e conosce tanta gente
dice: Li cantanti morti
nun so’ morti veramente…
(Elio e le Storie Tese)
Scena madre numero uno: io corro su e giù per il centro di Modena alla ricerca di agenzie interinali (vi assicuro fra parentesi che qui è molto più facile trovare fidanzate che datori di lavoro) e sento distintamente la voce di una signora che, seduta al tavolo di un bar, sfoglia Il Resto del Carlino dicendo: “Pare che verrà anche Amadeus!” – anzi, con il tipico accento locale, “Amadeusc”.
Amadeus(c) non lo so, ma fra ieri e oggi sono arrivati Kofi Annan, Zeffirelli, Carla Fracci, Zucchero, Jovanotti, Bono-degli-Uddùe; e poi Napolitano, Prodi (che non è stato fischiato e quindi è in crisi d’identità), la moglie di Prodi (la quale, stando a Snupi che guardava la tv da Cefalù, si è esibita in un notevole sbadiglio in Duomo e in diretta su Rai1 all’altezza della seconda lettura), Rutelli (che a un certo punto ha risposto al telefonino, sempre stando a Snupi, ma non voglio crederle, anche se fra Rutelli e Snupi so di chi fidarmi) e perfino io, che sono arrivato a Modena per fare tutt’altro e sono rimasto invischiato nella faccenda (inevitabilmente: la mia cameretta è praticamente dietro il Duomo).
Scena madre numero due: ieri mattina vado a comprare, per la prima volta nella mia vita, la Gazzetta di Modena e voilà, il titolone a effetto declama enorme e giallo in stampatello: Tutto il mondo ai sui piedi. Un refuso sesquipedale.
Non ho voluto trattenermi in Piazza Grande per tutto il funerale, ma ho reso omaggio alla salma andandola a trovare stamattina, quando s’era esaurita la fila di ore e ore che ieri ha intasato il centro di Modena, stupendomi peraltro di sbrigarmi in cinque minuti. Mia madre da Gravina ha notato con un lapsus indicativo: si tratta di un gesto di rispetto che si dedica agli estranei, quindi… Ha lasciato la aperto il sillogismo, ma l’altra metà significava presumibilmente che tanto più va reso omaggio alla salma dei familiari, o dei congiunti. Ovviamente oggi è stata la prima occasione di vederlo di persona, ma l’impressione era effettivamente di conoscerlo in abbondanza.
Scena madre numero tre: mentre si cucina la cena un’amica apprende dal Tg5 che il maestro è stato deposto in una bara bianca, e commenta: “Ma il bianco ingrassa!”.
La cosa più notevole di questi due giorni di follia collettiva era scritta sul badge distintivo di un addetto al servizio d’ordine: “Pavarotti”, fra virgolette. Mai come in questo caso l’ignoranza di chi non sa la grammatica è stata indicativa di un sentimento collettivo, poiché una folla immensa s’è riversata in Duomo e in Piazza Grande a vedere le esequie per rendere omaggio all’idea di Pavarotti, all’essere (stato) Pavarotti, alla pavarottità insomma più che al singolo povero defunto, e anche per poter vedere, in ordine d’importanza: sé stessa riflessa nel maxischermo; Bono-degli-Uddùe e gli altri vip di passaggio; se fischiavano Prodi anche stavolta. Il badge distintivo del servizio d’ordine, virgolettando Pavarotti, ha sinteticamente definito col suo nome tutto ciò che gli gravitava intorno, fagocitando il suo essere uomo, singolo.
Di là da tutto – di là perfino dalle Frecce Tricolori che hanno dipinto il quadrato di cielo che riesco a vedere dalla mia cameretta – il momento più toccante (per me) è stato assistere alla preparazione del carro funebre fuori dal Duomo, mentre iniziava il funerale. Che, tradotto, voleva significare come non importi quanti presidenti della repubblica vengono a porgerci l’estremo commiato, o quanti sconosciuti firmano il registro delle visite sperando di rivedersi in differita su Rai1, o quante virgolette vengano apposte al nostro nome o se siamo “Pavarotti” o “Gurrado” o “Pulcinella”: alla fine finiremo tutti nella stessa macchina oblunga delle Onoranze Funebri Gianni Gibellini, o chi per esse.
Se non che Pavarotti (scena madre numero quattro) al momento di andarsene se n’è andato con sei carri funebri. Sei! Non sarò mai all’altezza.
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