sabato 25 luglio 2015

Il Tour di Chris Froome è finito oggi, di fatto; mentre noi che una ventina d'anni fa eravamo vigili e coscienti ci ricordiamo perfettamente che il Tour di Miguel Indurain non finiva mai, durando anni e anni. Ecco la quarta puntata - cliccando qui trovate la prima, la seconda e la terza - del feuilleton ciclistico della mia estate:

Le Tour, jamais 

Il 6 settembre 1992 i Mondiali di ciclismo si corrono a Benidorm. La stampa italiana, che cerca motivi di rivalsa, è concorde nell’argomentare che la cittadina valenciana non sarà Pamplona, donde arrivava Indurain, ma è quanto meno la città di origine della sua futura moglie. Vabbe’. Non si sa se possa essere stato questo a scatenare Gianni Bugno il quale, in maglia azzurra e pantaloncini Gatorade, brucia in volata gli insidiosissimi Jalabert e Konychev e si rimette la maglia iridata che aveva dismesso per un solo giorno. La volata gliela tira con commovente abnegazione Giancarlo Perini, gregario piacentino di Chiappucci che in dodici anni di carriera, a furia di sacrificarsi, all’epoca non aveva ancora vinto una gara. Per la cronaca, ne vincerà una sola, la terza tappa al Giro di Puglia dell’anno dopo. Sempre per la cronaca, non capitava dal 1961 che un ciclista riuscisse a vincere due volte di fila la corsa più crudele del calendario, sette ore sui pedali per un anno intero di gloria; l’ultimo prima di Bugno era stato Rik Van Looy, il primo dopo di lui sarà Paolo Bettini nel 2007. Però il ’93 di Bugno non era iniziato all’altezza; miglior piazzamento, un trentesimo posto alla Milano-Sanremo. Poi, al Giro, Bugno non decolla e chiude diciottesimo mentre Indurain vince di nuovo. Qualcuno sussurra che sia proprio colpa del navarro: per cercare di tenergli testa a cronometro Bugno ha cercato di guadagnare in potenza perdendo la leggerezza che lo benediva in salita.

Quando il Tour parte dal Puy-du-Fou, il 3 luglio, Bugno è subito terzo nel prologo, dietro a Indurain che resta in giallo e ad Alex Zülle, davanti però a Monsieur Prologue Thierry Marie, a Tony Rominger, a Jalabert e a Chiappucci che comunque si difende alacremente. Sembra che l’iridato abbia passato i mesi precedenti a prepararsi al momento giusto in cui carpire la maglia gialla, non appena Indurain dovesse avere un capogiro, un raffreddore, un foruncolo al soprasella. Il giorno dopo inizia la giostra degli abbuoni e Indurain, che si guarda bene dall’affrontare la volatona finale, si lancia comunque in una volatina per sfilare il secondo posto a Jalabert su un traguardo intermedio aggiungendo così qualche altro inutile secondo fra sé e il resto del mondo: dopo due giorni di Tour, Zülle è già a 12”, Bugno è terzo a 15”. Questi capisce l’aria che tira e alla tappa successiva, a Vannes, si butta nel gruppetto che disputa il traguardo riuscendo a sua volta a distaccare di qualche secondo Indurain; poiché tuttavia, fra traguardi intermedi e definitivi, i velocisti fanno incetta di abbuoni, la maglia gialla passa al temerario belga Wilfried Nelissen. Indurain e Bugno, immobili separati da nove secondi, scendono ancora un po’ in classifica dopo la volata successiva e si mantengono in posizione di reciproco studio con la cronosquadre di Avranches: la Banesto riesce a dare solo 12” alla Gatorade ma entrambe subiscono uno smacco superiore al minuto dalla Once di Zülle; crolla Rominger, a più di tre minuti. Onta su onta, la crono è vinta dalla GB-MG di Mario Cipollini che, grazie ai famosi abbuoni incamerati nelle tappe precedenti, arraffa la maglia gialla: è lui, anziché Bugno, il primo italiano a vestirsene dopo l’exploit di Chiappucci.

Cipollini e Nelissen si scambiano la maglia gialla nelle tappe successive finché con una bella fuga non arriva il momento di Johann Musseuw. Il giorno dopo, a Verdun, il pittoresco ciclista texano Lance Armstrong consegue la sua unica vittoria sulle strade del Tour. Bugno e Indurain proseguono in surplace; la data che da Capodanno hanno cerchiato sul calendario è il 12 luglio: contre-la-montre al Lac-de-Madine, 59 km di aerodinamicità. Quanto segue è sconvolgente. Tutti arrivano con la bava alla bocca, storti sul telaio, schiantati; Bugno arriva imperturbabile come suo solito. Indurain arriva sorridendo nonostante una foratura: ha dato 2’11” a Bugno (“primo degli umani”, come da retorica giornalese), 2’22” a Breukink, 2’42” a Rominger, 3’18” a Zülle, 3’50” a Bruynell. Gli altri hanno distacchi dai 4 minuti all’infinito. In classifica, Indurain torna giallo davanti a Breukink e Bruynell; Bugno è quarto a 2’32”.

Non è una situazione impossibile. L’anno prima, dopo la crono del Lussemburgo, aveva un minuto e rotti in più da recuperare. Rispetto all’olandese e al belga che inseguono Indurain, Bugno è miglior scalatore, più navigato e fine, quindi le Alpi possono avvantaggiarlo nella rincorsa al navarro; e anche Chiappucci potrebbe tentare la rimonta dopo nove tappe piattissime, tutte a rincorrere. Dopo il giorno di pausa si sale a Serre-Chevalier, con Télégraphe e Galibier tanto per gradire. È il giorno in  cui i due italiani, nella fantasia dei connazionali, dovrebbero allearsi per vendicarsi dello strapotere del leader. Chiappucci potrebbe partire da lontano e cercare la vittoria di tappa, come l’anno prima al Sestriere; Bugno ha classe e resistenza sufficienti a seguirlo e a lavorare ai fianchi il navarro troppo abituato a essere portato in carrozza ai piedi dell’ultima salita, infliggendogli un buon distacco se non addirittura sfilandogli la maglia. Nella realtà dei francesi, invece, Chiappucci si stacca sul Télégraphe e Bugno pure, a seguito di un’accelerazione di Rominger che poi vincerà la tappa graziosamente concessa da Indurain il quale, da despota illuminato, lo lascia andare nei metri finali. È lo svizzero che ha iniziato la rimonta che ci si aspettava da Chiappucci. Questi arriverà a 8’49”; Bugno, un po’ meglio, a  7’42”. In classifica è ancora nono ma a metà Tour il suo ritardo supera i 10 minuti; poiché è lì per vincere, o quanto meno per vedere una buona volta come gli sta il giallo addosso, la sua corsa è di fatto terminata. Il giorno dopo, a Isola 2000, Chiappucci resiste in coda a Indurain, che lascia nuovamente la vittoria a Rominger; l’iridato invece perde altri tredici minuti.


Per tutto il resto del Tour non si avrà notizia di Bugno, mentre Chiappucci si aggrappa coi denti al proprio ritardo e riesce a concludere la corsa gialla con un dignitoso sesto posto benché a 17’18” dal navarro. Unica eccezione, la crono di Montlhéry che precede la consueta passerella conclusiva; spinto dall’inerzia degli allenamenti aerodinamici, Bugno arriverà quinto a 3’ dal vincitore che, per una volta, non è Indurain ma Rominger. Ai Campi Elisi il navarro vince il terzo Tour di fila con cinque minuti di vantaggio su Rominger e qualche secondo in più sul polacco Zenon Jaskula, che tornerà immediatamente dopo all’anonimato da dove è venuto. Il campione del mondo chiude ventesimo a 40 minuti dal vincitore; gli organizzatori onorano la sua scelta di trascinarsi comunque a Parigi con il premio fair-play, ma nell’estate del ’93 si capisce che nella testa di Bugno c’è uno e un solo obiettivo, giallo, mastodontico e ossessivo. Finché non riuscirà a scalzare Indurain, galleggiare o affondare non farà differenza. Nemmeno i Mondiali.

(4 - continua)