Rivendico il diritto alla cazzata.
(Ugo Tognazzi)
Non erano nove – giovedì sera c’erano una ventina di persone e un centinaio di sedie vuote ad ascoltare Luciana Bianciardi che parlava di suo padre. Peggio per loro (per le sedie vuote, intendo: ché i venti presenti se ne sono andati entusiasti, quasi a mezzanotte) in quanto si sono persi un discorso arguto, la lettura di passi notevoli e rari (le tre pagine di
Rivoluzione a Milano, da sole, valgono più di tutto Pasolini) e la proiezione di reperti dell’archivio Rai. Quando parlo di Bianciardi io sono sempre lievemente di parte (ho salutato lo scarso pubblico dicendo: “Oggi parliamo di uno scrittore sensazionale”), ma aprire la serata con un servizio di Silori in cui Bianciardi stesso, fisso lo sguardo in camera dietro la macchina per scrivere, spiega la rinnegata genesi latina del termine
tradurre, o in cui sale le scale della casa editrice per annuire inane sentendosi ripetere dalla segretaria la tiritera che gli scrittori, quando fanno i traduttori, tendono sempre a inventare e a tradire lo spirito dell’originale e bla bla bla, o in cui accumula pagine dattiloscritte a bizzeffe e simultaneamente conta le lenzuolate di soldi guadagnati, con la voce fuori campo della compagna che scandisce: “Questi per l’affitto, questi per la benzina, questi per il caffé, questi per i giornali, questi per…” – già solo i primi dieci minuti di filmato sono stati sufficienti a inchiodare le venti-persone-venti sulle rispettive sedie, e a far compiangere universalmente le restanti vuote (vuote anche perché da qualche parte di Pavia, in contemporanea, c’era Maria Latella nientemeno). Ovviamente il lettore dvd funzionava a meraviglia nelle prove audio-video fatte prima di cena; ovviamente il lettore dvd ha iniziato a rifiutarsi di fare il suo dovere dopo la proiezione dei primi due o tre tesori filmati portati da Luciana Bianciardi, e allora ha risolto tutto Alvaro Bertani (che di Bianciardi ha pubblicato una biografia per ExCogita,
Da Grosseto a Milano) leggendo dall’
Antimeridiano come se Bianciardi fosse lì a scrivere in diretta. Nulla di preparato, pubblico latente e tecnologie funzionanti a singhiozzo hanno consentito di portare avanti una serata anarchica che – di solito è retorica ma stavolta è nuda verità – a Bianciardi sarebbe piaciuta più di mille convegni grigi.
Stamattina a Milano c’erano Berlusconi e Fini, ma non ci si va perché piove (e quando piove mi restringo). Sono rimasto in camera a leggere (e a scrivere), tanto più che ieri sera ho finalmente trovato il tempo e la forza di sedermi e dar fondo alle mie forze consumando un centinaio di pagine di
Jean Santeuil. Questo da un lato mi ha consentito di superare (spero) la crisi momentanea che mi impediva di aprir libro senza provare un’istintiva ripulsa, dall’altro mi ha restituito un po’ di percezione del ritmo stilistico, un po’ di senso della pagina. A proposito, l’altro giorno m’è capitato sotto gli occhi un brano del
Meriggio di d’Annunzio:
E la mia forza supina si stampa nella rena, diffondesi nel mare; e il fiume è la mia vena, il monte è la mia fronte, la selva è la mia pube, la nube è il mio sudore. E io sono nel fiore della stiancia, nella scaglia della pina, nella bacca del ginepro; io son nel fuco, nella paglia marina, in ogni cosa esigua, in ogni cosa immane, nella sabbia contigua, nelle vette lontane. Ardo, riluco. E non ho più nome. E l'alpi e l'isole e i golfi e i capi e i fari e i boschi e le foci ch'io nomai non han più l'usato nome che suona in labbra umane. Non ho più nome né sorte tra gli uomini; ma il mio nome è Meriggio. In tutto io vivo tacito come la Morte. E la mia vita è divina. L’ho riportato intero e senza scansioni perché è una poesia talmente bella da sembrare un brano di prosa.
Massimo Moratti, celebrando il centenario dell’Inter, ha dichiarato che la beneamata è l’unica squadra importante di Milano. In seguito, durante la cena, ha sostenuto che in famiglia quello intelligente è sempre stato lui.
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