lunedì 20 luglio 2015

Le Tour, jamais (2)

Per la prima puntata della storia dell'uomo che riuscì a non indossare mai la maglia gialla basta cliccare qui.

I Mondiali del 1990, quelli di ciclismo però, rinnovano lo scontro fra Bugno e Lemond. Gli italiani che si svegliano a ora antelucana per godersi la diretta da Utsunomiya devono accontentarsi di una volata per la medaglia di bronzo, poiché otto secondi prima sono già arrivati Rudy Dhaenens e Dirk De Wolf, esultando in sincrono perché entrambi belgi. Come che sia, la volata del gruppetto degli inseguitori la vince Bugno davanti all’americano iridato in carica; il patriarca Alfredo Martini ha convocato in azzurro anche Chiappucci che a sua volta regola la volata del gruppo dei ritardatari, il tutto nel giro di meno di un minuto. A fine ottobre Bugno si accaparra anche la platonica benché redditizia Coppa del Mondo, che combina i risultati delle classiche: è l’unico ad averne vinte due, la Milano-Sanremo dominata in primavera e l’ormai desueta Leeds-Wincanton Classic in estate. Al Giro dell’anno dopo, in prevedibile assenza di Lemond, i giornali puntano tutto fra la sfida fra Bugno e Chiappucci, finalmente di fronte senza maschere né scusanti. Alla fine vince Fausto Chioccioli, detto Coppino per l’avvenenza fisica. Chiappucci fa il regolarista: non alza le braccia neanche una volta ma riesce a classificarsi secondo nella generale e a vincere la maglia ciclamino del meglio piazzato nelle tappe. E Bugno? Vince due tappe, al solito, ma rasenta lo psicodramma: distanziato da Chioccioli in classifica nelle prime tappe, recupera il distacco in una magistrale cronometro da Collecchio a Langhirano salvo un unico fatale secondo, che lo priverà del ritorno in rosa e lo farà affondare sotto il peso del rovello un paio di giorni dopo sul Sestriere accumulandogli addosso minuti su minuti.

Bugno, si dice, in realtà pensa al Tour. Deve rifarsi dallo smacco subito da Chiappucci in Francia, per questo ha mollato gli ormeggi in Italia ma una settimana prima del prologo mette in chiaro le intenzioni vincendo il campionato nazionale e indossando la maglia tricolore. La Grand Boucle parte a luglio con cinque km di crono a Lione e vince Monsieur Prologue Thierry Marie: Chiappucci si difende, perdendo 15”; Bugno, in teoria miglior amico della specialità, ne perde tre in più. Sarà dura, tanto più che il giorno dopo Lemond è già maglia gialla, anche se la cede subito con la cronosquadre dell’Eurexpo. A Digione il naso di Bugno spunta davanti al gruppo a 4 km dal traguardo ma millecinquecento metri dopo si lascia riprendere dal gruppo e finisce in volata; idem fa Chiappucci il giorno dopo verso Reims, ma al traguardo ne mancano 170. Sono due contrafforti psicologici, uno per il quale il traguardo non è mai troppo vicino e l’altro per il quale non è mai troppo lontano. L’idea è che con l’innocuo Rolf Sorensen in maglia gialla al posto di Lemond, che pure è lì a 10 secondi, sia un Tour anarchico, senza padroni, e che valga la pena di provare all’impazzata. Chiappucci ci ritenta il giorno dopo ancora, a 20 km da Valenciennes, ma niente. Ci riesce invece Thierry Marie a Le Havre: vince da solo e prende la maglia con un buon minuto di margine. Non durerà.

Il giorno seguente è infatti previsto il contre-la-montre di Alençon, e sono molti più chilometri di quanti Monsieur Prologue sia in grado di gestire per conto proprio: addirittura 73. Lemond va meglio di tutti: dà un minuto a Breukink, quasi un minuto e mezzo a un Bugno ancora disorientato, due minuti a Delgado, quattro a Chiappucci che col cronometro ha crisi di rigetto. Lemond si riprende la maglia e mette un bel minuto cuscinetto fra sé e il resto del mondo. Il fatto è che ad Alençon Lemond va meglio di tutti tranne uno, che gli dà quegli otto secondi che di per sé non significano niente (in classifica è quarto a oltre due minuti) ma che letti a posteriori segnano l’inizio di una nuova pagina nella storia del ciclismo. La crono di Alençon è la prima a essere vinta da Miguel Indurain; altre seguiranno.

Trascorse le consuete tappe di trasferimento che il Tour organizza per non avere sulla coscienza le coronarie dei telespettatori, si arriva ai piedi dei Pirenei con questa situazione: Lemond giallo, Indurain terzo a 2’17”, Bugno quinto a 3’51”, Chiappucci disperso. Per la dodicesima tappa si sconfina a Jaca, in Aragona. Gli uomini di classifica si studiano e va al traguardo una fuga di buoni ruotatori, regolata da Charlie Mottet che aveva vinto anche due giorni prima; in mezzo c’era il riposo. Lemond perde la maglia ma conserva saldamente la leadership dei seri pretendenti e il giorno dopo attacca sul Tourmalet. Si porta via un gruppetto con la maglia gialla, Luc Leblanc, che poi andrà in crisi perdendo un quarto d’ora; ma si porta anche cattive compagnie come Bugno, Chiappucci e Indurain, il quale approfitta di un momento di debolezza dell’americano, leggermente staccato in cima per lo sforzo, per attaccare nella discesa sul Col d’Aspin. Chiappucci, se non è davanti lui, non resiste; e prima che la salita ricominci ha già ripreso Indurain mentre dietro Bugno procede del suo passo, attento a non sprecare energie come se non ci fosse un domani. Mentre davanti Chiappucci si porta al traguardo Indurain il quale, come da usanza generale e proprio futuro costume, cederà cavallerescamente la vittoria all’accompagnatore prima di indossare la maglia gialla, dietro di loro Bugno piazza una progressione mica da ridere che fa boccheggiare tutti i suoi compagni d’inseguimento, e li stacca uno a uno come soleva fare al Giro trionfale dell’anno prima. Risultato, a sera Bugno è terzo in classifica a 3’10” da Indurain, Chiappucci quarto a 4’6”, Lemond, giunto sconsolato a Val-Louron, quinto a 5’8”.

Altre tappe di trasferimento, nell’ultima delle quali Bugno e Chiappucci s’inventano un attacco in simultanea che fallisce ma stanca la Banesto di Indurain. I pezeteri spagnoli nel finale non hanno le gambe per andare a riprendere una fuga dell’indomito Lemond: l’americano guadagna una ventina di secondi psicologici. Nulla in confronto all’altimetria del giorno dopo, che prevede l’Alpe d’Huez, cima amica di Bugno. A uno a uno li stacca tutti. Il primo è Lemond, poi Fignon, poi Delgado. Gli restano attaccati Chiappucci, Leblanc e Indurain. Se ne disfa in quest’ordine, continuando la progressione con sguardo impenetrabile dietro gli occhialoni scuri; ma Indurain gli è attaccato col mastice e si limita a lasciargli un secondo di sicurezza in vista della linea del traguardo. Chiappucci perde 43” e in classifica è terzo a 4’48”; Bugno, secondo a 3’9”. Se Indurain fosse un outsider, qualcuno pensa, la maglia gialla potrebbe essere a portata di mano; ma la successiva tappa di Morzine, chiusa nella stretta della Banesto, serve solo a eliminare definitivamente Lemond che perde altri 7’. Chiappucci ha abbandonato i sogni di gloria gialli e si concentra su quelli a pois, impostando le tappe successive in modo tale da accumulare punti in salita e accaparrarsi definitivamente la maglia di miglior scalatore: rivoluzionario vicino ai Gran Premi della Montagna, si ammansisce non appena la pendenza s’inverte.


Manca solo l’ultima cronometro, la consueta ordalia del sabato che stavolta si corre da Lugny a Mâcon per una distanza di 57 km. Lemond va sparato ed è saldamente primo, con un minuto su Ekimov, quando mancano all’arrivo solo i tre capoclassifica. Chiappucci, rinfrancato dalle montagne che hanno spaccato le gambe altrui, arriva a venti secondi dall’americano e conferma il terzo posto in classifica con un minuto e mezzo di vantaggio sull’indomito Mottet che fino al mattino lo tallonava. Arriva Bugno ed è primo, con venti secondi di vantaggio su Lemond, ma ha la consueta aria triste perché prima ancora di scendere di sella sa già di non avere vinto: né il Tour, ché dare tre minuti a Indurain a cronometro si è rivelata impresa lunare, né la tappa, perché Indurain, nella sua aerodinamicità impassibile ed elegante, arriva dando mezzo minuto a lui e distacchi più o meno abissali a tutti. Finisce sui Campi Elisi con lo spagnolo vincitore, di fatto mai in discussione nelle novantasei ore di corsa; Bugno ottimo secondo con al petto la medaglia della seconda Alpe d’Huez di fila ma senza essere mai arrivato ad annusare davvero il colore giallo; Chiappucci terzo a quasi sei minuti ma raggiante nella maglia a pallini rossi. Indurain non l’aveva previsto nessuno, e il suo teorico capitano Delgado è nono a venti minuti; la sfida, dicono, è rimandata all’anno venturo quando ci saremo organizzati di conseguenza.

(2-continua)