Ieri ho visto al Fraschini Il nipote di Rameau (riduzione teatrale di Silvio Orlando, per la regia di Silvio Orlando, con Silvio Orlando): ottimo spettacolo breve ma intenso, che fa venir voglia di rileggere il testo di Diderot - sia chiaro che uso "rileggere" nella comune accezione italiana del termine, ossia correre a recuperare una qualsiasi copia di un classico e, nascondendosi dietro il rossore della propria vergogna, aprirla per la prima volta in vita propria. Come sempre a teatro, tuttavia, nonostante l'ottima sceneggiatura i migliori dialoghi si sono svolti in platea, grazie soprattutto alla verve di una signora in poltronissima, ossia nella prima fila a ridosso del proscenio sive ribalta, che ha parlato contemporaneamente al personaggio di Diderot nei primi cinque minuti di spettacolo finché, scorgendo l'ombra di Silvio Orlando che fingeva di essere abbioccata sullo sfondo, ha esclamato: "Guarda! C'è Silvio Orlando!", così fugando ogni pericolo di crisi d'identità del noto attore. Di là da questo monologhetto, eterno i tre scambi più significativi.
Dialogo primo
Egli (vegliardo azzimato che pare appena fuggito dalla prima comunione della nipotina): "E' così breve che non c'è nemmeno l'intervallo per fare i commenti".
Ella (vegliarda cotonata e tenuta su da non so quale impalcatura): "Be', li faremo alla fine".
Dialogo secondo
Signora di mezz'età (sporgendosi verso la fila davanti): "Che piacere rivederla! Ha passato una bella estate?"
Signora di un'età e mezza (voltandosi, ma con artritica cautela, verso la fila dietro): "E' passata".
Dialogo terzo
Sciura pavese (installandosi sul posto che per diritto di prelazione sull'abbonamento per prosa, lirica e danza occupa dal tardo Settecento e scorgendo di fianco a sé una giovine sconosciuta): "Lei è la figlia?"
Giovine sconosciuta (chiaramente non indigena, espressamente spaesata, leggermente sovrappeso, non accompagnata, veste con malagrazia gonna lunga e tacchi alti cercando qualcuno che la riaccompagni mentre ostentatamente la ignoro): "No".