Le Tour, jamais (2)
Per la prima puntata della storia dell'uomo che riuscì a non indossare mai la maglia gialla basta cliccare qui.
I Mondiali del 1990, quelli di ciclismo però, rinnovano lo
scontro fra Bugno e Lemond. Gli italiani che si svegliano a ora antelucana per
godersi la diretta da Utsunomiya devono accontentarsi di una volata per la
medaglia di bronzo, poiché otto secondi prima sono già arrivati Rudy Dhaenens e
Dirk De Wolf, esultando in sincrono perché entrambi belgi. Come che sia, la
volata del gruppetto degli inseguitori la vince Bugno davanti all’americano
iridato in carica; il patriarca Alfredo Martini ha convocato in azzurro anche
Chiappucci che a sua volta regola la volata del gruppo dei ritardatari, il
tutto nel giro di meno di un minuto. A fine ottobre Bugno si accaparra anche la
platonica benché redditizia Coppa del Mondo, che combina i risultati delle
classiche: è l’unico ad averne vinte due, la Milano-Sanremo dominata in
primavera e l’ormai desueta Leeds-Wincanton Classic in estate. Al Giro
dell’anno dopo, in prevedibile assenza di Lemond, i giornali puntano tutto fra
la sfida fra Bugno e Chiappucci, finalmente di fronte senza maschere né
scusanti. Alla fine vince Fausto Chioccioli, detto Coppino per l’avvenenza
fisica. Chiappucci fa il regolarista: non alza le braccia neanche una volta ma
riesce a classificarsi secondo nella generale e a vincere la maglia ciclamino
del meglio piazzato nelle tappe. E Bugno? Vince due tappe, al solito, ma rasenta
lo psicodramma: distanziato da Chioccioli in classifica nelle prime tappe, recupera
il distacco in una magistrale cronometro da Collecchio a Langhirano salvo un
unico fatale secondo, che lo priverà del ritorno in rosa e lo farà affondare sotto
il peso del rovello un paio di giorni dopo sul Sestriere accumulandogli addosso
minuti su minuti.
Bugno, si dice, in realtà pensa al Tour. Deve rifarsi dallo
smacco subito da Chiappucci in Francia, per questo ha mollato gli ormeggi in
Italia ma una settimana prima del prologo mette in chiaro le intenzioni
vincendo il campionato nazionale e indossando la maglia tricolore. La Grand
Boucle parte a luglio con cinque km di crono a Lione e vince Monsieur Prologue Thierry Marie:
Chiappucci si difende, perdendo 15”; Bugno, in teoria miglior amico della
specialità, ne perde tre in più. Sarà dura, tanto più che il giorno dopo Lemond
è già maglia gialla, anche se la cede subito con la cronosquadre dell’Eurexpo.
A Digione il naso di Bugno spunta davanti al gruppo a 4 km dal traguardo ma
millecinquecento metri dopo si lascia riprendere dal gruppo e finisce in
volata; idem fa Chiappucci il giorno dopo verso Reims, ma al traguardo ne
mancano 170. Sono due contrafforti psicologici, uno per il quale il traguardo
non è mai troppo vicino e l’altro per il quale non è mai troppo lontano. L’idea
è che con l’innocuo Rolf Sorensen in maglia gialla al posto di Lemond, che pure
è lì a 10 secondi, sia un Tour anarchico, senza padroni, e che valga la pena di
provare all’impazzata. Chiappucci ci ritenta il giorno dopo ancora, a 20 km da
Valenciennes, ma niente. Ci riesce invece Thierry Marie a Le Havre: vince da
solo e prende la maglia con un buon minuto di margine. Non durerà.
Il giorno seguente è infatti previsto il contre-la-montre di Alençon, e sono
molti più chilometri di quanti Monsieur
Prologue sia in grado di gestire per conto proprio: addirittura 73. Lemond
va meglio di tutti: dà un minuto a Breukink, quasi un minuto e mezzo a un Bugno
ancora disorientato, due minuti a Delgado, quattro a Chiappucci che col
cronometro ha crisi di rigetto. Lemond si riprende la maglia e mette un bel
minuto cuscinetto fra sé e il resto del mondo. Il fatto è che ad Alençon Lemond
va meglio di tutti tranne uno, che gli dà quegli otto secondi che di per sé non
significano niente (in classifica è quarto a oltre due minuti) ma che letti a
posteriori segnano l’inizio di una nuova pagina nella storia del ciclismo. La
crono di Alençon è la prima a essere vinta da Miguel Indurain; altre
seguiranno.
Trascorse le consuete tappe di trasferimento che il Tour
organizza per non avere sulla coscienza le coronarie dei telespettatori, si
arriva ai piedi dei Pirenei con questa situazione: Lemond giallo, Indurain
terzo a 2’17”, Bugno quinto a 3’51”, Chiappucci disperso. Per la dodicesima
tappa si sconfina a Jaca, in Aragona. Gli uomini di classifica si studiano e va
al traguardo una fuga di buoni ruotatori, regolata da Charlie Mottet che aveva
vinto anche due giorni prima; in mezzo c’era il riposo. Lemond perde la maglia
ma conserva saldamente la leadership dei seri pretendenti e il giorno dopo
attacca sul Tourmalet. Si porta via un gruppetto con la maglia gialla, Luc
Leblanc, che poi andrà in crisi perdendo un quarto d’ora; ma si porta anche
cattive compagnie come Bugno, Chiappucci e Indurain, il quale approfitta di un
momento di debolezza dell’americano, leggermente staccato in cima per lo
sforzo, per attaccare nella discesa sul Col d’Aspin. Chiappucci, se non è
davanti lui, non resiste; e prima che la salita ricominci ha già ripreso
Indurain mentre dietro Bugno procede del suo passo, attento a non sprecare
energie come se non ci fosse un domani. Mentre davanti Chiappucci si porta al
traguardo Indurain il quale, come da usanza generale e proprio futuro costume,
cederà cavallerescamente la vittoria all’accompagnatore prima di indossare la
maglia gialla, dietro di loro Bugno piazza una progressione mica da ridere che
fa boccheggiare tutti i suoi compagni d’inseguimento, e li stacca uno a uno
come soleva fare al Giro trionfale dell’anno prima. Risultato, a sera Bugno è
terzo in classifica a 3’10” da Indurain, Chiappucci quarto a 4’6”, Lemond,
giunto sconsolato a Val-Louron, quinto a 5’8”.
Altre tappe di trasferimento, nell’ultima delle quali Bugno
e Chiappucci s’inventano un attacco in simultanea che fallisce ma stanca la
Banesto di Indurain. I pezeteri spagnoli nel finale non hanno le gambe per
andare a riprendere una fuga dell’indomito Lemond: l’americano guadagna una
ventina di secondi psicologici. Nulla in confronto all’altimetria del giorno
dopo, che prevede l’Alpe d’Huez, cima amica di Bugno. A uno a uno li stacca
tutti. Il primo è Lemond, poi Fignon, poi Delgado. Gli restano attaccati
Chiappucci, Leblanc e Indurain. Se ne disfa in quest’ordine, continuando la
progressione con sguardo impenetrabile dietro gli occhialoni scuri; ma Indurain
gli è attaccato col mastice e si limita a lasciargli un secondo di sicurezza in
vista della linea del traguardo. Chiappucci perde 43” e in classifica è terzo a
4’48”; Bugno, secondo a 3’9”. Se Indurain fosse un outsider, qualcuno pensa, la
maglia gialla potrebbe essere a portata di mano; ma la successiva tappa di
Morzine, chiusa nella stretta della Banesto, serve solo a eliminare
definitivamente Lemond che perde altri 7’. Chiappucci ha abbandonato i sogni di
gloria gialli e si concentra su quelli a pois, impostando le tappe successive
in modo tale da accumulare punti in salita e accaparrarsi definitivamente la
maglia di miglior scalatore: rivoluzionario vicino ai Gran Premi della
Montagna, si ammansisce non appena la pendenza s’inverte.
Manca solo l’ultima cronometro, la consueta ordalia del
sabato che stavolta si corre da Lugny a Mâcon per una distanza di 57 km. Lemond
va sparato ed è saldamente primo, con un minuto su Ekimov, quando mancano
all’arrivo solo i tre capoclassifica. Chiappucci, rinfrancato dalle montagne
che hanno spaccato le gambe altrui, arriva a venti secondi dall’americano e
conferma il terzo posto in classifica con un minuto e mezzo di vantaggio
sull’indomito Mottet che fino al mattino lo tallonava. Arriva Bugno ed è primo,
con venti secondi di vantaggio su Lemond, ma ha la consueta aria triste perché
prima ancora di scendere di sella sa già di non avere vinto: né il Tour, ché
dare tre minuti a Indurain a cronometro si è rivelata impresa lunare, né la
tappa, perché Indurain, nella sua aerodinamicità impassibile ed elegante, arriva
dando mezzo minuto a lui e distacchi più o meno abissali a tutti. Finisce sui
Campi Elisi con lo spagnolo vincitore, di fatto mai in discussione nelle
novantasei ore di corsa; Bugno ottimo secondo con al petto la medaglia della
seconda Alpe d’Huez di fila ma senza essere mai arrivato ad annusare davvero il
colore giallo; Chiappucci terzo a quasi sei minuti ma raggiante nella maglia a
pallini rossi. Indurain non l’aveva previsto nessuno, e il suo teorico capitano
Delgado è nono a venti minuti; la sfida, dicono, è rimandata all’anno venturo
quando ci saremo organizzati di conseguenza.
(2-continua)