sabato 8 marzo 2008

Lo Stato dei Licei, 13: il fantasma del laboratorio


[Quando ho dei dubbi di qualsivoglia genere, ricorro al mio manuale di Storia del Liceo: Popoli e Civiltà di Antonio Brancati. Esso, per definizione, è la risposta a ogni possibile quesito, il detentore delle verità di fatto e come tale è un interlocutore vivo e presente nella mia vita, più ancora di qualsiasi persona mi passi davanti al naso: non per niente è definito, impersonato, ipostatizzato quale “il Brancati”.
Se non che qualche giorno fa ho avuto dei dubbi e, trovandomi a mille km di distanza dalla mia unica e vera copia del Brancati, ho dovuto ripiegare su un succedaneo. Ho costretto infatti un mio amico a prestarmi il suo vecchio manuale di Liceo – vecchio ma comunque più recente del Brancati, così come testimonia l’orrenda dicitura “nuova periodizzazione” stampata in grassetto poco sotto il luogo dove il mio amico aveva ritenuto opportuno appiccicare uno stemma bislucido dell’Ambrosiana Inter. La periodizzazione sarà nuova ma la storia è vecchia: perché a me non interessano le pagine ultime, in cui si denigra Berlusconi o si esaltano gli attentatori dell’11 Settembre, ma mi soffermo nei secoli che precedono il Novecento e che, per l’indebita attenzione a quest’ultimo, vengono via via compressi man mano che i manuali si stampano.
Oggi è sabato, come ogni sabato sono stanchissimo e quindi non ho voglia né tempo di indire una polemica. Voglio solamente testimoniare che ci vedo sempre meno ahimé per il concorso di vecchiaia e sfiga, quindi più leggo più mi stanco, più mi stanco meno ci vedo, meno ci vedo più mi avvicino al libro, più mi avvicino al libro più non mi limito a guardarlo ma lo odoro – anzi, se tirassi fuori la lingua, tanto poca è la distanza che mi separa dalla pagina, potrei agevolmente leccarlo e sottolineare con la saliva le date più significative (il mio amico sarà poco contento di leggere queste paginette virtuali, me lo sento). Il fatto è che, odorando il manuale del mio amico, ho avuto una reminiscenza proustiana: l’odore del suo diversissimo manuale è lo stesso odore del Brancati. Da ragazzi ci si vede bene e si studia tenendo il naso abbastanza distante da non annusare i libri; ma i successivi e più o meno necessari ripassi dei decenni seguenti rivelano l’odore invecchiato della carta. Così ho capito che nuova o vecchia perodizzazione nulla cambia, i ragazzi italiani continueranno a studiare la stessa Storia da manuali con lo stesso odore, assumendo per via olfattiva una coscienza nazionale contagiosa. E ora Silvia G, che è sicuramente meglio di queste fantasticherie sinestetiche:]

Gurrado, scienza e superstizione non sono certo due termini che vanno a braccetto: se l’uno richiama alla mente idee di conoscenza concreta, acquisita tramite esperimenti che hanno lo scopo di giungere ad una descrizione precisa della realtà, l’altro indica invece credenze irrazionali che influenzano i comportamenti umani e il pensiero senza una precisa relazione causale. Paradossalmente però, al liceo Voltaire le due cose hanno finito col confondersi tra loro, e le conseguenze di tale fusione affollano tuttora gli incubi dei più sensibili membri della Terzaddì.

Si dà infatti il caso che il liceo Voltaire, in origine, fosse un convento di padri Gesuiti, le cui ossa tutt’ora giacciono negli scantinati della scuola, luoghi accessibili unicamente al personale autorizzato (e giammai agli studenti o ai bidelli). Quest’insolita caratteristica del liceo Voltaire ha sempre inquietato e incuriosito moltissimo i suoi iscritti, al punto che sono nate numerose leggende legate ad essa, tra i corridoi. Taluni mormorano di aver sentito echeggiare delle pareti dell’edificio voci che recitavano preghiere in latino, taluni altri di aver veduto ombre incappucciate aggirarsi la mattina presto nella tromba delle scale. Tuttavia, nessuno ha mai potuto provare la presenza di fantasmi o mummie all’interno della scuola, fatta eccezione per alcuni professori.

Bisogna inoltre precisare che, varcando le porte del laboratorio di scienze del liceo Voltaire, si ha la gioia di imbattersi in un magnifico scheletro in plastica a grandezza naturale, il quale è stato chiamato Battista, in onore di un antico e illustre alunno del liceo Voltaire. Col passare degli anni e degli studenti, il povero Battista ha subìto una notevole quantità di molestie: le sue falangi sono tutte disarticolate, ha perso molti denti e la sua mandibola è legata al cranio solo grazie al nastro adesivo.

In una mattinata buia e tempestosa di metà autunno, la professoressa Selli, insegnante di chimica biologia e geografia astronomica, disperata a causa dell’inspiegabile frattura del femore sinistro del povero Battista (imputabile in verità agli alunni Ruggero F e Alberto I, due tra i più discoli membri della Terzaddì), decise di prelevare dai sotterranei del liceo Voltaire qualche antico osso di Gesuita ancora in buone condizioni e di sostituirlo col femore in plastica spezzato dello scheletro, per poter tenere la sua lezione di scienze. Presa dalla foga, portò via anche una bellissima tibia e qualche costola perfettamente conservata, e appose il tutto in mezzo alle altre ossa di poliestere.

Saputa la notizia, molti alunni si mostrarono turbati e schifati dinnanzi all’ibrido scheletro Battista. Il disgusto e la paura per quelle ossa un tempo vive crebbero col passare del tempo, e solo pochi impavidi osavano ancora molestare l’oggetto del loro orrore, il quale, ignaro di tutto, seguitava a rivolgere a chiunque gli passasse accanto cordialissimi sorrisi a trentadue denti (o, nel suo caso, a venticinque). La professoressa Selli, seppur a malincuore, si vide costretta a rinchiudere Battista in un armadio del laboratorio di scienze.

Accadde tuttavia che, durante l’esercitazione di laboratorio del trentuno di ottobre, al Voltaire saltò improvvisamente la corrente elettrica. I membri della Terzaddì, nient’affatto spaventati dalla cosa, corsero a cercare candele e pile nei cassetti e negli scaffali del laboratorio. Avvicinandosi all’armadio dov’era contenuto lo scheletro Battista, l’alunna Eleonora F udì all’improvviso sinistri scricchiolii provenire dall’interno del mobile; pareva che numerose unghie graffiassero le ante di legno, nel tentativo di aprirle. Eleonora F accese una torcia e illuminò la scena: lo scheletro Battista, vestito di un vecchio sacco di patate rattoppato, era uscito dall’armadio e fissava grottescamente nella sua direzione, col consueto sorriso stampato il faccia. Eleonora F diede a quel punto prova di mirabili doti canore, intonando un acuto altissimo e penetrante, che impressionò tutti i suoi compagni di classe più ancora dello stesso Battista, il quale nel frattempo si era mosso, e girava per il laboratorio grazie alle rotelline poste sotto agli scheletrici piedi.

I membri della Terzaddì, che avevano da poco concluso la lettura di alcuni racconti di Edgar Allan Poe (propinati dall’insegnante di letteratura inglese) ed erano dunque facilmente impressionabili, spalancarono le porte del laboratorio e uscirono di corsa, illuminando i bui corridoi della scuola con le loro torce elettriche e creando gran scompiglio tra le classi vicine. Il ritorno della corrente vide uno scheletro incappucciato aggirarsi sorridendo tra le bancate del laboratorio di scienze, finché uno spavaldo bidello, allarmato da tanto chiasso, irruppe nella stanza, intercettò il macabro responsabile dei disordini, lo bloccò e lo spogliò con decisione.

Fece dunque capolino da sotto il sacco l’alunno Ruggero F, il quale, abbracciato al povero Battista, ne coordinava i movimenti, con gran divertimento. Il resto della classe Terzaddì, presa coscienza che non si trattava di un fantasma, si armò di gesso da lavagna e, con rabbioso trasporto, prese a lapidare il mattacchione, che fu salvato dal linciaggio soltanto grazie all’intervento del sommo dirigente scolastico.

Come punizione per l’orrendo misfatto, l’alunno Ruggero F è stato costretto ad accompagnare la professoressa Selli negli scantinati del liceo Voltaire per rimettere le ossa profanate al loro posto; ha inoltre trascorso gran parte dei suoi pomeriggi autunnali a ricostruire assieme all’inquietante professoressa i pezzi mancanti dello scheletro Battista, che ora sorride felice sfoggiando un bellissimo femore di cartapesta e sette nuovi magnifici mol[NdG: piove a dirotto, il blog viene sospeso per impraticabilità di campo, per cui il manoscritto termina qui]

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