giovedì 8 marzo 2007

Del nascere e morire

(copyright Books Brothers)


Il guaio è che quando si va a letto con qualcuna non si possono fare citazioni. Mi spiego: utilissimo al riposo degli occhi e al divertimento del cervello, l’Elogio dell’Amore Vizioso della collaudata ditta Remmert & Ragagnin (Marsilio 2006) si fa leggere rapidamente e senza fatica, ché come le ciliege una descrizione segue un sonetto, un autore del seicento rimpiazza un’autrice postmoderna, una parte del copro succede all’altra e all’amore risponde la perversione. Fin qui, tutto perfetto; leggere letteratura erotica non ha mai fatto male a nessuno, anzi, e si spera che un furtivo brano di Apollinaire o di Bukowski, lasciato cadere da R&R nella loro antologia, sia funzionale al desiderio (appunto) di leggere prima o poi il testo intero. Fin qui, dunque, addirittura ammirevole il peccaminoso volume della Marsilio, il libretto rosso dell’erotismo scritto; il difetto, se mai, va cercato nell’animus catalogatore, nella gabbia tematica costruita dai curatori gemelli.


Prosatori e poeti, Enrico Remmert e Luca Ragagnin hanno inteso proseguire sulla strada del loro precedente Elogio della Sbronza Consapevole; con la differenza sostanziale che il vino, come si dice nella liturgia eucaristica della messa, è “frutto della vite e del lavoro dell’uomo”, dunque è grezza materia alla quale si dà forma, piena cooperazione dell’uomo esperto e della natura condiscendente sotto il benevolo sguardo di Dio. Al contrario, il sesso è fiume in piena; produce l’uomo più che esserne prodotto, lo insidia e lo pervade, ne costituisce insieme al riso il tratto distintivo poiché gli altri animali si accoppiano ma l’uomo fa sesso con la mente, col corpo e pure con l’anima, chi ce l’ha. Prova ne sia che, di tutti gli animali, l’uomo è l’unico che circola vestito, appunto perché – eccezion fatta per talune signorine – sempre si vergogna di essere nudo.

Se vogliamo cercare l’ago della mancanza nel pagliaio delle innumerevoli citazioni, per quanto mi lambicchi riesco a trovarne due soltanto. Una, secondaria, è la totale assenza delle tracce di Paul Bonnetain, l’autore di Charlot S’Amuse (1879 se non sbaglio, o 1883, tanto cambia poco), la più struggente elegia sulla masturbazione che sia mai stata scritta ad esclusione del Portnoy di Philip Roth – un romanzo il cui iperonanistico protagonista viene condotto al suicidio dal proprio eccesso ma, prima di gettarsi nella Senna, non resiste e si tocca per un’ultima volta. Pazienza, a questa mancanza R&R sapranno rimediare con un’eventuale seconda edizione. Più grave mi è parsa invece la citazione soltanto parziale della Bibbia: ci si limita a una frasetta di provenienza non specificata ma che è sicuramente tratta da Levitico 18, il capitolo delle proibizioni in materia copulativa; in questa maniera non viene resa giustizia – nel particolare – alla fantasia iperbolica di Mosè o chi per lui nell’inventarsi i più impensabili misfatti da punire e – nel generale – all’erotismo neanche tanto sotterraneo che percorre il testo sacro. Pensate a Salomè. Pensate a Giuditta che provoca Oloferne fino mozzargli il collo. Pensate alle figlie di Loth che ubriacano il padre per portarselo a letto, o a David che spia Betsabea mentre fa il bagno in una tinozza, sacerrima antenata delle docce di Edvige Fenech. Gli stomaci forti possono leggere cosa combinano con gli asini le birbanti sorelle Oolla e Ooliba in Ezechiele 23.

Non lo dico per mania esegetica, ma soprattutto per dimostrare che, se perfino la Bibbia trabocca di passi scabrosi, vuol proprio dire che l’uomo non può fare a meno del sesso, e che – parafrasando, sia chiaro – non è il sesso fatto per l’uomo ma l’uomo per il sesso: per questo motivo non sembra domabile mediante la classificazione, per quanto Remmert e Ragagnin siano in questo brillanti e volenterosi. Volenterosi nel non escludere nessuna casistica: partono dal bacio e passano a quel coso lì, corrispettivamente a quella cosa lì, quindi tramite l’imeneo, la prostituzione, l’autoerotismo e l’omoerotismo passano in rassegna tutte le possibili varianti del rapporto. Brillanti nell’attribuire a ogni variante un titoletto sagace – “Numeri Dispari”, “La Revisione della Natura”, “Altri Amori” – per pervenire infine alla fenomenologia del sudaticcio, triplicata in “Religione dell’Umido” (tesi), “Politica dell’Umido” (antitesi) e “Filosofia dell’Umido” (sintesi).

Appurato con ciò che Remmert e Ragagnin sono oggigiorno i più verosimili eredi di Hegel, va reso atto che di là dalla Bibbia e Bonnetain (in rigoroso ordine alfabetico) c’è tutto quel che si possa desiderare e anche di più: Sade, Restif de la Bretonne, Mirabeau, Crébillon fils, Houellebecq, Giorgio Baffo, Emanuelle, Pietro l’Aretino, Colette, Anaïs Nin, Sacher-Masoch, Henry Miller, Pierre Louÿs e pure Cicciolina, per non dire i fratelli Grimm. L’assenza di Casanova è controbilanciata dalla sorprendente presenza di Lenin. Uno spirito enciclopedico e un tantinello barocco come me ha di che sguazzare nelle loro citazioni (volutamente, forse, dei vari autori non vengono indicate le opere, così da rendere necessaria la peccaminosa ricerca privata che si sarebbe invece evitata a pappa pronta) e nelle biografie minime dell’appendice, dove Ambrose Bierce risulta “diavolo di uno scrittore” e Rabelais americanamente “bigger than life”.

Ma come dicevo all’inizio, purtroppo quando si va a letto con qualcuna non si possono fare citazioni. Uno prendeva in mano l’Elogio della Sbronza Consapevole e dall’erudizione di Remmert e Ragagnin poteva piluccare un brindisi coltissimo. Al contrario non mi ci vedo a bloccare l’amata dicendo: “Le sante, come meretrici, portano con sé tutto quel che serve” (Santa Caterina da Siena), o “La vergine è solo una puttana imbalsamata” (William Scott). Perché mai? Se pensate ai migliori giallisti, vi renderete conto che molto pochi sono investigatori, e che quasi nessuno è assassino, o maggiordomo. Al contrario, tutti coloro che hanno scritto di sesso sono stati soggetti (o oggetti) sessuali – anche Santa Caterina, che per evitare di sposarsi dovette radersi il capo e chiudersi in casa – e di conseguenza, scrivendo di sesso, necessariamente scrivono di sé (anche quando si favoleggiano accoppiamenti con unicorni, in Beardsley, o con orche, in Lautréamont). Scrivere di sé, ripiegarsi sul proprio ombelico (o su qualsiasi altra parte del corpo), complica in qualche modo l’applicazione di una forma razionale a una materia irragionevole quale il desiderio, che come lo spirito soffia dove vuole, senza cercare permesso alcuno.
Enrico Remmert e Luca Ragagnin hanno ammirevolmente combattuto con quest’idra; hanno chiamato al proprio fianco, come gli eroi mirmidoni, gli dèi letterari più disparati; hanno inventato parole da aggiungere alle parole con le quali già era stato ammantato l’eros, che è pulsione animale e per ciò stesso muta, o quanto meno non articolata. Però la loro catalogazione parrebbe prescindere dall’incatalogabile e perpetua forza gravitazionale esercitata dal sesso sull’uomo, causandone tanto la nascita quanto il deperimento e la morte. A meno di non considerare spie due citazioni lasciate cadere nella sezione dedicata al centralissimo e sfuggente organo femminile, riguardo al quale Zavattini lamenta: “Ah se potessi spiegarmi ma / è difficile / come parlare del nascere e del morire”, e soprattutto Giuseppe Gioachino Belli insegna che c’è “chi la chiama vergogna, e chi natura / chi ciufèca, tajola, e sepportura”.


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