domenica 8 aprile 2007

In partibus infidelium

Oggi, Pasqua di Risurrezione per chi non se ne fosse accorto, io che nutro un’atavica idiosincrasia nei confronti del telefono sono stato costretto a fare una chiamata internazionale. Perché?, si chiederanno le mie ammiratrici. La risposta, piuttosto complessa, riguarda il Concilio di Trento, i coniglietti e Ahmadinejad.

Si tratta innanzitutto, di una Pasqua atipica, che sto trascorrendo non tanto forzatamente lontano da casa (non sarebbe stata né la prima né l’ultima volta, e forse è pure meglio) ma soprattutto lontano da una temperie socioculturale che, per quanto traballante, resta comunque decisiva. Tradotto: in Inghilterra sono quasi tutti protestanti. La perplessità dei miei genitori riguardo al fatto che a Oxford ci sia una sola chiesa cattolica (magari non è così, ma è come se lo fosse) coincidono con la loro perplessità riguardo al fatto che a Oxford non ci siano trattorie (e a dire il vero ce n’è qualcuna, con la dicitura Italiano Tratoria sull’insegna e la lavagnetta che esclama: Steak alla griglia!). Ci sono delle cose talmente universali, alle nostre latitudini, da sembrarci assolutamente necessarie e come tali immediatamente esportabili.

Non è così. Il cattolicesimo in Inghilterra c’è, tant’è vero che ogni domenica mi servo (avrei potuto trovare un verbo più decente, me ne rendo conto, ma fra poco ho un appuntamento e quindi vado di fretta) dagli Oratoriani della chiesa di St Aloysius. Gli oratoriani, specifico, sono l’ordine fondato da San Filippo Neri non so quando nel XVI secolo, e se non erro sono l’unico ordine secolare i cui membri hanno l’obbligo di vivere in comunità, come in un convento di frati. Basta andare a messa alla domenica (alle 11, preferibilmente) per rendersi conto che in Inghilterra i cattolici sono pochi, ma incazzatisimi: messa in Latino, canto gregoriano, comunione in ginocchio. Noialtri Italiani che siamo allergici agli inginocchiatoi (basta fare un giro durante una qualsiasi messa in una qualsiasi chiesa dell’eucaristia) dovrebbe imparare da come i cattolici inglesi si inginocchino ogni volta che entrano nel banco, ogni volta che ne escono, immediatamente prima e immediatamente dopo la comunione, in attesa della messa e dopo la fine della messa, indipendentemente che sull’inginocchiatoio vi sia un cuscino o solo il legno, tanto che in mancanza di meglio stanno giù per interi quarti d’ora sul nudo marmo del pavimento; quando c’è l’elevazione dell’ostia consacrata, non contenti di stare in ginocchio, si può leggere nei loro occhi il desiderio di sotterrarsi.

(Dettaglio inquietante #1: ieri sera, verso la conclusione del triduo pasquale, il decano degli Oratoriani ha invitato a pregare per i nuovi battezzati, e va bene, per il Papa, e va benissimo, e per Sua Maestà la Regina Elisabetta, che è fra una cosa e l’altra il capo degli anglicani.)

Il contrasto è manifesto: da un lato, dentro la chiesa di St Aloysius, ci si è fermati al Concilio di Trento e il triduo pasquale è una delle esperienze che forse segnano maggiormente la coscienza del fedele, messe di due o tre ore al Giovedì Santo (il cosiddetto Maundy Thursday, ovvero il giovedì del mandato eucaristico), al Venerdì Santo (ovvero Good Friday) e alla veglia pasquale alla sera del Sabato Santo. Tre gradini dopo ciascuno dei quali non solo i celebranti sono sfiniti e i fedeli visibilmente rinnovati, e zoppicando (soprattutto quelli che come me hanno dovuto accontentarsi di inginocchiarsi sul nudo marmo mentre veniva cantato il Tantum Ergo, che è lunghetto) si avviano verso casa. Dall’altro lato, fuori dalla chiesa di St Aloysius, in tutto il resto di Oxford e presumibilmente dell’Inghilterra intera, Pasqua non esiste più. Sembrerebbe che ne sia rimasto solo il nome, ficcato nelle grida di Easter Grill, grigliate pasquali e sui bigliettini di auguri.

(Dettaglio inquietante #2: all’uscita dalla veglia pasquale, una signora ha dichiarato che secondo lei a un certo punto della messa, comunque dopo le prime due ore, Father Tal dei Tali era sul punto di chiedere una bottiglia d’acqua e un bicchiere di gin, per poter andare avanti.)

Sembrerebbe. I bigliettini in particolare sono deprimenti, lo so bene io che preferisco mandarli a Pasqua, piuttosto che a Natale. L’abominevole chiamata internazionale, oggi, era diretta a una mia amica che da un paio d’anni è entrata in un monastero di clausura (e perciò la chiameremo, tautologicamente, Clarissa, che fa anche un po’ Samuel Richardson) e che fra poco tempo diventerà novizia. Di solito, per Pasqua, a lei come ad altri amici e benefattori spedisco un bigliettino a soggetto religioso; in Italia, con qualche fatica e benché impolveratissimi, nei recessi delle cartolerie si riesce a trovarli. In Inghilterra, dove c’è il culto del bigliettino grazioso (diciamo cozy, così rendiamo l’idea) per qualsiasi possibile occasione (dal concepimento indesiderato alla morte violenta), nei negozi specializzati i bigliettini di Pasqua contemplano: uova; fiori; altre uova; signorine ammiccanti. E coniglietti, squadroni di coniglietti, infinità di coniglietti. Io però di mandare a Clarissa, nell’anno del suo noviziato, coniglietti uova e fiori non ci penso affatto (sulle signorine ammiccanti sono invece possibilista): pertanto ho rinunziato all’idea del bigliettino, che pure mi sarebbe costato modiche quattro sterline e cinquanta spese di spedizione escluse, in favore della rischiosa telefonata domenicale.

(Dettaglio inquietante #3: nella sezione Religious matter del negozio specializzato in cartoncini, l’immagine più frequente è un coniglietto che fra i fiori trova delle uova.)

A questo punto è facile intuire che l’assoluta assenza di Crocifissi e di Risorti dall’iconografia pasquale abbia a che fare con l’anglicanismo e più in generale il protestantesimo. Come tutte le cose facili, è sbagliata. Ha a che fare con il politically correct: in Inghilterra le minoranze sono diventate maggioranza, e questo non è criticabile in alcun modo, è materia meramente demografica; in Inghilterra per rispetto alle minoranze preponderanti le tradizionali feste religiose stanno venendo svuotate di senso, stanno diventando talmente pallide da scomparire. Buona parte dei negozi di cui sopra, nelle vetrine espone non già gli auguri di buona Pasqua, Happy Easter, ma per il Bank Holiday Weekend, sarebbe a dire per il weekend col lunedì libero. Chi, come me nel 2005, ha avuto la disgrazia di essere da queste parti sotto Natale, ha avuto più e più volte il desiderio di sbattere la testa contro il muro sentendo per le strade (e vedendo sui manifesti, sulle pubblicità, sugli avvisi dei college) il saluto Merry Christimas, buon Natale venire sostituito da Merry Festivities, buone festività.

(Dettaglio inquietante #4: dopo aver rinunziato all’alcol e soprattutto ai dolci per tutta la Settimana Santa – per tutta la quaresima no, purtroppo non riuscirei a sopravvivere – oggi tutto contento entro in una patisserie e ordino un chocolate brownie, cioè un mattoncino di cioccolato grande quanto la mia mano ma pesante quanto la mia figura intera. Il tizio alla cassa si fa pagare, sorride, piglia il dolce, lo incarta e me lo dà. Mi apparto per mangiarlo in santa pace e scopro che di tutto si tratta meno di un chocolate brownie: è probabile che il tizio alla cassa, quasi sicuramente straniero e molto probabilmente italiano, non abbia capito una cippa di quello che gli ho chiesto e abbia scelto un dolce a caso. Nel momento in cui sto per tornare a porgere le mie rimostranze, una signorina si accomoda al tavolino di fronte, scarta il suo dolce e lo considera con un misto di sorpresa e incredulità. Ho rinunziato.)

Il più grande ceffone alla Gran Bretagna che il nuovo secolo possa ricordare, finora, è stato dato dall’Iran qualche giorno fa: non so quanto se ne sappia in Italia, ma prima sono stati rapiti dei marinai col pretesto che si trattasse di un arresto nell’ambito di un’operazione di controspionaggio; dopo di che, trascorse un paio di settimane, il satrapo Ahmadinejad (fidarsi del quale è come lasciarmi guidare un’automobile) ha promesso la loro liberazione come gesto distensivo ed ecumenico in occasione della nascita di Maometto (il 30 marzo) e della Pasqua cristiana. Fossero stati coerenti, gli Inglesi avrebbero dovuto rispondere che la Pasqua loro non la festeggiano, e che si accontentano del compleanno del Profeta.

(Dettaglio inquietante #5: quando ho chiamato la mia amica in monastero, la suora portinaia le ha passato il telefono dicendo: “Clarissa, c’è tuo marito.” Ma ormai dal cattolicesimo mi aspetto di tutto.)

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