Mi scrive la Gnozza: "A proposito di male assoluto, ma mi hai cancellato dai tuoi contatti su Facebook?" Al che io rispondo: figurarsi se la cancello da Facebook - io sono egocentrico e quindi, stanco di cancellare gli altri, mi sono cancellato da solo.
Mi faceva perdere troppo tempo, vero, ma questo è un luogo comune: chiunque è in grado di dire che Facebook gli fa perdere troppo tempo, persino la gente che ha tempo da perdere. La vera ragione (spiegata alle ragazze) è che Facebook sta diventando un onnivoro sostituto dei rapporti umani, specie per quelli della generazione mia e della Gnozza e in particolare per quelli che hanno più venti che trent'anni.
Io, ragioniamo, sono una persona con due indirizzi di casa, un indirizzo di lavoro, due numeri fissi in Inghilterra, uno in Italia, due cellulari, una mail privata, una mail professionale e il blog meno letto del mondo - direi che anche senza Facebook sono un uomo non propriamente irraggiungibile. Direi anche che Facebook non ha diritto alcuno di sostituire in tromba l'elenco di mezzi di comunicazione di cui sopra. Mi sono suicidato per compiere un gesto di luddismo domestico.
Senza considerare che davvero Facebook faceva perdere un sacco di tempo. Me ne sono accorto nel primo giorno di libertà incondizionata quando, oltre a lavorare, sono riuscito in scioltezza a leggere un libro breve, a recensire un libro lungo, a scrivere una satira anti-islamica che mi costerà la vita, a prendere un caffè con un collega e pure a guardarmi la Domenica Sportiva in differita, compresa la mezz'ora finale in cui parlano di basket e taekwondo.
In realtà del rapporto con Facebook uno considera il tempo complessivo in cui lo utilizza ma non gli strascichi. Uno dice: io non perdo un sacco di tempo con Facebook, mi limito ad accedere cinque minuti sei volte al giorno per complessiva mezz'ora. Bene, ma ogni volta quei cinque minuti uccidono la mezz'ora in cui potresti metterti a leggere o a scrivere o farti la barba o mandare un messaggio in cui chiedi a qualcuno se vuole un caffè. Invece in quella mezz'ora finisci per leggere istintivamente che il tuo amico Gurrado si sta facendo due spaghetti, e vabbe'; che l'amico di Gurrado commenta dicendo che lui sta invece friggendo un pitone e che l'amico dell'amico di Gurrado sta parossisticamente studiando perché se la fa sotto per l'esame di posdomani ma ciò nondimeno oggi e sempre ritiene che Berlusconi vada condannato a morte. Quante eccessive informazioni superlfue, quante eccessive informazioni controindicate. Meglio usare il rasoio di Ockham che, visto il suo new style barbuto, oggi potrebbe venir definito rasoio di Beckham.
Il mio suicidio virtuale è nato dalla lettura, sabato sera a letto sotto il lume, di un articolo di David Hare sul numero speciale del Guardian weekend che celebrava il decennio in cui tutto è cambiato. Uno pensa al terrorismo, alla crisi, etc.; però Hare faceva notare che tutto è cambiato anzitutto nella nostra percezione del mondo: guardiamo altrove. Su internet cerchiamo un'informazione, su internet controlliamo una citazione, su internet ci godiamo una canzone (noi che, in questo caso, ascoltiamo in rime sparse il suono). E, diceva un altro articolo, ci sono oggi almeno dieci marchingegni informatico-virtuali dei quali non possiamo più fare a meno. Alcuni non so nemmeno cosa siano, tipo Craiglist, in altri casi rinunzio a Satana, tipo Twitter, in altri m'è parso giusto far vedere che invece indietro si torna e come, se si vuole, e che di Facebook si può fare a meno. Ci vediamo altrove.
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