martedì 23 ottobre 2007

Elementare Watson

Dunque, noi vogliamo sapere:
per andare dove dobbiamo andare,
per dove dobbiamo andare?
Sa, è una semplice informazione.

(Totò)

Per prima cosa, non vi risparmio la battutaccia: il professor James Watson si è precipitato a smentire le proprie dichiarazioni riguardo all’inferiorità intellettuale dei neri, ma pochi giorni dopo il pilota Lewis Hamilton si è precipitato a confermarle.

Ora, io non ho vinto il Nobel nel 1962 né mai, e il massimo punto di contatto che ho avuto con Watson (e Creek) consiste, oltre che nell’essere dotato di regolare elica dna, nell’aver bevuto una birra – vabbe’, svariate birre – all’Eagle, il pub di Cambridge dove i due studiosi, più o meno alla mia età, si precipitarono a celebrare la loro scoperta epocale (da tutto questo precipitarsi si deduce che il professor Watson è piuttosto precipitoso). Però ho pensato a lui, anzi, mi sono sentito un po’ lui giovedì scorso, quando ho preso il pullman rosso che congiunge direttamente Milano (ma anche Modena, Torino, Parigi e Casablanca) con Gravina (ma anche Canosa, Minervino e Spinazzola). In primo luogo devo sottolineare che al mattino ero andato in agenzia viaggi per fare il biglietto e l’agentessa, all’atto stesso dell’emissione, persisteva nella convinzione che tale pullman rosso non esistesse, mais passons, si sa che da queste parti sono particolarmente restii ad arrendersi all’evidenza.

Il punto è che ho pensato a quali conclusioni avrebbe tratto il professor Watson prendendo assieme a me un pullman rosso carico di meridionali, bigliettaio e autista compresi. Quanto a me, ho dedotto che i meridionali si distinguono dai settentrionali per essere espressionisti, ossia per provare emozioni dilatate e comunicarle in maniera rutilante: così che il viaggio notturno da Milano a Gravina si trasformi come minimo in Sotto il Vulcano e in Paura e Delirio a Las Vegas. Il ritardo del pullman rosso, più o meno giustificabile, ha creato moti di terrore e raccapriccio caratterizzati da improperi di varia natura contro il pullman rosso e chi lo creò, repentinamente trasformati in disordinato entusiasmo e giubilo barocco al momento in cui il pullman rosso è apparso. Nonostante il pullman rosso recasse lampeggiante la dicitura Torino-Milano-Canosa-Minervino-Spinazzola-Gravina, all’autista sceso per raccogliere i bagagli è stato chiesto se il medesimo pullman andasse a Fasano, a Maglie, a Cergnola e perfino in Calabria. La raccomandazione del bigliettaio di non mangiare né fumare a bordo la dice lunga sulle abitudini di viaggio dei miei conterranei, perché – come notava Voltaire – non ci sarebbe stato bisogno che Mosè proibisse espressamente ai giudei di accoppiarsi con le capre (Levitico 18, 23) se nessuno di loro avesse prima o poi pensato di farlo. Un passeggere ha chiesto al bigliettaio se durante il tragitto sarebbe stato proiettato il film d’azione, e il bigliettaio ha reagito con spericolati giochi di parole sugli azionisti; al che il medesimo passeggere ha dichiarato che si sarebbe accontentato di un film erotico. La pingue signorina seduta di fianco a me parlava tramite due differenti cellulari con due differenti fidanzati.

Sul sedile davanti al mio, nel momento in cui il pullman rosso è partito un’anziana signora si è presentata con voce squillante all’anziana signora sedutale di fianco. In viale Campania avevamo appreso che suo marito era spirato fra atroci dolori. A San Giuliano si era ben delineata la composizione anagrafica della sua discendenza comprensiva di figli (tre) e nipoti (sette). All’imbocco dell’autostrada è stato stilato un calendario dettagliato dei suoi viaggi a Milano passati e futuri. Alle due di notte l’anziana signora continuava ininterrottamente a ripetere di non essere in grado di restare sveglia dopo le undici.

Se per la loro capacità mimetica o per la vostra confusione mentale, tuttavia, non foste in grado di capire al volo se i vostri compagni di viaggio siano o meno meridionali, il professor Watson potrebbe suggerirvi un metodo infallibile per scoprirlo: appostarvi in una stazione di servizio. Solitamente, il pullman rosso fa tre fermate. La prima è a un autogrill estremamente professionale alle colonne d’Ercole della Lombardia, con le porte girevoli che metteranno in seria difficoltà il viaggiatore meridionale, con i bagni talmente puliti da venir guardati con ragionevole sospetto e con i nomi magniloquenti dei menù alimentari pronunziati con perdurante scetticismo, prima e dopo del rilascio dello scontrino fiscale. Ciò nondimeno, il viaggiatore meridionale mangia ai quattro palmenti, incurante del fatto che non sia più ora di cena e che non sia ancora tempo di colazione, sprezzante dei due panini sbafati di soppiatto nel tragitto appena coperto alla faccia dell’avvertimento del bigliettaio, ignaro di aver pronunziato il nome turchesco del menù prefabbricato in maniera tale che solo il genio del cassiere ha potuto impedire che gli venisse servito tutt’altro, ad esempio un pacco-famiglia di cotton fioc.

La seconda fermata è in uno degli ammiccanti fast-food Fini nelle tarde Marche, dove la consueta affabilità degli inservienti e del cibo e dei bagni causa a buona parte dei viaggiatori meridionali un torpore tale che, a sosta finita da dieci minuti, il viaggiatore più meridionale di tutti risulti impossibile a rintracciarsi per il controllore mentre tutti gli altri sono già seduti ai propri posti, finché la moglie residua non lo vede tornare (il marito) e lo aggredisce (il controllore) perché non dà tempo (il controllore) nemmeno di prendere un cappuccino in santa pace (al marito).

La terza fermata è in una stazione di servizio garganica custodita al proprio interno da una statua di Padre Pio molto più grande dell’originale, dove finalmente il viaggiatore meridionale può sentirsi a casa propria e ordinare impunemente menù dai nomi truffaldini in maniera rassicurante (“Fatti Furbo”), accumulare la propria pipì su quelle già espresse da generazioni di viaggiatori meridionali prima di lui, comprare una quantità sorprendente di giocattoli ripugnanti, capaci di bloccare la crescita a un vampiro e presumibilmente non esistenti al di fuori della medesima stazione di servizio garganica, insultare in dialetto il barista solingo perché pur avendo due mani non riesce a servire quarantatre cappuccini contemporaneamente e ripartire lamentandosi del fatto che nel cornetto c’era troppa Nutella. Quando il pullman riparte, e la notte è già passata, il viaggiatore meridionale si addormenta infallibilmente e alle prime luci dell’alba si ode solo la voce dell’anziana signora che spiega alla sua anziana vicina di sedile che non riesce mai e poi mai a svegliarsi prima delle nove passate.

Infine il viaggiatore meridionale arriva a destinazione, alle sette e mezza del mattino; scende dal pullman rosso salutando l’autista, il bigliettaio e gli altri viaggiatori meridionali come se non desiderasse altro che rivederli in ogni giorno della sua vita, mette alfine piede a terra, ricupera dalla stiva il bagaglio che per le precedenti undici ore avrà dato per perduto e giura che un viaggio del genere non lo ripeterà mai più. La domenica sera lo sta rifacendo in senso inverso, da Gravina a Milano, sullo stesso pullman rosso.

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