Nei giorni scorsi Franzen ha piazzato un nuovo attacco contro la moderna tecnologia. Non se l’è presa con uno strumento innovativo, che consente di fare diversamente una vecchia cosa, ma contro uno strumento-feticcio, che coincide con la cosa che consente di fare: dalle pagine della Repubblica a quelle del Corriere, è tutto un Franzen contro twitter. Ha detto che esprimere un parere in 140 caratteri è come scrivere un romanzo senza mai usare la lettera p. Ha detto che twitter è la versione scema di facebook, contravvenendo così a un assunto basilare del galateo da social network secondo il quale facebook è per ragazzini che desiderino diventare famosi pubblicando le proprie foto da sbronzi (o per mariti controvoglia che vogliano rivedere le compagne di scuola in bikini) mentre twitter è per sofisticati intellettuali incompresi che aspirino a far leggere i propri pensierini da Obama e da Fiorello.
Ha ragione? ha torto? è stato buono? è stato cattivo? Sul numero di Tempi in edicola questa settimana vi spiego tutto quello che avreste voluto sapere (ma non avete mai osato chiedervi) sulla querelle tra uno scrittore e milioni di scribacchini.
L'infinita generosità degli uomini di Corso Sempione fa sì che l'articolo sia sin d'ora disponibile online cliccando qui.