lunedì 14 gennaio 2013

Finalmente domenica!
Ventesima giornata, 13 gennaio 2013
Ieri sera stavo aspettando che Oscar Buonamano arrivasse a Milano per guardare Inter-Pescara (lui; non m’interessano altrettanto gli scontri fra provinciali) e a causa del traffico ho dovuto attenderlo per tre quarti d’ora nella zona di piazzale Lotto. Essendo elevata la probabilità di incorrere in incontri sgradevoli, onde evitare di trovarmi di fronte i bravi di don Rodrigo (“Questo matrimonio non s’ha da fare!” “Guardate, con me non c’è pericolo”), sono entrato in un bar che era altresì l’unica traccia visibile di insediamento umano nei dintorni.

Oltre a me, la clientela era variegata e, dovendo bere mezzo litro di birra chiara non filtrata e non avendo portato meco né libro né taccuino, ho avuto tutto l’agio di studiarla. C’era una bellissima mulatta che studiava un volumone dall’inquietante titolo La cura dell’amore – che oggi documentandomi ho scoperto avere per sottotitolo “Donne, uguaglianza, dipendenza” – sottolineandolo furiosamente e appuntandone i passi salienti su un quaderno a quadretti. C’era una coppia di anziani molto vecchi, con lei che aveva evidenti difficoltà di movimento ma che mangiava tutta contenta una fetta di torta e poi, chiesto al marito di comprarle un sacchetto di liquirizie, se l’era fatto aprire e aveva offerto la prima alla cameriera. Di fronte a loro, tre signori di una certa età vagliavano animatamente chi fosse il candidato premier più votabile alle politiche; non trascrivo il loro responso per non dare dispiaceri né a Bersani né a Monti, ma vi assicuro che il prescelto non era Ingroia. Al tavolo attiguo, tre signore di una certa età discutevano su chi dovesse pagare il conto complessivo. In fondo all’altro capo della sala, gli immancabili e impassibili giocatori di briscola muti che vengono noleggiati da qualsiasi bar rispettabile per creare l’atmosfera.

Accipicchia!* In tutto questo non mi sono messo a pensare a monsignor Vincenzo Paglia? Questi nel pomeriggio aveva rilasciato un’intervista a Radio Vaticana stigmatizzando la rivendicazione di non so che diritti per le coppie omosessuali, dicendo che il metro sul quale misurarli non poteva essere il desiderio personale. Quanto è vero, mi sono detto, altrimenti va a finire che bisogna rassegnarsi anche ad accondiscendere alle istanze di un eventuale Marchese de Sade redivivo, sulla scorta dell’idea che, poverino, solo così potrà realizzare la propria individualità (o, come direbbe il volgo, il suo sogno). Io stesso, se avessi diritto a tutto quanto desidero, sarei una compagnia pericolosissima per varie persone che mi circondano, a cominciare dalla mulatta che con ogni evidenza mi preferisce il libro femminista e l’iPod.

Meglio cercare di soddisfare i propri desideri come meglio si può senza cercare di ficcarli nel codice civile; se i diritti dovessero servire a connettere la felicità ai desideri su vasta scala, staremmo freschi. Intorno a me la vecchissima anziana gongola mentre raccoglie con le dita le ultime briciole di torta, i tre signori di una certa età vengono abbordati dalle tre signore di una certa età, i briscoleggianti sciolgono consesso per andare a cena. Dilaga la contentezza, eppure vent’anni fa – scommetto – nessuno di loro avrebbe desiderato che la propria vita si dipanasse in maniera tale da farli finire a trascorrere il sabato sera nel bar in cui sono capitato, nelle tenebre che circondano piazzale Lotto. Giudicando in base ai propri desideri, avrebbero concluso di avere diritto a tutt’altra felicità che il destino di vivere nella Milano suburbana, o di essere malata o di doverne accudire una, o addirittura di dover leggere La cura dell’amore. Ieri tuttavia, colti così, alla sprovvista e a campione, erano tutti soddisfatti e confermavano che è inutile piantare grane per diventare chissà che; aveva ragione Trilussa quando scriveva che “tutto sommato, la felicità è una piccola cosa”.


*Nota a beneficio dei filologi: la prima stesura in questo luogo riportava “Cazzo!”.


[L'altra metà della rubrica, comprendente lo storico primo calcio di Pietro Savio raccontato dal padre Francesco, si trova come ogni lunedì su Quasi Rete.]