Finalmente domenica!
Trentesima giornata, 31 marzo 2013
Trentesima giornata, 31 marzo 2013
Mentre stamane il Papa compiva il giro pasquale in piazza
San Pietro ho notato la diffusa tendenza della folla a non chiamarlo, quando si
avvicinava, né “Francesco” né “Bergoglio” ma direttamente e semplicemente “Papa”.
Se fossi uno dei fessacchiotti convinti di poter cambiare col proprio blog le
convinzioni dello Spirito Santo, qui piazzerei un’intemerata sul fatto che un
tempo quando passava il Papa ci si inginocchiava segnandosi, anziché lanciargli
magliette del San Lorenzo. Essendo invece un altro tipo di fessacchiotto, la
scena mi ha ricordato un film di Marco Ferreri, L’udienza, in cui Enzo Jannacci cercava invano di essere ricevuto
da Paolo VI inseguendolo e urlandogli: “Papa! Papa!”. Il film non l’ho mai
visto e lo conosco solo per tradizione orale ma mi pare verosimile che fosse
così.
Fossi stato in Lombardia, avrei visitato seduta stante la
camera ardente di Jannacci; invece è capitato proprio nell’unica settimana che
trascorro in Puglia nel giro di sei mesi. Qui posso tutt’al più attraversare la
strada immaginando di essere lui nel Carosello di non ricordo cosa: pedone
stritolato dal traffico sogna di possedere un auto, sulla quale angustiato
dalle lamiere sogna di possedere uno yacht, a bordo del quale temendo di
affondare sogna di pilotare un aereo, nella cabina del quale precipitando sogna
di star pacificamente attraversando la strada da semplice pedone, e pazienza
per il traffico. Sono passati anni e annorum da quando avevo visto questo spot
ma mi pare verosimile che fosse lui.
Stamattina sul Corriere si sono dati appuntamento comici e
artisti per comporre una processione alla pagina dei necrologi: Teo Teocoli,
Renato Pozzetto, Gino e Michele, Roberto Vecchioni, Bebo Storti, Vasco (“Wiva
Enzo Jannacci”), Ivana Monti, Massimo Boldi, Renzo Arbore, Aldo, i discografici
Sugar, la fondazione Giorgio Gaber, Antonio Ricci e tutta Striscia la Notizia,
il cabaret Zelig e la pasticceria Gattullo. Questa teoria di nomi di persone
nate per intrattenere e divertire, affiancati a quelli dei propri familiari e a
parole di dolore oneste, secche, prive della retorica dei coccodrillisti un
tanto a riga, mi conferma quanto sia vero il luogo comune secondo il quale in
Italia i comici siano persone serie perché, infatti, per riuscire a farci
ridere devono prima avere fissato negli occhi ciò da cui vogliono farci
distogliere lo sguardo: la morte, la malattia, la povertà, la depressione.
Il vero comico deve sapere che ogni vita è una scala reale
che trema in mano perché sa di poter essere sconfitta da un’altra scala di
valore maggiore o minore a seconda dei casi, come nella pubblicità del pedone
che vorrebbe essere motorizzato ma che, se fosse motorizzato, per salvarsi
dovrebbe essere pedone. Uno poi può decidere di fare il cabarettista o il
cantante, l’attore o il pasticciere, il musicista o lo scrittore; può essere
Jannacci o Tognazzi o Bianciardi o chi gli pare ma solo se coglie la tragedia
di questo corto circuito è un comico che quando muore riesce a farci piangere,
altrimenti appartiene alla numerosa schiera di tronfi buffoni che in Italia
godono di ottima salute.
[Il resto della rubrica, questa settimana eccezionalmente di martedì, è scritto da Francesco Savio che trova il Papa nel montacarichi e può essere letto su Quasi Rete, il blog letterario della Gazzetta dello Sport.]