lunedì 26 novembre 2012

Finalmente domenica!
Quattordicesima giornata, 25 novembre 2012

Nelle intenzioni dei progettisti, il cosiddetto spezzatino dovrebbe servire a risolvere le serate del maschio italiano: Milan e Juventus domenica sera, Napoli e Inter lunedì sera, Lazio e Udinese martedì sera di modo tale da impedirgli di trascorrere ore e ore, nei giorni in cui la settimana è in salita, a guardare nel vuoto domandandosi se la propria vita ha un senso. (Di solito no).

Io però ieri ero a pranzo, per una complicata combinazione, dai nonni della fidanzata di un mio amico e c’era pure la sorella sedicenne di lei. Ora io non so se voi avete presente come sia fatta una sedicenne: sta lì in silenzio ad armeggiare col telefonino, un po’ ascolta un po’ no, mangia solo quello che le pare e guarda tutto come se fosse appena stato creato. Consiglio a tutti di avere una sedicenne per commensale, almeno una volta a settimana: vi lancerà certi sguardi speranzosi, vi sembrerà sul punto di lasciarsi sfuggire certe mezze parole, che vi sarà impossibile non accorgervi quanto vorrebbe essere al posto vostro, già cresciuta e pasciuta, a fare le piccole o medie cose quotidiane delle quali invece vi state lamentando. Non dirà una parola ma ve le farà sembrare nuove, e quasi belle. È come la tuffatrice che si sta appena staccando dal trampolino, che pensa solo a librarsi e alla quale non conviene dire che la caduta fa paura, l’impatto con l’acqua fa male e che a furia di bagnarsi ci si becca la polmonite.

Forse bisogna avere sedici anni per meravigliarsi di fronte al miracolo delle partite spalmate, che si sgranano e sembrano moltiplicarsi lungo la settimana, trasformando la routine in bendidio.

Io però ieri pomeriggio sono andato in piazza Vittoria ad assistere alla chiusura di una piccola libreria pavese indipendente che si chiamava Il Delfino e che per vent’anni è stata gestita da librai veri, ossia ai quali anche una persona di cultura accettabile come me poteva chiedere suggerimenti su cosa leggere o regalare ricevendo sempre la risposta esatta per ogni ramo dello scibile. Insieme a me c’erano altre persone, a occhio duecentocinquanta, forse trecento, per La Provincia Pavese addirittura quattrocento (per la questura, diciotto): ci siamo disposti uno di fianco all’altro – io vicinissimo all’ingresso della libreria in disarmo, primo fra i non librai – e di mano in mano ci siamo passati i libri contenuti nell’ultimo scatolone fino a che non li abbiamo fatti arrivare in piazza Cavagneria, un isolato più giù, dove ad attenderli c’era, giù pronta, una grande libreria pavese appena aperta che si chiamerà Il Delfino e che sarà gestita dagli stessi librai, miracolosamente. Abbiamo festeggiato a salame e champagne e abbiamo tutti comprato un libro di buon augurio: io, l’edizione SugarCo delle lettere di Joyce.

Forse i fautori dello spezzatino ritengono che ci si debba di tanto in tanto concedere una botta di vita e di novità, spostare il campionato da qualche altra parte, come voleva fare la Premier League organizzando una trentanovesima giornata nel lontano Oriente, oppure piazzando le partite in orari che sorprendano il pubblico, come uno che per abitudine passi da piazza Vittoria intristendosi perché non ricordava che la libreria era chiusa, o che poi passi per caso da piazza Cavagneria, rallegrandosi perché non si aspettava di ritrovarla riaperta.

Io però ieri sera, dopo una pizza salsiccia e scarola, mi sono messo a leggere Addio al calcio di Valerio Magrelli, con colpevole ritardo che ammetto senza meno, e anche con un certo senso di colpa perché qualche tempo fa, a Torino, una fonte più che affidabile aveva detto a Savio e a me: “Magrelli ha letto il vostro libro, pare che gli sia piaciuto, pare che vi farà una sorpresa”. Sono passati mesi e sono rimasto come l’uomo in albergo, che a letto sente cadere sul pavimento la scarpa dell’ospite della camera superiore e passa la notte insonne in attesa del rumore della seconda, mentre quello se l’è levata pian pianino per timore di disturbare chi dorme al piano di sotto. Mi aspettavo che da un momento all’altro io tornassi a casa, aprissi l’armadio e ne sbucasse Magrelli gridando “Sorpresa!”, oppure che Savio si chinasse sulla culla del piccolo incolpevole Pietro e vi rinvenisse Magrelli in posizione fetale, oppure che per strada, mentre passavo sotto le torri medievali dell’Università, mi planasse addosso Magrelli vestito da Batman, oppure che Savio un giorno mi telefonasse e dicesse: “Guarda, finora te l’ho tenuto nascosto ma in realtà io sono Magrelli; spero che comprenderai”.

Invece la sorpresa Magrelli me l’ha fatta con Addio al calcio, non solo perché è un bel libro ben scritto e ben infiocchettato, ma perché ha colto, senza conoscermi, la mia ossessione per i numeri di pagina, tale che alle volte mi deconcentro dal contenuto perché sono lì a controllare le cifre calcolando quanto tempo ho impiegato a leggere fin lì e quanto ce ne vorrà per leggere il resto. Ieri sera, a letto, ho scoperto che Magrelli ha scritto un libro senza numeri di pagina; o meglio, poiché l’Einaudi suole non inserire il numero sulle pagine in cui inizia un nuovo capitolo, e poiché il libro di Magrelli è composto di novanta capitoli in larga parte di un capoverso ciascuno, i numeri non appaiono quasi mai, con mia grande consolazione. C’è pagina 15, c’è pagina 22, e poi 28, 31, 34, 49,e poi più nulla fino a pagina 94, 95, 97, poi c’è pagina 103 e basta là.

Ecco, tanto per dire, in tutto questo, quanto poteva fregarmene che ci fosse Palermo-Catania.

[Il resto della rubrica, in cui Francesco Savio rivela di non essere Valerio Magrelli, si trova come sempre su Quasi Rete, il blog letterario e dadaista della Gazzetta dello Sport.]