lunedì 26 febbraio 2007

Tre urrà per Houellebecq (in mancanza di molto meglio)


(lunedì 13 febbraio 2006, copyright Ore Piccole)


All’amico Gabriele Dadati non è piaciuto affatto, e pazienza. Io ho invece ricordi quasi commoventi di me medesimo quale accanito lettore di Michel Houellebecq: raggomitolato nel letto della casa avita per finire di leggere d’un fiato Le Particelle Elementari nella notte del Natale 2004; oppure nascosto in ultima fila durante una conferenza al tramonto (in cui la mia presenza era obbligatoria) sfruttando la poca luce di una finestra per divorarmi gli amplessi reiterati di Piattaforma; oppure tutto intento a sorbirmi la rapida Estensione del Dominio della Lotta, dimentico quasi di starlo leggendo in Alto Adige, la più inquietante regione d’Italia con tutte quelle montagne e mucche e temporali.
Mucche, non vacche: perché immagino che sia la presenza di queste ultime, in fin dei conti, la prima spinta propulsiva che porta il lettore qualunque ad accollarsi i volumi dell’ultimo intellettuale francese tendenzialmente insopportabile. Le donne di Houellebecq (intendo le personagge, non già le eventuali concubine, delle quali ignoro tutto) sono la compagnia ideale sotto le coltri come in un’aula accademica come in alta montagna: morbide, depravate e con seni inevitabilmente enormi e sodi, mammelle vaccine che potrebbero denotare qualche pregresso problema con la mamma - al ricordo della quale il protagonista erotomane de Le Particelle Elementari dedica un pensiero tutto gemiti e, tanto per restare in tema, muggiti.
Ciò che più di ogni altra cosa mi stupisce al riguardo di Houellebecq è come la gente lo compri indefessa. Ho appena visto che Le Particelle Elementari sono state ripubblicate in edizione SuperPocket, mentre Piattaforma è in promozione a cinque euro, diecimila lire: questo significa che c’è mercato, c’è richiesta, il pubblico compra un romanzo, lo legge, eventualmente lo rilegge e incuriosito torna a comprare un romanzo nuovo. A memoria d’uomo (cioè mia), Houellebecq è stato uno dei due romanzieri ospiti di Giuliano Ferrara ad Otto e Mezzo (l’altro essendo Piperno, tanto per capirci); in sei settimane che ho trascorso in Inghilterra lo stesso quotidiano ha dedicato due recensioni sterminate a The Possibility of an Island e mesi prima aveva pubblicato ampi stralci del saggio di Houellebecq su Lovecraft; qualche tempo fa, Gad Lerner imbastì un’intera trasmissione di due ore sul turismo sessuale prendendo spunto esclusivamente dalla trama di Piattaforma. Delle Particelle è appena uscito il film, infedele come ogni film dev’essere, previsto per fine marzo in Italia.
Houellebecq può piacere o non piacere (a me piace), ma fa discutere e leggere, che è la miglior cosa che possa capitare ad un autore. In questo le vaccine personagge, dedite a ogni tipo di commercio carnale, hanno indubbiamente un merito nel far impennare le vendite (non fate battutacce), ma sono restio a credere che si tratti esclusivamente di prurigine dei soliti lettori maiali; perché dovrebbero pascersene quando in qualsiasi stazione dei treni possono acquistare a minor prezzo romanzi molto più funzionali all’uopo? Per fare gli intellettuali? Perché pur di comprare un libro di un autore italiano infilerebbero ogni escrescenza in una ghigliottina? Non credo, o almeno non solo.
Più di ogni cosa, bisogna specificare che si tratta di sesso scritto bene. Come forse alcuni di voi avranno sperimentato, l’atto sessuale è ripetitivo, in sé banale e dotato di una preoccupante fragilità interna (nulla è più ridicolo, in alcune circostanze, di una persona completamente nuda). Descriverlo è un campo minato. Prima o poi chiunque, per eccitarsi, tenta di scrivere un racconto (o, i più esagerati, un romanzo) erotico e inevitabilmente il foglio appallottolato (o, peggio ancora, il file) viene cestinato in eterno dopo che in una maniera o nell’altra si sono calmati i bollenti spiriti. Per scrivere bene di sesso è necessario essere anacoreti, ma non basta; bisogna avere anche una varietà linguistica quasi dantesca per evitare di chiamare le stesse cose sempre con le stesse parole, nonché una proprietà di linguaggio utile a misurare in ogni momento la temperatura della pagina facendo attenzione a non eccedere in un senso (ché sarebbe volgare) o nell’altro (ché sarebbe pietosamente comico).
Houellebecq queste due capacità le possiede e le maneggia benone, il che mi sembra più che soddisfacente a guardare il panorama letterario circostante. La sua peculiarità però è di inserirsi in un filone stupendo di pornografia d’élite, che parte da Diderot (I Gioielli Indiscreti) e continua con Crébillon fils (Il Sofà), Sade (e non De Sade come di solito viene catalogato in biblioteche e librerie, rendendolo impossibile a scovarsi a meno di non arrossire di fronte a commesse ed impiegate che di questi tempi si scandalizzano per un nonnulla), con il suo acerrimo nemico Restif de la Bretonne (L’Anti-Justine), fino a Pierre Louys (Figlie di Tanta Madre), Paul Bonnetain (Charlot s’amuse) e al meraviglioso Apollinaire (Le Undicimila Verghe; Memorie di un Giovane Dongiovanni). Non mi soffermerò sull’evenienza che siano tutti autori francesi, né sull’eventuali conseguenze che se ne potrebbero trarre, poiché al mio occhio allenato il comun denominatore che appare evidente è ben altro: per tutti costoro, chi più chi meno, il sesso è ragion d’essere e parte integrante di un discorso ben più vasto, che include l’uomo, il destino, il mondo e Dio.
Personalmente trovo impressionanti le rispondenze fra Sade e Houellebecq, al quale auguro comunque di fare miglior fine. Le pagine di Justine e quelle de Le Particelle Elementari costituiscono un’antologia di esperimenti sul vizio scientifico, sul sistematico tentativo di migliorare la vita umana (quanto meno la propria, a discapito altrui) e sul corrispondente inevitabile frustrante fallimento. Le digressioni metafisiche de La Filosofia nel Boudoir (tutte copiate da d’Holbach, ma non importa) servono a riposarsi dopo gli sforzi e il più delle volte sono scintilla d’eccitazione e preludio a migliori acrobazie; la teoria disperata di Piattaforma, il vano tentativo di costruire un paradiso terrestre su una terra infernale, il continuo cozzare contro la deficienza propria ed altrui, tanto fisica quanto intellettuale, sono un vero e proprio manifesto antiumano (che giustifica in parte l’espressione contrita con la quale Houellebecq accetta il ruolo di romanziere di grido). Ogni tanto Houellebecq, che in prosa scrive tanto bene, si lancia nella versificazione, ma non è preoccupante: anche ai migliori capita di sbagliare e il lettore scafato sa che, quando si va a capo troppo spesso, il provvedimento migliore è saltare a pie’ pari.
Se in Sade non c’è alcun sollievo che non sia vizio e conseguente dannazione, non nell’oltretomba ma nella coazione a ripetere progressivamente degenerando, Houellebecq si diverte a giocare come il gatto col topo, presentando continuamente possibili spiragli e vie di fuga per poi, nel giro di poche frasi, abbassare una saracinesca insormontabile. Ora, io a Modena vivo in una sorta di eremo circondato dalle opere di Voltaire (o quasi) pertanto non ho sottomano i testi in questione e vado a memoria, ma nessun oblio scalfirà mai il momento in cui Bruno Clément, il protagonista erotomane delle Particelle, nel fiore dell’adolescenza appoggia il palmo della mano sulla coscia scoperta della compagnuccia di cui è innamorato, Caroline Yessayan; per un interminabile momento costei lo lascia fare salvo poi, spietata, acchiapparlo per il polso e rispedire la mano al mittente, precipitandolo così in un abisso di cinema porno e scambio di coppie, di orrore di sé, senso di vacuo, nausea d’essere ancora vivo (o almeno sveglio) che prendono ogni animale dopo aver goduto.Per quanto ancora continuerò ad aggirarmi in tutte le librerie che trovo prendendo in mano La Possibilità di un’Isola, soppesandolo, sfogliandolo e riponendolo perché costa troppo?

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