giovedì 22 marzo 2007

Elogio dell'Inter

(copyright Il Resto del Pallone)

È vero, quest’anno l’Inter è fortissima. Sono di parte (avversa, rossonera) ma non posso nascondere una verità così semplice da apparire quasi banale, da venire potenzialmente passata sotto silenzio come una scontata supremazia di fronte all’incredibile scoramento che mi piglia ogni volta che leggo la classifica e vedo il disperante abisso che si è dischiuso fra la prima e la seconda. L’istinto di sopravvivenza mi dice di aggrapparmi alla matematica e pensare che non è ancora detta l’ultima parola, che tutto ancora può succedere, che la palla è rotonda e che non si sa mai. Ma se devo considerare me stesso non come diabolico macumbista bensì come ammirato spettatore di (bel) calcio, qualche settimana in più di attesa non potrà mai scrollarmi di dosso l’idea che – qualunque cosa accada – lo scudetto l’ha vinto l’Inter.
E che scudetto! Diciamolo, per anni e anni l’abbiamo data per favorita ad agosto e puntualmente siamo stati smentiti, talvolta già a dicembre. Quest’anno c’era più di un vago sospetto intorno alla soluzione del campionato, ma non meno meritevole è stata l’Inter a non concedere nemmeno il beneficio del dubbio, a non traballare quando la navigazione appena iniziata poteva rivelarsi incerta e insidiosa, a scappare talmente lesta da non far quasi render conto che il campionato appena iniziato era già finito. Onore a chi sta tentando, o meglio ha tentato, di inseguirla. L’attesa per lo scontro diretto, tuttavia, è ancor più che una formalità. La superiorità è schiacciante: e non perché appare manifesta ogni domenica la si può ritenere un miracolo minore.Io penso che i punti chiave siano tre. Per prima cosa, un centrocampo che definire perfetto sarebbe riduttivo, agglomerato di potenza, precisione e classe sia nel collettivo sia nel singolo giocatore che funge da perno della squadra. In secondo luogo, la meraviglia dei dettagli: il terzino più forte del mondo; un portiere capace di coprire tutto lo specchio della porta con torsioni inaspettate; un attaccante argentino che si nota poco ma fa sempre il suo dovere, cioè segnare; un cannoniere di devastante abilità sulle palle inattive: insomma tutto quello che fa gran calcio, un ingranaggio di infinite rotelline capaci di diventare un coro di perfezione.
E vogliamo parlare dell’allenatore? Basta dire che è il più vincente in Italia, numeri alla mano. Che sin da quando giocava appariva un predestinato. Che gli manca ormai soltanto un grande successo con la nazionale. Che ai giornalisti incute timore reverenziale e ai tifosi affetto viscerale. Un uomo che non ha altra descrizione possibile se non il suo stesso cognome: basta pronunciarlo e in sé pare racchiudere la storia del calcio italiano, il passato, il presente e il futuro.
Certo, potrei malignare sul triste destino europeo: una cavalcata trionfale che è stata spazzata via da pochi minuti di follia - già agli ottavi di finale, poi. Ma l’avversario era una squadra quadrata e si sa, prima o poi la fortuna presenta il conto. I goal subiti a San Siro gridano vendetta, oggettivamente: se la stessa partita venisse rigiocata altre venti volte sono sicuro che l’Inter vincerebbe sempre. Paradossalmente la sconfitta europea rende più grande il merito in Italia di quest’allegra macchina da guerra, la sua manifesta superiorità: ed è solo un ciclo che si apre, l’anno prossimo tremerà l’Europa intera.
Gli intenditori di calcio e i solutori più che esperti si saranno resi conto che stamattina non avevo voglia di scrivere e ho riciclato un pezzo scritto qualche anno fa. A beneficio dei lettori distratti, spiego che l’allenatore più vincente d’Italia è Trapattoni, il terzino più forte del mondo è Brehme, il portiere felino è Zenga, l’attaccante argentino Ramon Diaz, il cannoniere devastante Aldo Serena; il centrocampista fondamentale è Matthäus. La seconda in classifica, a distanza siderale, è il Napoli di Maradona, e le altre avversarie erano la Juve di Zoff, la Sampdoria di Vialli, il Milan degli olandesi, la Fiorentina di Baggio. L’eliminazione europea fu agli ottavi di finale di Coppa Uefa contro il Bayern Monaco: nonostante la vittoria in Germania, l’Inter perse 1-3 in casa subendo tutti i tre goal in pochissimi minuti, gettando al vento una qualificazione e, forse, una vittoria finale ampiamente alla portata. Era il 1989, l’anno in cui l’Inter vinse il suo ultimo scudetto vero.

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