Alla fine è stata l'estate di Susan Boyle, o come ha meglio spiegato Giuliano Ferrara, del suo paradigma: dimostrare che dentro ognuno di noi c'è qualcosa che nessun altro riuscirà mai a scorgere dalle apparenze. Per questo Il Foglio, quotidiano dadaista, ha pubblicato per tutta l'estate mastodontici interventi di autori diversi, lunghi ciascuno un paginone, accompagnati da autoritratti artistici che si rifacevano al contenuto dello scrivente. Il primo se non erro è stato Walter Siti (ma potrei sbagliarmi, sono un uomo che molto errò) nel lontano mese di giugno - non avete idea di quanto sembri lontano giugno in Inghilterra, stamattina pioveva che sembrava ottobre e c'era attorno un sollievo diffuso dalla consapevolezza che la settimana scorsa piovesse che sembrava novembre. A un certo punto, lo scorso giovedì 3 settembre, è arrivato il turno mio: armato (e vestito) soltanto di 14.000 caratteri ho spiegato per filo e per segno cosa c'è dentro di me.
La prassi è che passato un giorno, passati due, pubblico sul blog i vari pezzi via via usciti sul Foglio. Stavolta mi concedo un'eccezione per tre motivi. Il primo non me lo ricordo. Il secondo: era un pezzo sorprendente, come nelle intenzioni degli editori credo, come tale effimero e ideale per un quotidiano; fissarlo su internet che etterno dura come le porte infernali non mi sembra igienico. Il terzo: era scritto molto bene, scusate se me lo dico da solo ma avrò maturato esperienza sufficiente da capire quando scrivo così così; quindi sono così felice che sia stato nobilitato dalla carta stampata che non mi va di sporcarlo con l'inchiostro virtuale il quale sempre (si veda il pezzo per Il Foglio di oggi, peraltro) mi lascia perplesso per quanto ne abusi. Ah, mi sono ricordato il primo motivo: così una volta tanto non andrò a detrimento degli amici parenti e ammiratrici che giovedì scorso hanno veramente mosso le gambine fino ad arrivare in edicola con un euro e trenta in mano.
Per questo chi legge solo il mio blog, comunque benvenuto, o chi troverà queste pagine entro un congruo numero di secoli o di settimane non potrà mai scoprire cosa c'è dentro di me. Sappiate soltanto che non c'è una voce da usignuolo.
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