(Gurrado per Il Foglio)
Il Futurismo di massa sbarca a Londra con un’imponente mostra alla Tate Modern Gallery che durerà tutta l’estate. Ciò rientra nelle celebrazioni per i cent’anni trascorsi da che F.T. Marinetti scrisse nel Manifesto del Futurismo: “Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d’ogni specie”. Appunto. Per questo sarebbe bene che F.T. redivivo potesse irrompere alla Tate Modern per prendere a pedate, nella miglior tradizione futurista, i pazienti Inglesi in coda; non prima di aver spiegato loro che spuntando in Italia il Futurismo aveva decisamente sbagliato target:
Ladies and gentlemen, cent’anni fa il mio Manifesto elencava fra i suoi punti fondamentali: energia e temerarietà; audacia e ribellione; schiaffo e pugno; bellezza della velocità; distruzione dei musei eccetera; guerra sola igiene del mondo. Ora, io non sono nessuno per stabilire se il Futurismo abbia avuto o meno un valore assoluto; ma mi sento di dubitare che possano aver senso tutte queste celebrazioni. Per dire, nell’Italia di oggi nemmeno un autore quindicenne avrebbe il coraggio di scrivere ò e à come faceva Palazzeschi per significare ho e ha; figuriamoci se qualche scrittore adulto avrebbe l’ardire di sbriciolare la grammatica, usare ogni verbo all’infinito e giustapporre aggettivi semaforici, onomatopee e segni matematici per trasvalutare la sintassi.
Si festeggia perché è trascorso un secolo; ma è stato utile? Usando come unità di misura i punti fondamentali del mio Manifesto, mi pare che quegli stessi Italiani che si sono accalcati all’ingresso delle mostre retro-futuriste fossero in realtà altrettanti molli passatisti. Nessuno temerario a sufficienza da entrare ostentatamente, che so, senza biglietto o in mutande; nessuno audace abbastanza da sfregiare con un temperino non dico le opere esposte ma almeno i cartelloni pubblicitari; schiaffi e pugni neanche l’ombra; altro che velocità, riescono a far arrivare in ritardo perfinola Freccia Rossa ; frequentano con sussiego musei, biblioteche e accademie ma solo se costretti; la guerra, nemmeno per idea.
Né voglio considerare i trascurabili risultati conseguiti dall’arte e dalla letteratura italiane negli ultimi cinquant’anni: mi concentrerò sull’unico strumento di certificato progresso culturale, il televisore. Residui di futurismo inconscio sono nel pubblico della Corrida, che fa grande sfoggio di pentole e campanacci, ma tremate allo strabordante passatismo del primo canale: al sabato sera – la gara di ballo! La gara di ballo imperversa nella nazione alla quale nel 1914 rivolsi Abbasso il tango e Parsifal!, chiedendo espressamente: “Vi pare dunque molto divertente guardarvi l’un l’altro nella bocca e curarvi i denti estaticamente l’un l’altro, come due dentisti allucinati? Vi pare dunque molto divertente inarcarvi disperatamente l’uno sull’altro per sbottigliarvi a vicenda lo spasimo, senza mai riuscirvi? O fissare la punta delle vostre scarpe, come calzolai ipnotizzati?”.
Inutile, sul primo si continua a ballare, e qualsiasi canale mi mostra le tracce del passatismo più bieco che condannai all’alba del secolo. Potrei citarmi parola per parola. Se incoccio la pubblicità, “rimbalzano i capricci femminili e le prodigalità dei bambini sull’apoplettica cocciutaggine dei padri avari”. Se mi azzardo a seguire una fiction o ad ascoltare il Festival di Sanremo, ecco che “tutti soffrono, si deprimono, si esauriscono, incretiniscono, in nome di una divinità spaventosa da rovesciare: il sentimento”.
Di futurista in Italia è rimasto soltanto José Mourinho. Il suo celebre proclama sulla prostituzione intellettuale dei cronisti sportivi fu tratto pari pari da quello di Carrà e Boccioni sulla pittura: “Le esposizioni, i concorsi, la critica superficiale e non mai disinteressata condannano l’arte italiana all’ignominia di una vera prostituzione!”. Per tacere della politica: nel 1913 scrissi che il nostro programma futurista avrebbe sconfitto “Repubblica, popolo sovrano, internazionalismo pacifista, antimilitarismo, anticlericalismo, mediocrazia e scetticismo, senilismo e moralismo, demagogismo, culto delle rovine e dei monumenti, razionalismo positivista e ideale di un’Italietta borghese, tirchia e sentimentale”. Non potevo saperlo ma non sopportavo il Pd cent’anni prima che lo fondassero.
Infine, la fregatura sublime fu scrivere: “I più anziani di noi hanno trent’anni. Quando avremo quarant’anni, altri uomini più giovani e più validi di noi ci gettino pure nel cestino, come manoscritti inutili. Noi lo desideriamo!”. Lo desideravamo eccome, ma chi è venuto dopo di noi ci sottrae al nostro cestino e ci eleva su un piedistallo. L’Italia non ci ascolta ma ci celebra e ci festeggia: siamo passati invano.
Ladies and gentlemen, cent’anni fa il mio Manifesto elencava fra i suoi punti fondamentali: energia e temerarietà; audacia e ribellione; schiaffo e pugno; bellezza della velocità; distruzione dei musei eccetera; guerra sola igiene del mondo. Ora, io non sono nessuno per stabilire se il Futurismo abbia avuto o meno un valore assoluto; ma mi sento di dubitare che possano aver senso tutte queste celebrazioni. Per dire, nell’Italia di oggi nemmeno un autore quindicenne avrebbe il coraggio di scrivere ò e à come faceva Palazzeschi per significare ho e ha; figuriamoci se qualche scrittore adulto avrebbe l’ardire di sbriciolare la grammatica, usare ogni verbo all’infinito e giustapporre aggettivi semaforici, onomatopee e segni matematici per trasvalutare la sintassi.
Si festeggia perché è trascorso un secolo; ma è stato utile? Usando come unità di misura i punti fondamentali del mio Manifesto, mi pare che quegli stessi Italiani che si sono accalcati all’ingresso delle mostre retro-futuriste fossero in realtà altrettanti molli passatisti. Nessuno temerario a sufficienza da entrare ostentatamente, che so, senza biglietto o in mutande; nessuno audace abbastanza da sfregiare con un temperino non dico le opere esposte ma almeno i cartelloni pubblicitari; schiaffi e pugni neanche l’ombra; altro che velocità, riescono a far arrivare in ritardo perfino
Né voglio considerare i trascurabili risultati conseguiti dall’arte e dalla letteratura italiane negli ultimi cinquant’anni: mi concentrerò sull’unico strumento di certificato progresso culturale, il televisore. Residui di futurismo inconscio sono nel pubblico della Corrida, che fa grande sfoggio di pentole e campanacci, ma tremate allo strabordante passatismo del primo canale: al sabato sera – la gara di ballo! La gara di ballo imperversa nella nazione alla quale nel 1914 rivolsi Abbasso il tango e Parsifal!, chiedendo espressamente: “Vi pare dunque molto divertente guardarvi l’un l’altro nella bocca e curarvi i denti estaticamente l’un l’altro, come due dentisti allucinati? Vi pare dunque molto divertente inarcarvi disperatamente l’uno sull’altro per sbottigliarvi a vicenda lo spasimo, senza mai riuscirvi? O fissare la punta delle vostre scarpe, come calzolai ipnotizzati?”.
Inutile, sul primo si continua a ballare, e qualsiasi canale mi mostra le tracce del passatismo più bieco che condannai all’alba del secolo. Potrei citarmi parola per parola. Se incoccio la pubblicità, “rimbalzano i capricci femminili e le prodigalità dei bambini sull’apoplettica cocciutaggine dei padri avari”. Se mi azzardo a seguire una fiction o ad ascoltare il Festival di Sanremo, ecco che “tutti soffrono, si deprimono, si esauriscono, incretiniscono, in nome di una divinità spaventosa da rovesciare: il sentimento”.
Di futurista in Italia è rimasto soltanto José Mourinho. Il suo celebre proclama sulla prostituzione intellettuale dei cronisti sportivi fu tratto pari pari da quello di Carrà e Boccioni sulla pittura: “Le esposizioni, i concorsi, la critica superficiale e non mai disinteressata condannano l’arte italiana all’ignominia di una vera prostituzione!”. Per tacere della politica: nel 1913 scrissi che il nostro programma futurista avrebbe sconfitto “Repubblica, popolo sovrano, internazionalismo pacifista, antimilitarismo, anticlericalismo, mediocrazia e scetticismo, senilismo e moralismo, demagogismo, culto delle rovine e dei monumenti, razionalismo positivista e ideale di un’Italietta borghese, tirchia e sentimentale”. Non potevo saperlo ma non sopportavo il Pd cent’anni prima che lo fondassero.
Infine, la fregatura sublime fu scrivere: “I più anziani di noi hanno trent’anni. Quando avremo quarant’anni, altri uomini più giovani e più validi di noi ci gettino pure nel cestino, come manoscritti inutili. Noi lo desideriamo!”. Lo desideravamo eccome, ma chi è venuto dopo di noi ci sottrae al nostro cestino e ci eleva su un piedistallo. L’Italia non ci ascolta ma ci celebra e ci festeggia: siamo passati invano.
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