(martedì 20 febbraio 2007, copyright Il Resto del Pallone)
Di fronte al cartone con dentro i bordi bruciacchiati della pizza, mentre in diretta su Rai Uno guardo la Roma passeggiare sui poveri resti del Milan, mi sono chiesto se non sarebbe stato meglio, invece di scomodare altre quarantasei squadre, risolvere la questione facendo giocare direttamente la Roma contro l’Inter e l’Inter contro la Roma. Trattandosi tuttavia di un pensiero, benché formalmente corretto, evidentemente dettato dall’acrimonia per la sconfitta (peggio ancora: dettato dall’acrimonia per le vittorie altrui), mi sono deciso a rigettarlo ciò nondimeno riformulando la domanda: ma questa Coppa Italia servirà a qualcosa?
Sia chiaro, io adoro l’Inghilterra per vari motivi e uno di questi (uno dei motivi secondari, a dire il vero) è che la FA Cup viene ritenuta più importante della Premier League. Senza tuttavia arrivare a questi eccessi, indubbiamente dettati dal bacon a colazione e dalla cena alle sei di sera, sarei felice di vedere dalle nostre parti un’intera nazione che impazzisce per il trofeo più sinuoso d’Italia. Invece, se fra un goal e l’altro della Roma avessi chiamato un centinaio di utenze pescate a caso dall’elenco telefonico per chiedere a bruciapelo: “A che serve la Coppa Italia?”, di là dagli improperi una buona maggioranza degli intervistati mi avrebbe risposto: “A spezzare i garretti dei calciatori facendoli giocare alle undici di sera su campi ghiacciati”. Una significativa minoranza (probabilmente juventini incancreniti) avrebbe risposto: “La Coppa Italia serviva a far vincere qualcosa all’Inter prima di Guidorossopoli”. Qualche storico dell’Accademia dei Lincei avrebbe potuto ricordarmi: “Serviva a qualificare una squadra per la Coppa delle Coppe”. Se putacaso avessi pescato l’utenza di un qualche allenatore, mi sarei sentito rispondere: “Serve ad accumulare fatica inutile”; se invece avessi pescato un presidente: “A far guadagnare meno soldi di un torneo estivo”.
Così che la nobile Coppa Italia s’è trovata degradata da amante complice delle squadre spettacolari ma poco continue a vecchia zia indigesta che si è piazzata in casa e che in una maniera o nell’altra bisogna riuscire a sopportare. Per invertire la tendenza, e per metaforicamente ringalluzzire la vecchia zia, io avrei quattro proposte. La prima è quella di mantenere la struttura così com’è mutando però l’importante dettaglio della qualificazione: ossia, visto che la Coppa delle Coppe non c’è più, piuttosto che in Uefa sarebbe più logico che la vincitrice venisse ammessa alla Champions League. Questo garantirebbe che ogni partecipante giocherebbe col sangue agli occhi dal primo turno all’ultimo e ristabilirebbe un tocco di giustizia terrena: in fin dei conti chi ha la coccarda sulla magli ha vinto qualcosa, chi arriva quarto in campionato no.
La seconda proposta è un naturale sviluppo di un dato di fatto: per preservare i titolari da rovinosi infortuni gli allenatori imbottiscono la formazione di riserve e ignoti ragazzini? Benissimo, facciamo giocare la Coppa Italia solo agli under23, con tre fuori quota per squadra. Sarebbe un incentivo per i vivai e grazie a Dio il livello delle giovanili italiane è notevole; quanto allo spettacolo, mi sono sempre divertito più con le qualificazioni del Torneo di Viareggio che con certe improponibili gare della Coppa Uefa riformata, tanto per dire.
La terza via sarebbe l’esatto inverso: far giocare la Coppa Italia alle vecchie glorie. Ovviamente non solo a loro, ma permettere il tesseramento temporaneo di ex campioni a spasso ma ancora in grado di far emozionare qualcuno. Ovviamente un torneo del genere andrebbe giocato d’estate (come effettivamente si faceva negli anni sessanta) al posto di tutti i torneini e torneetti che negli ultimi anni proliferano senza senso alcuno.La quarta proposta è il modello inglese; non potremo sperare di applicarlo sugli spalti finché non lo avremo inoculato nei campi. Quindi una bella Coppa Italia aperta a tutte le squadre dalla A alla D, eliminazione diretta con partite di sola andata in casa della peggio classificata nell’anno precedente, e la cura del sogno che è l’anima del calcio: la remota possibilità che la Leonessa Altamura impedisca all’Inter di annoiarsi a furia di vincere e vincere ancora.
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