sguscia via dai giudizi altrui, ricercando nella vocazione l’intangibilità che nessun altro tipo di vita potrebbe garantirle. La protagonista di Lodoli al contrario è gettata nel mondo proprio in quanto suora, su impulso della madre superiora che si accorge del suo tentativo di sottrarsi al confronto e la costringe docilmente a occuparsi di un asilo nido – ben sapendo che suor Amaranta ha più di una buona ragione per detestare i bambini di tre o quattro anni. Questa distinzione, a prima vista capziosa, diventa capitale rispetto alla scelta narrativa operata dai due autori. Piovene ha infatti optato per il romanzo epistolare utilizzando le lettere della novizia, alla novizia e sulla novizia come gli affondi di una complicata gara di scherma, in cui ognuno cerca di scansarsi colpendo l’avversario nel più distruttivo dei tutti contro tutti. L’unica voce narrante in Lodoli è invece quella di suor Amaranta, un io ben modulato che fronteggiando il mondo ostile che la circonda sa farsi di volta in volta scudo o specchio.
Le protagoniste sono a due punti ben differenti delle rispettive vite. Rita Passi, nelle Lettere, non è ancora giuridicamente responsabile di sé e anzi il senso di generica irresponsabilità la rende irrequieta e la tramortisce. Ogni sua lettera è la giustificazione di un qualcosa nascosto che verrà spiegato nella lettera successiva, in un crescendo di suspense e d’orrore morale. Suor Amaranta, in Sorella, ha trentasei anni e si sente vecchia. Nel suo convento è forse l’unica ad aver conservato uno specchio e fa affiorare qua e là la propria preoccupazione per la radice bianca dei capelli o per il seno che inizia a cascare. Lodoli a mio avviso ha fatto una scelta ottima per narrare di una suora: partire, per quanto possa sembrare banale, dalla donna che c’è sotto la veste e che troppo spesso si tende a dimenticare. Questo acuisce ad esempio il contrasto con la scabra realtà delle strade di Roma, dove la suora viene ripetutamente identificata come essere asessuato e per certi versi nemmeno appartenente al mondo.
Suor Amaranta è un personaggio al quale è facile affezionarsi perché si fa carico su vasta scala di dubbi e sofferenze che vengono provati da tutti prima o poi, indipendentemente dal sesso o dalla fede: Lodoli è stato mirabile nel riuscire a sintetizzare questo incessante lavorio interiore nel brevissimo giro di cento e una pagina. Ancora meglio ha fatto nel dare al testo l’afflato di un romanzo introducendo un personaggio di rottura – il piccolo Luca che non dice una parola, anzi ne dice tre ma tutte importantissime – e facendo sì che la storia di suor Amaranta diventasse in qualche modo esemplare ricerca, riallacciandosi alla tradizione mediocristiana della quête.
Le tre parole del silenzioso Luca sono molto più comuni di quelle che si possa pensare; tuttavia non le rivelo perché anch’io apprendendole ho tremato di una certa sorpresa che non voglio rovinare. Quello che davvero colpisce è la reazione di suor Amaranta, che nemmeno sospettava di essere animata da tanto spirito missionario. Luca le dice una cosa – letteralmente, il nome di una cosa – e lei piglia e parte a cercarla senza frapporre indugio, scavalcando ostacoli e divieti e la consapevolezza di patire inevitabili sofferenze dovute al suo stato religioso. Suor Amaranta lamenta di essere poco coraggiosa ma si rivela, al lettore prima che a sé stessa, ammirevole nell’incassare musi duri, bestemmie e umiliazioni pur di seguire alla lettera le sintetiche indicazioni dell’unico bambino che sopporti.
C’è un valore cristologico nei tre brevi comandamenti di Luca? Non credo. Mi riesce di scorgerlo piuttosto nel senso stesso della ricerca di suor Amaranta, che di volta in volta viene messa in contatto con tre decisivi personaggi di contorno: uno scommettitore fallito che s’identifica col cavallo e col fantino; il custode di un supermercato che incarna in piccolo il tradimento dell’ideale comunista, dovendo intervenire per impedire che chi non può comprare possa ciò nondimeno avere; infine un ex barista braccato dalla mala che, dopo avergli fatto uccidere un uomo, sta per uccidere anche lui. Si tratta di figure marginali, che fungono su vari livelli sociali da postille al discorso della montagna (Matteo 5): beati i reietti, i soli, gli incapaci.
La semplicità del linguaggio di Luca non stona nel bel senso della pagina di Lodoli, il quale sa sempre quando paragrafare, quando far muovere la trama o i pensieri e soprattutto quando una riga non scritta è meglio di capoversi interi. Gli inserti poetici sono decisamente discutibili ma per fortuna non gravano troppo sulla scorrevolezza della prosa di Lodoli, capace sempre di avere pazienza e intuito sufficienti a trovare la parola adatta a riempire meglio la nicchia scavatale dalla parola precedente.
Se c’è una cosa che mi piace di Piovene è la sua capacità di scendere a patti coi dettagli, raccontare minuziosamente ogni oggetto sullo sfondo e ogni screpolatura dell’animo: è questa visione microscopica che gli ha permesso di essere esauriente e mai noioso nel monumentale Viaggio in Italia, e di riuscire a descrivere ogni sua insenatura i frastagliati sentimenti della sua novizia. Suor Amaranta è forse Rita Passi sopravvissuta, integrata nel sistema monastico e ancora rosa dalle alternative sfuggite. Lodoli non ha la minuziosità di Piovene ma mette in bocca a Luca tre parole semplici, immediate, banali attorno alle quali ruota tutto il romanzo: tre piccole cose grazie alle quali suor Amaranta cerca l’uomo e trova sé stessa.
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