(Gurrado per Quasi Rete)
“In tanti anni di carriera
non ho mai avuto nemmeno una contrattura.”
“Hai avuto culo.”
(Salvatore Bagni e Teo Teocoli,
La Domenica Sportiva, 10/1/2010)
Allora faccio outing: da due settimane languisco in gesso e stampelle con la gamba destra fratturata e da allora non riesco a guardare una partita di calcio senza temere che tutti e ventidue i partecipanti, ventitré con l’arbitro, finiscano in carrozzella al pronto soccorso entro il quarto d’ora della ripresa. Curiosamente da quando un incidente piuttosto ridicolo mi ha dimostrato che sono più vulnerabile del previsto ho derivato il timore che tutti fossero all’improvviso più vulnerabili di come me li immagino. Una gamba fratturata non è niente di gravissimo alla mia età, e considerato che non mi fa molto male e che (spero) la convalescenza procede per il meglio non c’è bisogno di fare tragedie. Tutt’al più si possono trarre alcune lezioni salutari per il presente e per il futuro, approfittando delle lunghe ore di riflessione forzata dovute al permesso di stare a casa dal lavoro, con la gamba destra poggiata in alto così e così.
1. Lo sport è l’esaltazione del corpo nel miglior senso del termine, in quanto porta ad assistere con emozione crescente al progressivo superamento dei limiti che ognuno di noi riconosce come propri. Banalmente, io so che non potrò mai correre i 100 metri in 9 secondi netti (in queste condizioni, nemmeno in un quarto d’ora) e quindi mi emoziono ogni volta che vedo un uomo come me che si avvicina al limite irraggiungibile: arrivare nell’istante in cui parte. Con una gamba per aria si impara che lo sport, il movimento, l’attività fisica sono cose che vanno praticate prima che sia troppo tardi, anche quando non coinvolgono delle signorine. Con una gamba per aria nessuno può permettersi di sentirsi pigro.
2. Lo sport ha un fattore di rischio che viene sottovalutato. Quando critichiamo i grandi atleti perché rendono al di sotto delle aspettative tendiamo a dimenticare che anche il loro fisico ha dei limiti e sembriamo sorprenderci quando il loro corpo cede. L’infortunio è parte dello sport così come la morte è parte della vita (questa la metteranno nella ristampa dei Baci Perugina). Noi abbiamo una concezione televisiva dello sport quindi identifichiamo l’infortunio con il momento in cui sentiamo crac e vediamo l’atleta contorcersi dal dolore. Il peggio dell’infortunio, se possibile, arriva dopo: quando bisogna aspettare settimane o mesi senza che nessuna telecamera riprenda il lento, l’incerto progredire. Basta rompersi una gamba per caso e improvvisamente la concezione dell’infortunio altrui cambia: non è più solo un momento doloroso ma soprattutto un mese noiosissimo.
3. Questo vale per i giovani in particolare: ci si lamenta sempre troppo quando qualcun altro va lento, sia in auto sia a piedi sia in senso metaforico. Essere costretti a saltellare per raggiungere il frigorifero, dover programmare di far pipì solo quando la strada per il bagno è sgombra, escogitare maniere sempre nuove di infilarsi un pantalone e dover prendere mezza giornata di ferie per cambiarsi una mutanda fa improvvisamente capire che se dietro ci fosse qualcuno che mette fretta l’unica risposta corretta sarebbe di tirargli una stampella sul naso.
4. Uno dei passi del Vangelo più difficili a interpretarsi è Giovanni 21, 15-18. Gesù è risorto e sta parlando per l’ultima volta con Pietro; tre volte lo interroga chiedendogli “Mi ami tu?” e raccomandandogli “Pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle”. E poi senza soluzione di continuità fa un salto logico tramortente e continua: “In verità, in verità ti dico: quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi, ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi”. Non ci ho mai capito niente ma a seguito del mio infortunio io l’interpreto così. Con una gamba in meno, per quanto temporaneamente, ci si rende conto che non si può essere sempre pastori ma bisogna anche rassegnarsi a essere pecorelle, e che non si può essere eternamente giovani ma bisogna esercitarsi a essere vecchi. Ci si abitua a capire che non si può volere tutto da tutti. Si familiarizza col corollario che del gran numero di persone che si conosce solo un’esigua minoranza è di buoni pastori, però ci si consola che per quanto pochi ci ameranno per sempre.
5. A questo punto vorrete sapere come mi sono rotto. Niente sport, purtroppo. Stavo andando al lavoro e cinquanta metri prima di raggiungere la porta del mio ufficio sono scivolato sui trenta centimetri di neve caduti sull’Inghilterra la notte prima. La superficie della neve era uniforme, il marciapiede lì sotto evidentemente no: io sono andato da una parte e la mia gamba dall’altra (un po’ come la barzelletta in cui una vecchietta in automobile chiede al vigile: “Scusi, la strada più breve per il cimitero?” “Alla prima curva vada dritto”). Il dettaglio sconfortante è che tutto ciò è accaduto la mattina del 6 gennaio; se fossi stato in Italia sarebbe stato un giorno festivo e sarei rimasto a casa mia a godermi entrambe le gambe. Ecco cosa si guadagna a lavorare in un Paese protestante.
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