Queste persone non capiscono niente, e meglio sarebbe se fossero analfabete. Si parva licet, la stessa faccenda era capitata a Proust quando aveva iniziato a pubblicare Alla Ricerca del Tempo Perduto; e meno male che la morte l’ha colto prima che venisse pubblicato il finale, altrimenti avrebbe trascorso il resto della vita a rispondere a interviste radiotelevisive su cosa succeda al narratore dopo l’ultima delle tremila pagine. All’uscita del primo volume, è certo che
Ora che ho da poco finito di rileggere il Jean Santeuil (parentesi storico-letteraria: dovete sapere che prima di scrivere
Evidentemente, Jean Santeuil è “Io”, il pronome che un lungo equivoco ha fatto identificare continuamente con Proust stesso: e così il signor e la signora Santeuil sono evidentemente il padre e la madre di “Io”, questo è pacifico. Più ardito, e divertente, è identificare i personaggi secondari – o che quanto meno non occupano la scena dalla prima all’ultima pagina; si noterà che meno il personaggio è definito, più è difficile identificarlo. Henri de Reveillon è quasi in toto Robert de Saint-Loup. Il signor di Lomperolles, che ama i giovanotti, è con ogni probabilità Charlus, ma non ha nulla della sua levità dandystica, anzi è poco più che una macchietta relegata in poche pagine. La signora Marmet, che gestisce il suo milieu tanto snobisticamente da restarne isolata, è l’imbarazzante Madame Verdurin. Il pianista Loisel è il violinista Morel, o viceversa. Perrotin ha qualcosa di Charles Swann, ma in comune hanno soprattutto la morte (mentre non mi risulta che sia scritto da nessuna parte che Perrotin è ebreo). Come riprova del fatto che sto scrivendo a memoria, non ricordo come si chiami nella Recherche il correlativo oggettivo di Marie Kossichef, l’amore infantile di Jean [nota di Gurrado: e invece, poiché contrariamente a quanto scrive mia madre rileggo sempre prima di chiudere, alla seconda passata mi sono ricordato che nella Recherche Marie è Gilberte]; mentre è curioso notare come la vedova Françoise S., che ne tormenta la giovinezza, sia un ircocervo tumultuoso che riunisce due personaggi della Recherche, Odette de Crécy amata da Swann e Albertine amata da Io, sotto il nome della domestica di Proust stesso, ossia dell’unica donna che in fin dei conti gli sia rimasta di fianco fino alla morte.
Quand’ero più giovane avevo spinto il giochino più in là, isolando Un Amore di Swann dal resto della Recherche e rinvenendo nel triangolo scaleno Io-Swann-Odette la stessa relazione con cui nel pressoché contemporaneo Ulisse Joyce lega Stephen Dedalus, Leopold Bloom e sua moglie Molly. Io/Dedalus è il giovane intellettuale, un po’ svenevole, che si pone come osservatore esterno nei confronti della vita, salvo venir travolto dagli eventi. Swann/Bloom è l’uomo di mondo che circonda Io/Dedalus di virile affetto ma che si sdilinquisce di fronte all’impossibilità di cristallizzare i sentimenti dell’amata. Odette/Molly, infine, non è propriamente infedele, quanto piuttosto sfuggente, incomprensibile, rinserrata in un segreto inaccessibile e purtuttavia facile a intuirsi: diciamo che, in maniera molto politically correct, è diversamente fedele.
Questi sono giochi che lasciano il tempo che trovano, e mi sono limitato a esporli per far vedere che nonostante le apparenze ho dei contenuti letterari seri, mica pizza e fichi. Altrimenti avreste potuto immaginarmi come un giovanotto che, seduto con sulle ginocchia l’enorme volume che raccoglie tutto Proust, lo legga pagina dopo pagina con estrema pazienza invecchiando progressivamente e crescendo al passo del Tempo perduto, progressivamente maturando e invecchiando e incanutendo fino al momento in cui, giunto vegliardo all’ultima pagina, legga accigliato la riga conclusiva e poi chiuda il volumone sentenziando: “Frocio”.
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