sabato 22 ottobre 2011
Mentre mi dibatto dilaniato su quale sia il titolo migliore del giorno - se quello epocale del Giornale sulla depressione dei gatti o quello più esistenzialista de La Stampa che recita "La bellezza è una maschera di guano" - mi casca l'occhio sulle pagine e pagine che Repubblica ha dedicato al primo (e si presume ultimo) congresso del partito di Domenico Scilipoti, il Movimento di Responsabilità Nazionale. Come sempre, il demonio è nei dettagli: racchiuso all'interno dello stemma del partito sta il simbolo, che riproduce in verde e rosso i semicerchi di yin e yang che sicuramente avrete visto tatuati sulla zona pelvica di qualche massaggiatrice cinese. Ora, se uno niente niente aveva una mezza intenzione di votare Scilipoti (sempre ammesso che il partito si presenti davvero alle elezioni che allo stato attuale delle cose potrebbero tenersi tanto fra un anno e mezzo quanto posdomani) la visione dell'infingardo stemma sinofilo dovrebbe essere sufficiente a farlo recedere: ma come, Scilipoti prima dice ben a ragione che chi vuol levare il Crocifisso dai muri delle scuole è uno scimunito e poi sceglie di identificarsi in un disegnino buono tutt'al più per una beauty farm di patrioti new age? Non bastasse questo sconforto, l'autorevole didascalista di Repubblica ha pensato bene di argomentare che lo stemma raffigura "un tao tricolore". Avete capito bene, un tao tricolore: e dire che tutte le massaggiatrici cinesi che mi si sono mai parate dinanzi mi hanno sempre insegnato, così alla spicciolata, che lo yin-yang è il simbolo della fusione di due forze contrapposte mentre il tao è una filosofia in senso lato. Ora, Repubblica non è nuova a questi inciampi e anche per questo è un giornale ameno: ricordo ancora con piacere pressoché fisico il giorno in cui, a elezione di Ratzinger ancora calda, inserì a tutta pagina lo stemma delle due chiavi legate da una corda spacciandolo quale nuovo stemma pontificio. Lo aveva probabilmente trovato pari pari sul sito del Vaticano, dove a qualche ora dall'elezione campeggiava ancora (con didascalia) questo stemma della "apostolica saedes vacans", sede apostolica vacante. Confondere tuttavia lo yin e yang col tao è un po' più significativo dei suoi metodi in quanto è come se, volendo descrivere con compiaciute sufficienza e albagia il logo della Democrazia Cristiana, Repubblica lo definisse "scudo con la scritta Libertas che campeggia su un catechismo". Ecco cosa accade a sentirsi sempre superiori agli altri, più educati più dritti e più belli: mi sa che alla fine ha ragione quel titolo, la bellezza è una maschera di guano.