martedì 17 aprile 2007

L'Italia percepita



Breve ma necessaria premessa autobiografica: l’altro giorno m’è venuta fame e sono andato a mangiare in un locale di Oxford che si chiama Saveur de France, il cui proprietario è un inglese sposato con una brasiliana, al quale ho ordinato un – testualmente – “italiano panini”, ossia una ciabatta con dentro pomodori sott’olio, pesto, un’oliva e qualcos’altro su cui tuttora accetto scommesse. Complessivamente era buono, per carità, e ho particolarmente ammirato la dedizione e la passione con la quale l’italiano panini era stato preparato; se non che, come il suo nome doveva farmi intuire, non aveva nulla a che vedere con l’Italia.
Alla stessa maniera, qualche anno fa, la prima volta che a queste latitudini ho cercato un giornale di calcio per rilassarmi non ho potuto fare a meno di notarne uno che allora si chiamava Football Italia e oggi, più caratteristicamente, Calcio Italia. Innanzitutto, bisogna sottolineare come sia un caso unico; nel senso che non ci sono giornali paralleli, che so io, per il calcio tedesco o francese o brasiliano. Questo significa che, anche a quattromila km di distanza, l’Italia pallonara continua a esercitare un certo fascino. La seconda cosa da notare è che la prima uscita risale al 1992; il che significa che questo fascino è radicato nel tempo e non accenna a smettere.
Ciò che mi pare più importante, e per certi versi più sorprendente, è che Calcio Italia non è diretto a un pubblico di italiani lontani e più o meno nostalgici come me; ma è un esplicito tentativo di calare la realtà italiana in una griglia percettiva – se vogliamo usare un termine altisonante – che è tipica del calciofilo inglese. In questo Calcio Italia sposa talmente la tradizionale passione degli inglesi per le statistiche e la precisione minuziosa che leggendo qua e là ho appreso dei dettagli sul calcio italiano che in Italia, dove siamo più affezionati al commento strillato, mi erano del tutto ignoti. D’altra parte va considerato che la nostra stampa parte dal presupposto che noi già conosciamo tutto sul nostro calcio, mentre in Inghilterra il presupposto contrario è che chi legge non conosca niente o quasi, e che bisogna spiegargli ogni cosa per filo e per segno.
Questo porta ogni tanto a dei risultati che, a un lettore italiano, possono apparire divertenti. Sostanzialmente, da così lontano l’Italia sembra un po’ appiattita, non solo geograficamente (penate che qui una famosa ditta di caffè si vanta di farlo buono quasi quanto quello di Milano, tanto per dire) ma soprattutto nella distinzione – fondamentale per noi italiani scettici garruli e lamentosi – fra alto e basso, fra realtà più o meno desiderabili o affascinanti. Faccio un esempio: dandosi una certa magniloquenza, qui definiscono Toni “the Pavullo Nel Frignano striker”, perifrasi che nessun giornalista italiano azzarderebbe. Alla stessa maniera, ci si può imbattere in un anonimo “AC” che, estrapolato da ogni contesto, ti rende pensieroso per una mezz’ora prima di capire che non si tratta di Avanti Cristo ma del Milan, AC Milan appunto, da contrapporsi all’ambrosiana, che qui si chiama Inter Milan.
La cosa alla quale non mi rassegnerò mai, e tuttavia comune a gran parte della stampa calcistica inglese, è l’abbreviazione dei nomi. Già detesto l’idea che dalle nostre parti si parli di Sheva, Ibra e Matrix, come se il Signore non ci avesse dato una lingua per articolare suoni più sofisticati; ma su Calcio Italia, nel giro di due pagine, si trovano riferimenti a Spal (che non è una squadra di calcio ma Luciano Spalletti), Slav (che è Goran Slavkovski, il settecentesimo straniero nella rosa dell’Inter) e addirittura di Don (al quale basterebbe aggiungere una vocale per ottenere l’originale Doni). Alla stessa maniera, presumo che gli inglesi abbiano delle difficoltà a capire l’essenza stessa del calcio italiano, in particolar modo in quest’anno particolarmente surreale; in questo però Calcio Italia è veramente ammirevole, non solo per la dovizia di informazioni (o per i suggerimenti turistici dati a chi viene colto dall’insano desiderio di andare a vedere Livorno-Chievo supponendo che sia veramente una partita di serie A) ma per il tentativo di illustrare le linee generali della cultura calcistica italiana e i procedimenti psichici tipicamente sottostanti al nostro calcio, oggettivamente oscuri per chi non abbia mai visto una puntata del Processo di Biscardi.
A questo servono le rubriche fisse di Calcio Italia: l’ultima pagina di Susy Campanale, le commoventi memorie di un calcio migliore (quello con Van Basten e senza Borrelli) di Giancarlo Rinaldi e soprattutto la sociologica cartolina da Firenze di John Pitonzo (giuro che non è un personaggio di fantasia, giuro che non me lo sono inventato sull’istante), forse inconsapevole novello Andrea Barbato che conclude tutti i suoi interventi con l’esortazione: “Forza”. Probabilmente un incoraggiamento al lettore inglese che si sforza di capire come mai con la stessa palla in Italia si giochi uno sport diverso.

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