lunedì 6 settembre 2010

Si può vivere a Gravina? Camillo Langone mi segnala un passo di Cesare Brandi, il cui Pellegrino di Puglia è stato scritto cinquant’anni fa ma primeggia nella lista dei libri da comprare alla mia prossima calata in Italia: “C’è un monumento, una fontana senz’acqua, una strana torre dell’orologio, come se si fosse in Turchia. Ma soprattutto c’è il semaforo. Mi dovetti accorgere che era, questo semaforo, il primo cittadino di Gravina: sempre che si domandasse come fare ad andare qui o là, era il semaforo a cui con malcelato orgoglio, ci rimandavano anche se non aveva nulla a che fare con la direzione da prendere. Ma Gravina oltre alla torre dell’orologio e al semaforo, ha un albergo, e una trattoria, bolognese per giunta. Insomma c’è di che viverci”. Ora è rimasto solo il semaforo. L’orologio della torre, che è vicino a casa mia, sovente segna le dieci e venti indipendentemente dall’orario. Al posto del grande albergo in periferia, presumo il Peucetia, sono proliferati i bed & breakfast nel centro storico senza considerare che metà della popolazione locale non sappia cosa significhi e l’altra metà non sappia pronunciarlo. La trattoria bolognese non l’ho mai sentita; s’è scorporata in infinite trattorie locali in cui il conto muta secondo troppe variabili che non ho ancora colto. Quasi tutte chiudono entro un anno dall’apertura; ciò non dissuade dal sorgere di nuove al loro posto o altrove. In una strada ad alto scorrimento avevano aperto il primo lounge bar, quest'estate; sono sicuro che entro Natale non lo ritroverò più.

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