Finalmente domenica!
Trentatreesima
giornata, 21 aprile 2013
Me ne frega assai di chi eleggono presidente della
repubblica, visto che sono monarchico. Ieri ho fatto un test su un quotidiano
per calcolare la mia età mentale in base ad alcune semplici domande. “Come
trascorri la domenica?” Guardando il calcio in tv, che domande. “Qual è la cosa
che ti fa più paura?” Gli extracomunitari. “A che ora vai a dormire di sera?”
Verso le undici e mezza, altrimenti oggi non starei già scrivendo alle sette
del mattino. A farla breve, per fortuna non venivano forniti numeri precisi ma
è emerso che sono un uomo di mezz’età, con occasionali puntatine nella
vecchiaia e dunque – spero – nella saggezza, anche se in Italia tutti sono
convinti che la felicità consista nell’adolescenza eterna. Meno male che fra le
domande non c’era un bel “Chi vorresti
al Quirinale?”, perché avrei risposto grossomodo: l’unico che abbia diritto ad
abitare al Quirinale è il Papa e gli altri, chi più chi meno benevolo, sono
tutti usurpatori che non pagano l’affitto. In tal caso sarebbe emerso che ho
almeno 190 anni e il test sarebbe andato in tilt.
Però, com’era sexy Laura Boldrini ogni volta che diceva
“Rodotà”, con quella puntina di superiorità mista a rassegnazione, come a dire:
“Io vi capisco, ma che possiamo farci?”. È proprio bella, roba da mettersi a guardare
lo spoglio per ore e ore senza più contare i voti, roba che al confronto le
cravatte rosa di Gianfranco Fini diventano grigio pallido. Mi ha fatto venire
in mente l’accorata protesta di un mio amico un po’ oltranzista: “Perché quando
in tv mostrano le manifestazioni della sinistra antagonista è sempre pieno di
[omissis] mentre alle manifestazioni a cui vado io ci sono solo pelosissimi obesi
calvi di Casa Pound?”. Forse perché vai alle manifestazioni di Casa Pound, gli
risposi; meno male che, dicevano Sylvia Plath e Gemma Gaetani, ogni donna ama
un fascista. E viceversa, aggiungeva una mia fidanzatina: ogni fascista ama una
donna, un fascista ama ogni donna, una donna ama ogni fascista e ogni donna
fascista si ama.
A proposito, non vi dico quando è arrivata la Mussolini (che
anni e annorum or sono Marcello Veneziani gratificò di un “Benita bonita”) e si
sono messe a fare il confronto fra il tailleurino rosso della mora e la
maglietta attillata della bionda. Era da certi film degli anni ’80 che non
vedevo scene così. Mi sono domandato se, mentre diceva “Rodotà” con tono di
vago rimprovero, alla Boldrini non venisse in mente la foto che per qualche
tempo è circolata anche sui giornali in cui veniva ritratta una donna
completamente nuda e depilata in certi punti nevralgici, della quale si diceva
con grande insistenza che fosse Laura Boldrini nonostante che non somigliasse per
niente a Laura Boldrini. La fonte della foto fasulla era internet, esattamente
la stessa fonte della candidatura di Rodotà; ognuno tragga le conseguenze
debite. Com’erano teneri i grillini che al momento della proclamazione dei
risultati scandivano “Ro-do-tà! Ro-do-tà!” senza sapere bene chi fosse; mi
ricordavano le studentesse Erasmus alle quali i più cattivi fra i pavesi
suggerivano che il sandwich in italiano si chiamasse pompino, così quelle
inconsapevoli lo ripetevano al barista con grande insistenza creando imbarazzo;
viene quasi da ringraziare quelli che li hanno mandati in parlamento pensando:
“Insomma, se tutti i politici sono uguali allora votiamo questi qui che quanto
meno sono evidentemente peggio”. Nichi Vendola, che ha sempre saputo fiutare
dove va il mondo, ha capito subito che le nuove tendenze della politica sono
queste qua (“Ro-do-tà! Ro-do-tà!”) e s’è prontamente adeguato: il prossimo
passo sarà la virtualizzazione della sanità pugliese. La flebo te la facciamo
su twitter; il catetere te lo mettiamo su facebook; il medico curante sarà
scelto con un sondaggio fra internauti e potrai sempre tenerti in contatto via
skype coi nostri assessori, anche se dovessero arrestarli tutti.
Ma la Boldrini mi piace, con o senza Mussolini; pertanto
mormoro un Atto di Dolore e passo a ripescare considerazioni serie che avevo
scritto sul Foglio esattamente un anno fa, quando per la prima volta si era
ventilata l’ipotesi di una rielezione di Giorgio Napolitano, ispirato dalla
lettura di un bel saggio di Maurizio Ridolfi e Marina Tesoro che s’intitola
appunto Monarchia e repubblica. “Il
caustico Filippo Turati sosteneva che passare dalla monarchia alla repubblica
consistesse alla fin fine nel cambiare lo stemma dei tabacchi; sotto qualsiasi
forma di governo gli Italiani sarebbero rimasti gli stessi. L’hanno dimostrato
le recenti reazioni al rifiuto opposto da Napolitano all’idea di una rielezione
al Colle: i sentimenti più diffusi al riguardo erano tipicamente monarchici,
ossia l’auspicio di un prolungamento indefinito (o vitalizio) dell’incarico e
la speranza nell’indicazione più o meno esplicita di un successore. Abbiamo
conservato un immaginario monarchico montato piuttosto goffamente su un
apparato repubblicano”. A chi strepita vorrei far notare che, uno, la formula
utilizzata ieri dalla classe politica per convincere Napolitano era la classica
supplica al monarca e, due, che nelle votazioni preliminari qualcuno aveva
votato il figlio ed erede Giulio Napolitano, che non ha i requisiti.
Lo so, ragionare è facoltativo, quindi continuiamo
l’istruttiva rilettura. “L’ideale repubblicano in Italia risulta ondivago
nell’adozione di simboli: i mazziniani battono ora bandiera rossa, ora nera,
ora verde. Non riuscendo a produrne di propri, si ricorre a simboli altrui:
durante la Settimana Rossa del 1914 si canta la Marsigliese, al congresso del
Pri del ’22 si riesuma la torcia giacobina. Quando nel ’24 lo stesso partito
prova a introdurre tre campane non ha particolare fortuna. Le sigle e gli
stemmi che si alternano sui tricolori repubblicani tanto dei partigiani quanto
della Rsi vengono dimenticati in men che non si dica. I repubblicani vittoriosi
si sono affrettati a eliminare lo scudo monarchico dal centro del tricolore, ma
al suo posto cos’hanno messo? Nulla”.
Mi piace pensare che il voto a Giulio Napolitano (che non ha
i requisiti) sia dovuto a un qualche monarchico nascosto; è pertanto la terza
scheda nella classifica delle mie preferite, dietro all’inarrivabile Conte
Mascetti e al doroteo “Massimo Prodi” di venerdì pomeriggio. Ora, non serve essere Matteo
Renzi per notare la differenza fra Stato e Chiesa e capire che, se gli Italiani
avessero avuto un’età mentale leggermente più avanzata, al Quirinale avrebbero
lasciato il Papa. Sarà stato l’effetto del gabbiano sul comignolo che metteva
fretta, ma penso di poter escludere che i conclavisti prima abbiano votato Valeria
Marini e Michele Cucuzza (su Rocco Siffredi non me la sento di giurare), poi
abbiano scelto un candidato condiviso senza assicurargli la maggioranza
necessaria, poi i progressisti abbiano scelto un candidato da eleggere per
conto proprio senza riuscire a farlo, poi siano andati in pullmino a Castel
Gandolfo per convincere Ratzinger, riluttante, a un secondo mandato.
[L'altra metà della rubrica, opera di Francesco Savio, si trova come sempre su Quasi Rete, blog letterario della Gazzetta dello Sport.]
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